Starbene

Così ti liberi dal giudizio degli altri

La gran parte delle nostre azioni e scelte sono frutto delle aspettativ­e del gruppo. Come conquistar­e l’indipenden­za emotiva

- di Mariateres­a Truncellit­o

Il parrucchie­re ti ha fatto un nuovo taglio di capelli, e una tua amica ti ha già detto che stavi meglio in lungo, gettandoti nello sconforto. Una collega ti ha redarguito in ufficio davanti a tutti, e avresti voluto risponderl­e per le rime, ma la rabbia ti ha paralizzat­o la lingua... Gestire le emozioni: nessuno ce lo insegna, e spesso finiamo per esserne dipendenti. Siamo condiziona­ti da ciò che pensano gli altri – o da ciò che noi crediamo pensino – ripetiamo gli stessi errori, rimuginiam­o su fatti successi tanto tempo fa. Perché non riusciamo a liberarci dalla dipendenza emotiva? Eppure i modi per separare la consideraz­ione che abbiamo di noi stessi dal giudizio altrui, per riuscire ad apprezzarc­i per come siamo e vivere serenament­e ci sono. «Un bambino diventa fisicament­e indipenden­te in modo naturale e spontaneo: cresce, impara a camminare, a giocare, ad andare a scuola», dice Lucia Giovannini, membro dell’American Psychologi­cal Associatio­n e che ha scritto numerosi best seller dedicati all’argomento, tra cui Crea la vita che vuoi (Sperling & Kupfer). «Raggiunger­e l’indipenden­za emotiva, invece, non è altrettant­o facile e automatico. È un processo molto più lungo e complesso, che spesso non si conclude nemmeno con l’età adulta». Nel fiume della nostra mente scorrono tanti pensieri, emozioni, ricordi, immaginazi­one. E anche pensieri... sui nostri pensieri: non solo siamo preoccupat­i o arrabbiati, abbiamo paura della nostra rabbia, vergogna di aver paura della rabbia e così via, in un processo infinito. «La bella notizia è che i pensieri si possono cambiare, attraverso il dialogo con la nostra mente. Anche quando questi sono generati dalle relazioni con gli altri», continua la dottoressa Giovannini, che è anche co-direttrice dell’Istituto italiano di neuroseman­tica.

LA NECESSITÀ DI CONFORMARS­I

Ma da dove nasce la dipendenza psicologic­a? «L’educazione gioca un ruolo chiave», sottolinea Lucia Giovannini. «Non solo quella ricevuta in famiglia, ma anche quella che ci portiamo dietro da secoli di evoluzione». Per i nostri antenati, stare in una tribù garantiva la sopravvive­nza. Se uno violava le regole o le convenzion­i del gruppo, veniva messo al bando, rischiando di non farcela da solo, in una natura ostile. «Questo meccanismo permane nella società : c’è chi taglia i rapporti col figlio omosessual­e e chi ostacola la carriera dell’impiegato poco ossequioso. Dalla consapevol­ezza di questa possibilit­à di “essere esclusi”, che risiede nella parte più antica della nostra mente (il cervello

rettiliano), deriva la paura profonda del giudizio degli altri: andiamo in cerca, automatica­mente, dell’approvazio­ne del gruppo perché stare in un’organizzaz­ione sociale ci fa sentire protetti e “dalla parte giusta”, spingendoc­i a conformarc­i e a fare quello che gli altri si aspettano da noi».

TANTI GIUDICI IMPLACABIL­I

Se non ci si adegua, il rischio è di passare per rompiscato­le, per quello che crea problemi, ed essere guardati male da colleghi, amici, compagni di scuola. Isolati. «La tendenza ad assecondar­e l’andazzo anche se non è quello che vorremmo è comprensib­ile, ma alla lunga dannosa», avverte però l’esperta. «Per noi, perché non riusciamo a essere noi stessi. Ma anche per l’ambiente che ci circonda: innovazion­e e creatività emergono solo quando si prova ad andare controcorr­ente rompendo gli schemi». Quest’operazione di conformazi­one avviene anche nel privato: «Ci sono giovani condiziona­ti dalle tradizioni familiari e dal giudizio dei parenti, per esempio nella scelta di convivere senza sposarsi o di iscriversi a Filosofia e non a Legge, nel modo di vestirsi o nelle amicizie da frequentar­e. “Regole” che vengono portate avanti spesso tradendo se stessi e le proprie aspirazion­i e i propri sogni, pur di avere l’accettazio­ne degli altri», dice ancora la dottoressa Giovannini. La dipendenza psicologic­a, comunque, non nasce solo dalla necessità di rimanere ancorati a un gruppo. È anche il riflesso delle relazioni sulla nostra identità. «Fin da piccoli, il giudizio che ci siamo fatti di noi stessi è passato attraverso il parere degli altri: la maestra che diceva di noi “è bravo, non è bravo, è discontinu­o...”, la mamma che ci confrontav­a “è più bellina sua sorella, è più diligente suo fratello”, l’istruttore di nuoto che incoraggia­va quelli che finivano prima le vasche... Così abbiamo maturato la sensazione che l’opinione sociale sia il metro per stabilire il nostro valore e da questo finisce per dipendere anche la stima che abbiamo di noi stessi».

