«Mi sono liberata del fumo grazie alla mia bambina»
Per far leva sulla propria forza di volontà, Annamaria ha stretto un patto segreto con sua figlia, che allora aveva solo sei anni
Avevo 16 anni quando ho ricevuto il “battesimo della sigaretta”. Accenderla per me è stato un gesto naturale perché tutti nella mia famiglia fumavano. Mio padre, che oggi ha quasi 90 anni, non hai mai smesso e mia mamma, che ne ha 88, ha abbandonato il vizio da soli due anni per problemi di salute. Anche mia sorella e mio fratello fumavano. Al liceo, allora, non c’era studente senza sigaretta in bocca. Fumare era una moda, un’abitudine trasversale a ogni ceto, età, generazione. Così ho cominciato e, poiché i miei genitori erano dei tabagisti incalliti, non vedevano nulla di strano che anch’io fumassi in casa. Fino a 31 anni, però, il fumo non ha mai assunto i connotati della dipendenza. Accendevo una sigaretta ogni tanto, quando uscivo in compagnia o mi sentivo un po’ stressata per gli esami: un pacchetto mi durava 10-15 giorni.
LA DIPENDENZA DOPO LA QUIETE Quando mi sono sposata e, a 31 anni, ho pensato che avrei voluto concepire un figlio, ho preso la decisione di smettere. Non sopportavo l’idea di poter nuocere al piccolo che tenevo in grembo e mi sono astenuta dalle “bionde” per un lungo periodo, da prima della gravidanza fino al termine dell’allattamento dei miei figli. A due anni di distanza dalla nascita di Ruggero, infatti, ho dato alla luce Miriam. Credevo di essermi sbarazzata per sempre dal fumo ma di lì a poco sono stata presa da gravi problemi legati ai pessimi rapporti con la famiglia di mio marito. Allora mi sono riattaccata alla sigaretta come unica ancora di salvezza, gesto rituale in cui sfogavo tutte le mie tensioni emotive. Sono arrivata a fumare tre pacchetti di Camel al giorno. La sigaretta scandiva ogni momento della mia giornata: al mattino, appena sveglia, tastavo il comodino in cerca del pacchetto e alla sera fumare era l’ultimo gesto che facevo prima di addormentarmi. Anche se in apparenza tirare le boccate mi calmava, in realtà cominciavo ad avere dei sintomi fastidiosi: gola secca, tosse, senso di ottundimento, debolezza fisica, mal di testa e mancanza di appetito. Dimagrivo a vista d’occhio e in cuor mio sapevo che dovevo smettere. Ogni tanto provavo a ridurre il numero, “scalando” gradualmente, ma
QUANDO FUMAVO TRE PACCHETTI AL GIORNO MANGIAVO MECCANICAMENTE, SENZA ASSAPORARE NULLA. ORA HO RITROVATO IL GUSTO.
senza ottenere alcun risultato. Allora facevo leva sulla mia forza di volontà e mi imponevo di smettere di colpo, passando da 60 sigarette a zero.
IL NOSTRO PATTO SEGRETO Funzionava? Sì e no. I giorni di astinenza ero assalita da un forte nervosismo che sfogavo sul cibo: mangiavo biscotti, budini, creme e tiramisù a ripetizione. Finché mio marito, vedendomi ultranervosa e affamata, mi accendeva lui stesso la sigaretta e me la porgeva dicendomi: “Fuma, va’, che ti passa tutto”. Ho trascinato questa forte dipendenza per tre anni, non senza sensi di colpa verso i bambini che erano costretti a inalare le mie nuvolette. Finché un giorno Miriam, che faceva la prima elementare, è tornata a casa da scuola con il volto scuro: le avevano fatto una lezione sulle malattie causate dal tabagismo ed era preoccupata per la mia salute. Voleva che sua mamma smettesse di fumare. La sua richiesta mi ha commosso. Così ho scelto di trasformare mia figlia nella più tenera alleata, il “tutor” della mia salute e dei miei buoni propositi. Le dissi: «Facciamo un patto. Io da oggi rinuncio al fumo. Ma tu non dirlo a nessuno. Resta un segreto tra me e te. E se mi vedrai prendere in mano una sigaretta o armeggiare con il pacchetto, sei autorizzata a sgridarmi. Ma senza che nessuno venga mai a sapere nulla»· Il patto ha funzionato, non volevo deludere mia figlia. Ma liberarsi dalla dipendenza è stato tutt’altro che facile. I primi quattro giorni senza aspirare sono stati pesantissimi. Vedevo stecche di sigarette dappertutto e il secondo giorno non riuscivo a sollevarmi dal letto: il mio corpo era come cemento, mi sentivo debole e quasi in stato “comatoso”. Per tirarmi su, ho bevuto 15 caffè e ho deciso di non fiondarmi sul cibo, come nei precedenti tentativi di disuassuefazione, ma di andare a correre. Alle sei di mattino infilavo le scarpe da tennis e facevo jogging lungo il Percorso Verde di Perugia, prima di andare al liceo dove insegnavo psicologia e filosofia. All’inizio ero scarica, senza fiato. Correvo un quarto d’ora e mi sembrava uno sforzo titanico. Poi, cominciando a disintossicarmi, sentivo riaffiorare le forze. Nel giro di un mese non avevo più il fiatone e la tosse. Inoltre ricominciavo a gustare i cibi, perché il fumo mi aveva tolto odori e sapori.
LA MIA ESPERIENZA AL SERVIZIO DI ALTRI Durante l’operazione “antifumo” bevevo latte freddo e thé verde. Non me li avevano consigliati ma ero convinta che mi aiutassero a depurarmi. La mia forza di volontà cresceva di giorno in giorno, alimentata da Miriam che, da brava “supporter”, mi incoraggiava sempre lodando i miei successi. Una volta fuori dal tunnel, ho deciso di mettere la mia esperienza di ex fumatrice accanita a disposizione degli altri, aiutandoli a smettere. Da qualche anno sono diventata life coach esperta nel trattamento delle dipendenze: non solo quella da nicotina, ma anche dal cibo, dall’alcol, dal gioco, dalle droghe. Persino la dipendenza affettiva che ci lega a un uomo o una donna “sbagliati”. Se avessi avuto qualcuno che mi avesse teso la mano, in quei tre anni vissuti con la sigaretta accesa, ne sarei uscita prima. Ma né la mia famiglia di origine né mio marito mi hanno incoraggiato a farlo. Solo la mia bimba di sei anni, oggi quasi 30enne, miha indotto a fumare la famosa ultima sigaretta.