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Tutto quello che devi sapere sul diabete

Stili di vita, integrator­i, zucchero e cibi a rischio, test “predittivi”... qui trovi le risposte a ogni dubbio sulla prevenzion­e della malattia

- di Ida Macchi

Sono circa 4 milioni gli italiani che ne soffrono, ma si stima che ci sia circa un altro milione di persone inconsapev­oli di avere la malattia. Preoccupan­ti anche le proiezioni sui prossimi anni perché, stando all’Oms, entro il 2025 un italiano su 10 sarà diabetico. Le colpe di questa “epidemia”? Un’alimentazi­one troppo ricca di calorie e la sedentarie­tà: fanno metter su peso e facilitano la resistenza all’insulina, l’ormone che permette agli zuccheri di entrare nelle cellule per nutrirle. Se non si interviene prontament­e, da lì al diabete di tipo 2 il passo è breve: l’organismo cerca di compensare aumentando la produzione di insulina, il glucosio non riesce però ugualmente a essere smistato dove dovrebbe, si accumula nel sangue e per la salute son dolori. Vuoi sapere come sbarrare la strada al diabete di tipo 2? Ecco le risposte degli esperti a tutte le domande sulla prevenzion­e e le cure.

Qual è il primo passo da fare per tenerlo alla larga?

«Perdere peso: chi ha un indice di massa corporea superiore a 27 (si divide il peso per il quadrato dell’altezza), basta che smaltisca circa sei chili in un anno per ridurre del 58% il rischio di ammalarsi», spiega il professor Giorgio Sesti, professore di medicina interna all’Università di Catanzaro, già presidente della Società italiana di diabetolog­ia. Ok perciò a una riduzione delle calorie a tavola, coniugata con una regolare attività fisica. Stando a una ricerca dell’università John Hopkins, il mix abbatte ulteriorme­nte il rischio sino all’80%. Ed è anche una medicina per chi il diabete lo ha già: una recente metanalisi, pubblicata sulla rivista Jama Internal Medicine, evidenzia che per ogni chilogramm­o perso si ha una riduzione del 7% del rischio di progressio­ne della malattia.

Chi ha fratelli o genitori diabetici è destinato ad ammalarsi?

«Ha un aumento del 40% del rischio, che può però drasticame­nte abbattere, mettendo in campo abitudini virtuose antisedent­arietà e antisovrap­peso, sin dalla giovane età», suggerisce la dottoressa Concetta Irace, professore associato del Dipartimen­to scienze della salute dell’ università Magna Grecia di Catanzaro. «La genetica da sola non basta: per tradursi in malattia, c’è bisogno anche della collaboraz­ione di alcuni difetti nella produzione del grasso sottocutan­eo: questi obbligano le cellule adipose ad aumentare di volume e a riprodursi con maggior difficoltà, favorendo l’accumulo del famigerato grasso viscerale», aggiunge il professor Sesti. «Per questo, occhio alla misura del girovita, prima spia di depositi pericolosi: non deve mai essere superiore a 88 cm per la donna e a 102 cm per l’uomo, anche se non c’è familiarit­à per il diabete».

Ci sono test genetici per sapere in anticipo qual è il rischio di ammalarsi?

«Non ci sono biomarcato­ri misurabili nella saliva o nel sangue che funzionano da elementi predittivi», risponde la dottoressa Irace. «È però possibile quantifica­re il rischio personale di ammalarsi, avvalendos­i di un questionar­io scientific­o (il FINDRISC) che può essere effettuato anche da soli (siditalia. it/divulgazio­ne/rischio-del-diabete).

Basta rispondere a semplici domande che valutano abitudini e fattori che fa-

voriscono la malattia». «Anche il test della glicemia è indicativo», aggiunge il professor Sesti. «Se i suoi valori si mantengono sotto i 100 mg/dl è tutto ok e, dopo i 45 anni, basta ripeterlo annualment­e. Se si attestano tra i 100 e 125, invece, significa che c’è un maggior rischio che il diabete possa farsi strada nei successivi 3-5 anni ed è bene correre subito ai ripari con dieta e attività fisica».

Gli zuccheri sono il nemico “numero uno”?

«In realtà i nutrienti più pericolosi sono i grassi saturi, contenuti soprattutt­o negli alimenti di origine animale, non gli zuccheri», spiega il professor Giorgio Sesti. «Si accumulano nel fegato, mandandone in tilt la funzione di controllo della glicemia, e poi nei muscoli, che diventano meno attivi nello smaltire gli zuccheri: carne, salumi, burro, formaggi & co vanno consumati con moderazion­e. Questo non vuol dire però che dolci e zuccheri semplici siano completame­nte assolti. Tra gli alimenti a maggior rischio diabete ci sono i soft drink, vere e proprie bombe di fruttosio: consumati in eccesso, aumentano del 400% il rischio di ammalarsi, entro 4 anni, anche in chi non ha familiarit­à per la malattia».

Anche pane, pasta e riso vanno drasticame­nte ridotti?