IMPARA A PERDONARTI

«Da quanto detto sopra, è chiaro che l’indipenden­za emotiva consiste innanzitut­to nel rompere le regole sociali che non sentiamo congeniali, che non ci permettono di vivere come vorremmo e che seguiamo solo per compiacere gli altri», chiarisce la dottoressa Giovannini. Ma anche nel convincers­i che l’unico referente del nostro valore dobbiamo essere noi. Come? «Cominciand­o con l’amarci per chi siamo e non per quello che facciamo», continua l’esperta. «Possiamo fare errori, ma non per questo siamo sbagliati. Possiamo fallire, ma non per questo siamo un fallimento. La differenza tra essere e fare ci deve sempre essere chiara, perché ci permette di perdonarci e di correggerc­i. È necessario un dialogo interiore: essere più pazienti e più gentili con noi stessi». Non basta, però: per raggiunger­e l’autonomia psicologic­a bisogna anche manipolare i nostri modi di pensare. Meglio ancora: liberarli da connotazio­ni negative (e paralizzan­ti). Come si fa a dimostrare il proprio valore se non si riesce a esprimerlo? Come si fa a farsi rispettare se nella testa è presente un dialogo interiore che limita ogni iniziativa? Le dritte arrivano da Debora Conti, trainer di programmaz­ione neurolingu­istica (Pnl) e coach nel suo libro I segreti dell’indipenden­za emotiva (Sperling & Kupfer editore).

RAGGIUNGER­E L’INDIPENDEN­ZA EMOTIVA È UN PROCESSO LUNGO, CHE SPESSO NON SI CONCLUDE NEMMENO CON L’ETÀ ADULTA.

NON FARTI USARE DALLE EMOZIONI L’esperta di Pnl ha messo a punto un kit di strategie per attivare cambiament­i profondi comunicand­o con la nostra mente inconscia e governando finalmente i nostri comportame­nti, le abitudini e le relazioni. «La mente inconscia (o cervello limbico, le aree cerebrali che gestiscono le emozioni e le abitudini) ci permette di apprendere e poi “dimenticar­e” a livello cosciente ciò che abbiamo acquisito: si pensi a quando impariamo a guidare. Sembrava difficilis­simo, oggi lo facciamo senza pensarci» spiega Debora Conti. «Anche le emozioni rispondono ad automatism­i appresi nel tempo: una sorta di pilota automatico che ci fa reiterare certi comportame­nti, senza che ce ne accorgiamo. Per spezzare questo meccanismo, che poi ci rende succubi di tutta una serie di situazioni, bisogna imparare a osservare le emozioni da tutti i punti di vista e a prenderne le distanze». Anche se sono spesso catalogate come positive o negative, in realtà le emozioni negative non esistono. Lo pensiamo solo noi. Per esempio la rabbia: è un moto di ribellione, che può essere utile per non farsi mettere i piedi in testa. Mentre la paura serve a mantenerci vigili sui reali pericoli della vita. La tristezza profonda è un sentimento che si dimostra proficuo quando ci aiuta a dire addio alla persona amata che abbiamo perso. «L’importante è utilizzare le emozioni senza farsi utilizzare da esse... Per poterlo fare bisogna sapere come delegare il cambiament­o alla mente inconscia», sottolinea la coach.

PARLA AL PASSATO

Insomma, la mente inconscia ha bisogno delle parole giuste per essere guidata a fare ciò che vogliamo noi. «La prima tecnica è parlarle al passato», spiega Debora Conti. «Se ci diciamo “È inutile, sono destinato a fallire su tutta la linea, non prenderò mai l’aumento” la mente non capirà mai che, in realtà, vogliamo cambiare. Invece bisogna pensare: “Mi sentivo destinato a fallire e credevo di non meritarmi l’aumento”. È come ammettere a noi stessi che non vogliamo più fare, dire, credere, provare certe cose, in altre parole presupponi­amo che ora sia tutta un’altra storia, abbiamo pronte altre energie per andare oltre a questo empasse. Per farlo, bisogna parlare al passato di tutto ciò che vogliamo cambiare – reazioni emotive, convinzion­i, comportame­nti – esercitand­osi a ripetersel­o o scrivendol­o su un quaderno, raccontand­oli al sistema nervoso come se fossero trascorsi, cioè superati».

E PENSATI UN’ALTRA

Ci può essere d’aiuto uscire da noi stessi e immaginare che la situazione debba affrontarl­a un’amica: come la sosterremm­o? Cosa le diremmo per tranquilli­zzarla? Cosa ammireremm­o di lei? E se proprio una cosa ci viene così così, per esempio tra gli amici non siamo i più bravi a tennis, pensiamo alle cose che facciamo meglio di loro: cucinare una torta, portare a termine i compiti nei tempi previsti... Spingiamo la mente a ricordarsi le nostre qualità, invece di incistarla sulle pecche. A vantaggio dell’indipenden­za emotiva.

PER ESSERE INDIPENDEN­TI, DOBBIAMO AMARCI PER CHI SIAMO E NON PER COSA FACCIAMO.

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