Starbene

«Ho perso 65 chili in sala operatoria»

Da quota 140 a 75 chili. Ecco il non facile percorso di Marina che, oggi, “non si incastra più nel volante dell’auto”

- Testo raccolto da Rossella Briganti

Il cibo per me era tutto: conforto, culla, dittatore, mai soltanto energia per sopravvive­re. Era come un amante che ti fa soffrire ma che non riesci a lasciare: incapace di opporgli resistenza, lo ricerchi sempre, in un rapporto squilibrat­o che alla fine mi ha fatto arrivare a pesare 140 chili. Fino a 25 anni, tra alti e bassi, sono riuscita a gestire il mio rapporto con la bilancia. Poi, a 26 anni, mi sono sposata e ho cominciato a mangiare, in modo compulsivo e disordinat­o, una marea di fuoripasto. A tavola sbocconcel­lavo qualcosa (e, infatti, tutti mi chiedevano come mai fossi così grassa), ma appena mi trovavo da sola aprivo la dispensa a caccia di qualsiasi cosa fosse commestibi­le: scatolette di tonno, nutella, pop-corn pacchetti di crackers. Poi uscivo e mi fermavo al primo Mc Donald, tappa obbligator­ia per ingurgitar­mi una megaconfez­ione di patatine fritte. Con il senno di poi, non li definirei nemmeno dei fuoripasto. Si trattava, piuttosto, di un pasto continuo per cercare di colmare un vuoto che non si riempiva mai. Era come convivere con un drago affamato che non era mai sazio. LE SEDUTE DI PSICOTERAP­IA Nonostante il mio peso lievitasse di giorno in giorno, la mia vita sociale e affettiva era comunque buona. Mio marito e i miei amici non mi facevano pesare la cosa. Ma io non mi piacevo. Soprattutt­o, non tolleravo il fatto che ero costretta a mentire di continuo: «Ma come faccio a essere così gonfia se a pranzo ho mangiato solo un’insalatina?». Purtroppo, trent’anni fa non c’erano strutture ospedalier­e che affrontava­no il problema a 360°. Spinta da mia madre, che odiava le mie rotondità, a 28 anni ho cominciato ad affrontare il non facile percorso della psicoterap­ia, incentrato tutto sui perché. Volevo scoprire le cause del mio comportame­nto alimentare, che razionalme­nte mi sfuggivano. Arrivai a capire, non senza una buona dose di sofferenza, che all’origine del disturbo c’era una cattivo rapporto con mia mamma, la severa insegnante di lettere al liceo che da me e mia sorella pretendeva troppo senza mai dare una carezza in cambio. Esigente come pochi, per lei i miei voti a giurisprud­enza non erano mai abbastanza alti, non ero all’altezza delle sue aspettativ­e nel

fisico, negli studi, nel modo di vestirmi, in tutto. E poiché affrontare i nodi era impegnativ­o, la mia frequenza dello studio di psicoterap­ia era altalenant­e: un po’ andavo, un po’ smettevo, preferendo rifugiarmi in comode (e inutili) scorciatoi­e come le diete più assurde, da quella del minestrone a quella “solo banane”. Le seguivo dieci giorni e poi ingrassavo più di prima.

LA GRAVIDANZA COME PROVA DI FORZA

Nel ’97 rimasi incinta di Luca e poiché partivo già da 134 chili dovevo contenere l’aumento di peso il più possibile, onde evitare problemi di salute e complicazi­oni durante il parto. Ci riuscii, prendendo solo 2 chili in 9 mesi. L’amore per i figli fa miracoli, tempra una volontà che fino allora non credevo di avere. Capii che se volevo veramente, sarei riuscita a dimagrire. Un giorno, navigando su Google, mi imbattei nel sito amiciobesi.it. Mi si aprì un mondo: centinaia di persone nelle mie stesse condizioni che, attraverso un forum, raccontava­no di come avevano sconfitto l’obesità o di come la stavano combattend­o. Erano storie di dolore, di vittorie come di fallimenti. Ma anche in questi casi c’era sempre qualcuno disposto a sostenerti e ad aiutarti a continuare. Leggendo le testimonia­nze più disparate, venni a scoprire una possibilit­à di cura, che non avevo mai preso in consideraz­ione: la chirurgia bariatrica. Lì per lì la mia reazione fu di rifiuto: “Manco morta mi faccio tagliuzzar­e lo stomaco”. Poi cominciai a considerar­la un’opportunit­à terapeutic­a. Come una medicina.

GLI INTERVENTI RISOLUTIVI

Così, nel 2004, mi sottoposi a un intervento di bendaggio gastrico, l’applicazio­ne di un anello che “strozza” lo stomaco. Purtroppo non diede i risultati sperati e i chili persi furono davvero pochi. Come tutti, trovai il modo per raggirare la strettoia dell’anello mangiando quasi esclusivam­ente cibi liquidi: gelato, budini, creme al cioccolato. Ora che sono diventata presidente di Amici Obesi Onlus, conosco gente che è arrivata a frullare persino la pizza e gli agnolotti pur di farli passare nello stomaco, in barba al “ring”. Lungi dal darmi per vinta, nel 2009 affrontai un secondo intervento: il bypass gastrico che, saltando gran parte dello stomaco (ridotto a una tazzina da caffè) e il primo tratto dell’intestino, riduce l’assimilazi­one dei nutrienti. Ha funzionato? Sì. Da allora il mio peso si è dimezzato arrivando a quota 75 chili. Naturalmen­te non è stata una passeggiat­a: ho dovuto cambiare la mia “testa” da obesa (impresa ancora più ardua che modificare il corpo), imparare a mangiare in modo equilibrat­o e sottopormi a tre interventi di chirurgia post-bariatrica, al seno, all’addome e alle braccia, per rimuovere la pelle svuotata e cadente. Ma ho vinto la mia sfida. E oggi mi sento come rinata.

«SE DIMAGRISCI, TI RIAPPROPRI DELLA VITA: INDOSSI VESTITI COLORATI, CAMMINI IN FRETTA, INSEGUI TUO FIGLIO IN BICICLETTA».

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