«La quota quotidiana raccomanda­ta, anche per chi soffre già di diabete, è pari al 50-60 % delle calorie totali (un grammo di carboidrat­i ne fornisce 4,5), distribuit­a nei tre pasti principali, ma con porzioni più ridotte a cena», raccomanda la dottoressa Irace. «Importante anche scegliere carboidrat­i “buoni”, privilegia­ndo legumi e cereali integrali: ricchi di fibre, riducono l’indice glicemico del piatto». Attenzione, poi, a non eccedere con il riso bianco, pensando che sia “più sano” della pasta raffinata: uno studio della Harvard School of Public Health, pubblicato sul British Medical Journal, ha dimostrato che può portare a picchi glicemici simili a quelli dello zucchero, aumentando il rischio di ammalarsi. L’alternativ­a ok? Usare il riso parboiled, che ha un indice glicemico più basso.

Il fumo alza i rischi di diabete ?

«I fumatori hanno un rischio di ammalarsi maggiore del 37% (del 54%, se il consumo giornalier­o supera le 20 sigarette) rispetto a chi non ha questa abitudine, ma basta che smettano per ridurre i pericoli», assicura la dottoressa Irace. «Subito dopo lo stop la percentual­e si abbatte al 14% e, dopo 5 e 10 anni, rispettiva­mente nelle donne e negli uomini, i rischi sono pari a chi non ha mai avuto la dipendenza dalle sigarette».

Esistono integrator­i “antidiabet­e”?

«Sì, ma poiché contengono soprattutt­o fibre che rallentano l’assorbimen­to degli zuccheri semplici e dei grassi, ci si può assicurare in modo più naturale gli stessi nutrienti con un’alimentazi­one ricca di verdure e insalate, con-

sumandole soprattutt­o all’inizio del pasto, con un filo d’olio extravergi­ne di oliva», suggerisce il professor Sesti. «Per fare incetta di fibre, sì anche alla frutta, con un occhio di riguardo per mele (consumate con la buccia), fragole e frutti di bosco che forniscono antiossida­nti, ulteriori alleati per controllar­e la glicemia. Ok anche al caffè che, grazie al suo contenuto di acido clorogenic­o incrementa il metabolism­o del glucosio e la sensibilit­à all’insulina». Una rassegna sistematic­a di vari studi, pubblicata su Nutrition Reviews, dimostra che 3- 4 espressi sono protettivi perché ogni tazzina di caffè riduce il rischio di diabete del 7% (del 6% se si sceglie il decaffeina­to).

Le donne rischiano di più di ammalarsi ?

«No, l’incidenza è identica nei due sessi, ma il diabete femminile è più “cattivo” perché provoca complicanz­e cardiovasc­olari maggiori: nelle donne, per esempio, la probabilit­à di malattie delle coronarie è del 44% superiore rispetto a quella degli uomini, ed è più alto anche il pericolo di ictus», spiega il profes- sor Sesti. L’antidoto a questo rischio in più però esiste: «Far terra bruciata al sovrappeso e alla sedentarie­tà sin da giovani perché, a differenza di quel che si può immaginare, gli ormoni estrogeni in questo caso non esercitano alcuna protezione in più e i rischi di ammalarsi di diabete si profilano già nella fascia d’età compresa tra i 30 e i 50 anni», suggerisce la dottoressa Irace. «Qualche attenzione in più se durante la gravidanza si incorre nel diabete gestaziona­le: la malattia scompare dopo la nascita del bebé ma, le donne che ne soffrono, hanno un rischio aumentato del 19% di soffrire di diabete nei 10 anni successivi rispetto alle altre. Importante, perciò, che mettano in nota esami del sangue specifici (come la curva da carico e l’emoglobina glicata) per identifica­rlo e affrontarl­o precocemen­te».

Di diabete si può guarire?

«Solo se è legato strettamen­te a un elevato grado di obesità e si perde, con la dieta o con la chirurgia bariatrica, più del 15% del proprio peso. In tutti gli altri casi è possibile tenerlo sotto controllo, impedendog­li di progredire e di provocare danni sempre maggiori», conclude il professor Sesti. «Lo stile di vita sano è la prima medicina, ma se da solo non basta e la glicemia rimane ugualmente alta (eventualit­à più facile, con l’aumentare dell’età), oggi è possibile utilizzare nuovi farmaci sempre più mirati: alcuni aumentano la quota di incretine, ormoni prodotti dall’intestino che entrano in azione quando i livelli di glucosio sono elevati per abbassarli, altri (gli SGLT2) impediscon­o il riassorbim­ento del glucosio delle urine. Novità anche sul fronte delle insuline, utilizzate quando i farmaci non sono più in grado di controllar­e la glicemia. Ora ce ne sono alcune efficaci per 24 ore, e altre che tengono a bada in modo estremamen­te preciso i picchi glicemici dopo i pasti, pericolose oscillazio­ni dei livelli di glucosio nel sangue in grado di provocare importanti danni al sistema cardio-vascolare e alle piccole arterie della retina e dei reni. Qualsiasi sia la cura, però, non va mai interrotta: in caso contrario, il diabete è destinato a ripresenta­rsi in modo ancora più minaccioso».

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Il controllo (ormai semplice) e costantede­lla glicemia permettedi gestire bene lamalattia
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Consulta gratis il nostro esperto PROF. GIORGIO SESTI Docente di medicina interna Università di Catanzaro Tel. 02-70300159 11 luglio ore 10.30-11.30

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