« All’improvviso ho iniziato a odiare la luce»
Raffaella ha sofferto per molti anni prima di scoprire che i suoi problemi erano dovuti alla sindrome di Sjogren, una malattia che si cura con successo
Iprimi sintomi sono comparsi nell’estate del 2009, poco prima di partire in vacanza per la Corsica. Da un giorno all’altro ho cominciato a soffrire di una forte forma di fotofobia. Sole, neon, tv, lampade alogene… Qualsiasi luce mi colpiva gli occhi come un grande abbaglio da cui ripararsi. All’inizio ho dato la colpa al nuovo monitor del computer che mi avevano installato in ufficio. Forse era troppo luminoso e la luce blu che emanava mi aveva sensibilizzato gli occhi. Ma poi ho intuito che c’era qualcosa di più serio di un’irritazione passeggera. Nel giro di poco tempo, la mia intolleranza alla luce era diventata tale che io e mio marito, in piena estate, cenavamo alla sera con le tapparelle abbassate, alla luce fioca di un abat-jour. Inoltre mi sentivo sempre stanca o meglio, spossata, con le congiuntive degli occhi terribilmente secche: come se il film lacrimale si fosse prosciugato.
PER IL MEDICO ERA SOLO STRESS
Al mattino mi svegliavo con una fastidiosa sensazione di bocca asciutta, al pomeriggio subentrava il mal di testa mentre alla sera spuntava puntualmente un lieve rialzo febbrile: 37,1° o 37,2°. Quanto bastava per sentirmi a pezzi e con le energie sotto i piedi. Che diavolo avevo preso? Il medico di base a cui mi rivolsi liquidò i miei disturbi come “segni di stress”: in vacanza mi sarebbe passato tutto. Invece no. La settimana in Corsica fu un incubo, con me sempre pronta a schivare la luce del sole con spessi occhiali da velista e a temere come un nemico il vento, che accentuava la mia fastidiosissima secchezza oculare.
I DISTURBI NON PASSAVANO Anche la successiva vacanza in Normadia e in Bretagna si rivelò tutt’altro che rilassante. I disturbi non passavano e gli occhi mi facevano male: era come se fossero “screpolati”. E poiché era ferragosto e non sapevo a chi rivolgermi, andai al pronto soccorso dell’ospedale Niguarda di Milano, dove mi riscontrarono delle microabrasioni a entrambe le cornee. Strano: io non portavo lenti a contatto, non mi truccavo né mi ero sfregata gli occhi. Soprattutto, non mi tornava che il danno fosse bilaterale. Mi rivolsi quindi a un oculista che mi fece subito il test di Schirmer che utilizza delle striscioline di carta assorbente, “appese” alle congiuntive, per misurare la produzione lacrimale. Manco a dirlo, non avevo più mezza lacrima e la totale assenza del film idrolipidico protettivo aveva abraso le cornee.
POI, FINALMENTE, LA DIAGNOSI Sospettando una patologia autoimmune, l’oculista mi suggerì di rivolgermi a un reumatologo che mi prescrisse subito una batteria di esami immunoematologici. Sì, avevo una reazione autoimmune e i miei sintomi erano compatibili con la sindrome di Sjogren, una malattia infiammatoria cronica che porta all’autodistruzione delle ghiandole lacrimali e salivari. Perché mi era venuta? Non si sa. Dagli esami risultava che avevo contratto sia il Citomega-
lovirus sia l’Epstein Barr (il virus della mononucleosi), due infezioni che lasciano dei lunghi colpi di coda e possono mandare in tilt il sistema immunitario. Chissà, forse avevano favorito la malattia. Una volta stilata la diagnosi, il reumatologo mi prescrisse due farmaci da prendere tutti i giorni: la compressa di immunosoppressore (aziatioprina) per tenere a bada il sistema immuni- tario che si era scagliato contro le mie povere ghiandole, e il cortisone per spegnere l’infiammazione. Inutile dire che quest’ultimo, che presi per circa sei mesi, mi gonfiò come un pallone. Ma almeno cominciavo a recuperare un po’ di forze e a dare scacco matto alla febbre. Quanto agli occhi, vivevo e vivo tuttora di lacrime artificiali. Le metto in continuazione per lenire la tensione e la disidratazione oculare, mentre alla sera prima di andare a dormire spalmo agli angoli un gel oculare lubrificante dalla consistenza pastosa perché nel sonno, in mancanza di ammiccamento, il problema si accentua e rischio di svegliarmi con le palpebre “incollate”, da quanto ho gli occhi secchi. Costretta dalla situazione, ho preso l’immunosoppressore per quattro anni di fila. Fortunatamente, appena smesso il cortisone mi sono sgonfiata e sono rientrata in linea.
ORA NON HO PIÙ BISOGNO DI PILLOLE Il fatto di essere farmaco-dipendente, con un sistema immunitario pronto a risvegliarsi e ad aggredire, mi amareggiava molto. Inoltre, i primi tempi ripetevo spesso gli esami del sangue, per monitorare la situazione e la mia risposta alla terapia. Poi i controlli hanno cominciato a diradarsi, uno ogni sei mesi, e ora faccio un check completo all’anno. Ma la cosa più sorprendente è che da circa quattro anni ho abbandonato qualsiasi pillola. Clinicamente sono guarita e i sintomi sono a poco a poco rientrati tranne, appunto, la secchezza agli occhi con cui ho imparato a convivere, tra gocce di colliri e lacrime di tutti i tipi. So che è tipico delle patologie autoimmuni questo andamento altalenante. Però sono riuscita ad affrancarmi dai farmaci e questo per me è un bellissimo traguardo. Il mio augurio a chi soffre della sindrome di Sjogren? Di approdare a una diagnosi in tempi più rapidi dei miei, che ho iniziato a odiare la luce l’estate di nove estati fa.
LA SINDROME COLPISCE 5-10 PERSONE OGNI 100.000 ABITANTI.
E IN 9 CASI SU 10 SONO LE DONNE A SOFFRIRNE.