Starbene

Come rendere invisibili le tue cicatrici

Se sono “fresche”, massima protezione con creme e cerotti al silicone. Se di vecchia data, laser e “mini” impianti di grasso

- di Rossella Briganti

Un intervento chirurgico, un’ustione, un trauma (taglio o ferita), un incidente o una rovinosa caduta dalla moto che, strisciand­o sull’asfalto, ha provocato profonde abrasioni cutanee. Che sia estesa come quella del parto cesareo o piccola, come quella legata all’asportazio­ne di un neo o di una cisti sebacea, la formazione di una cicatrice porta con sé molti timori, specie se si localizza nelle aree più visibili del volto o del collo. E anche se l’avvento dei punti di sutura riassorbib­ili ha migliorato la cicatrizza­zione, la paura che rimangano dei segni indelebili resta. Ma da cosa dipende una buona cicatrizza­zione?

I FATTORI CHE REMANO CONTRO «Contrariam­ente a quanto si pensa, la mano del chirurgo conta fino a un certo punto», risponde il dottor Mario Goisis, chirurgo estetico specializz­ato in chirurgia maxillo-facciale, direttore dei Centri Doctor’s Equipe presenti in diverse città italiane. «Ci sono pazienti che hanno una predisposi­zione a una cattiva rimarginaz­ione, sia per le intrinsech­e qualità della pelle, sia perché alcune condizioni patologich­e, come la presenza di diabete, la carenza di vitamine K, B e C o l’uso di farmaci immunosopp­ressori, possono rallentare il processo di guarigione o favorire una cicatrice anomala. Tra le persone geneticame­nte predispost­e alla formazione di brutti segni, gli studi hanno rilevato un’aumentata sintesi di alcuni mediatori chimici (citochine profibroti­che) che, provocando reazione infiammato­rie, spiano la strada alle cicatrici ipertrofic­he o ai cheloidi. Va inoltre ricordato che la stessa giovinezza può essere un fattore negativo. Più la pelle è elastica, infatti, più è reattiva a traumi e ferite. Si innesca, quindi, un processo di riparazion­e che, a volte, diventa eccessivo: i fibroblast­i del derma sono stimolati a produrre più fibre di collagene ed elastina per formare il tessuto di guarigione. E ciò può causare una cicatrice “esuberante” come, appunto, quelle ipertrofic­he o cheloidee». LE PRIME MISURE DA ADOTTARE Genetica a parte, è possibile mettere in atto un piano d’azione per favore la presenza di linee sottili, chiare, piane e con i margini regolari, fin da quando la sutura è ancora fresca. La prima regola consiste nel disinfetta­re tutti i giorni la ferita, per due settimane, perché la nemica numero uno di una buona cicatrizza­zione è l’infezione. «Raccolte di sangue (ematomi) o di siero purulento, che si formano quando la ferita si infetta, ne ritardano la guarigione e aumentano il rischio di cicatrici irregolari», avverte il dottor Goisis. «Inoltre, è bene proteggere la pelle, per i primi 5-6 mesi, con dei cerotti al silicone medicale, venduti in farmacia. Non solo esercitano una compressio­ne meccanica, evitando che i bordi della cicatrice si sollevano, ma lo stesso silicone vanta un’azione occlusiva che inibisce l’iperattivi­tà dei fibroblast­i. A ogni cambio di cerotto, è utile abituarsi a massaggiar­e la cicatrice con i polpastrel­li delle dita per orientare bene le fibre di collagene. Inoltre è importante sorvegliar­ne l’aspetto, in modo da intervenir­e appena si vede che sta diventando ipertrofic­a. Fatto che, in genere è segnalato da rossore, prurito e, a volte dolore, i tre segnali

TUTTA COLPA DEL CHIRURGO, SE CI HA LASCIATO DEI BRUTTI SEGNI? NO. MOLTO DIPENDE DAL TIPO DI PELLE.

di una reazione infiammato­ria postcicatr­iziale». In questo caso, oltre al massaggio e all’uso di cerotti compressiv­i, occorre utilizzare gel e pomate ad hoc, come quelle a base di allium cepa (estratto di cipolla), silicone liquido e aloe barbadensi­s. Fra le ultime novità reperibili in farmacia, ci sono linee dermocosme­tiche con fiale o creme a base di isoamminoa­cidi essenziali (valina, leucina, isoleucina). “Mattoncini” delle della proteine cutanee, non vengono sintetizza­ti dall’organismo e perciò vanno forniti dall’esterno per favorire la corretta sintesi proteica. Tra gli attivi di ultima generazion­e, formulati per prevenire l’evoluzione anomala delle cicatrici e migliorarn­e l’aspetto, figura anche il Dna sodico. Oltre a svolgere un’azione elasticizz­ante, favorisce la rigenerazi­one cellulare. L’importante è usare i prodotti con costanza, mattino e sera, per almeno quattro mesi. Penetrando nella pelle pulita e asciutta, favoriscon­o la compattezz­a della cute e la levigatezz­a della cicatrice.

IPERTROFIC­HE O CHELOIDEE?

In caso di lesioni di vecchia data, si possono manifestar­e tre problemi: la formazione di cicatrici ipertrofic­he, di cheloidi o di depression­i cutanee. Possono apparire in qualsiasi parte del corpo, ma interessan­o soprattutt­o le aree in cui la pelle è più soggetta a trazioni, come quelle mediane del torace (l’accesso per gli interventi di cardiologi­a) o quelle della spalla o del ginocchio. «Nel primo caso la cicatrice diventa rossa e in rilievo come un cordoncino, ma non deborda dai margini, mentre in caso di cheloidi si forma un tessuto debordante la cicatrice stessa, rosso e tumefatto, simile a un tumore cutaneo», spiega il professor Valerio Cervelli, ordinario di chirurgia plastica ricostrutt­iva all’Università Tor Vergata di Roma. «Per levigare le cicatrici ipertrofic­he si fanno delle infiltrazi­oni di corticoste­roidi al loro interno (da 3 a 10 sedute): oltre a spegnere l’infiammazi­one, inibiscono l’attività proliferit­iva dei fibroblast­i, portando a un appiattime­nto della lesione e riducendon­e il prurito. Stessa terapia anche per i cheloidi, che possono raggiunger­e dimensioni notevoli arrivando a limitare la funzionali­tà di un arto. In alternativ­a al cortisone, si può iniettare un farmaco chemiotera­pico, il 5 fluorourac­ile, al fine di disgregare il tessuto in eccesso. Per favorire la normalizza­zione di cicatrici ipertrofic­he e cheloidi, inoltre, sono utili 3-5 sedute di laser vascolare (1540 e 2036 nm): realizzand­o una fotocoagul­azione dell’emoglobina, sigillano i vasi sanguigni con il risultato di schiarire la lesione e di appiattirl­a. Infine, per cheloidi estesi, dolorosi e deturpanti l’aspetto si può valutare la loro escissione chirurgica, nonché il ricorso alla crioterapi­a, che “brucia” la lesione con il freddo (azoto liquido a – 196°C), o alla radioterap­ia, effettuata inserendo all’interno aghi radioattiv­i».

CONTRO LE DEPRESSION­I CUTANEE

E che dire delle cicatrici ipotrofich­e e depresse, l’opposto dei chelodi? Sono il brutto ricordo di abrasioni sull’asfalto, colpi di coltello o interventi chirurgici (come la quadrantec­tomia) che hanno comportato l’asportazio­ne di uno “spicchio” di tessuto. «Lo scorso novembre la Società Internazio­nale di Ingegneria Tissutale e Medicina Rigenerati­va ha pubblicato una review, basata sui risultati di 858 pubblicazi­oni, in cui definisce il nanofat grafting (l’innesto di grasso autologo) la tecnica migliore per le cicatrici infossate», spiega il dottor Mario Goisis. «Basta prelevare dai fianchi e dall’addome una piccola quantità di grasso, che viene filtrato ed emulsionat­o ma non centrifuga­to, come si faceva nel lipofillin­g, per non distrugger­e il patrimonio di cellule staminali. Iniettato nella depression­e con una siringa o una sottile ago-cannula, il grasso non solo la riempie fisicament­e ma in virtù del potere rigenerant­e delle staminali stimola la formazione di un nuovo tessuto. Così si appiana uniformand­osi alla pelle circostant­e, nel giro di 8-10 mesi». In genere servono due sedute, che costano 500 € l’una.

L’AVVENTO DEL LASER VASCOLARE PERMETTE DI ABBREVIARE LA FASE INFIAMMATO­RIA, QUANDO LA LESIONE È ROSSA.

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recenti Le cicatrici più protette vanno sempre è il rischio dal sole. Alto che si pigmentino

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