Starbene

«Pietro non può camminare e io lo porto in spalla»

Chiara è istruttric­e di nordic walking e spesso, quando esce sulle sue montagne, si fa accompagna­re dal figlio, un bambino speciale

- Testo raccolto da Anna Pugliese

Io e lo sport eravamo due mondi agli antipodi, mai avrei pensato che il cammino, il fitness, sarebbero entrati in modo così dirompente nella mia vita. Prima dei 30 anni avevo concluso l’università e il percorso di formazione come dirigente d’azienda ed ero impegnata a far carriera in un’impresa di abbigliame­nto. Vivevo in Trentino, circondata da bellissime montagne, eppure considerav­o il trekking un’attività rilassante, ma limitata a qualche passeggiat­a nel fine settimana. C’era anche il desiderio, con mio marito, di creare una famiglia più ampia. E nel luglio del 2007 è finalmente arrivato il nostro splendido Pietro. Qualcosa non andava, però: il bambino manifestav­a difficoltà motorie e, a 4 mesi dalla sua nascita, è arrivata la diagnosi di paralisi cerebrale infantile. Non avrebbe mai parlato né camminato, non poteva usare bene le mani. Ho affrontato la situazione cercando di essere il più possibile presente e vicina a Pietro; mi sono organizzat­a per lavorare anche da casa, evitando di andare in ufficio ogni giorno. Per un anno mi sono arrangiata così, sdoppiando­mi.

ALL’INIZIO HO DECISO DI DEDICARMI SOLO AL MIO PICCOLO

Poi ho capito che mio figlio meritava la massima attenzione e ho smesso di lavorare, per seguirlo. Volevo aiutarlo il più possibile, a casa seguivo alla lettera tutte le indicazion­i del servizio di neutropsic­hiatria infantile dell’ospedale. Ovviamente da mamma, non da profession­ista del settore sanitario. Facevamo, diciamo, con grande impegno i “compiti per casa”. Qualsiasi cosa proponessi perciò a Pietro era un pretesto per far- lo esercitare, per farlo muovere. Non c’erano più giochi spensierat­i. Finché Pietro ha cominciato a stufarsi, mi ha fatto capire che non era questa la strada giusta, che stavo stressando sia lui sia me . Mi mancava un equilibrio. Avevo bisogno di riprenderm­i degli spazi solo per me stessa perché, se non hai delle occasioni per ricaricart­i, poi non riesci più a donarti agli altri. Ho così accettato, serenament­e, che Pietro non avrebbe mai camminato, cosciente del fatto che fosse un bimbo tranquillo, positivo. Riflettend­o su ciò che avrei potuto ancora fare per lui, ho pensato che sarei stata io “le sue gambe”. Me lo sarei caricata sulle spalle, nello zaino, per fargli vedere lo splendido mondo che ci circondava. Però, per sostenere il suo peso, avevo bisogno di un po’ di allenament­o, di riprendere a muovermi più seriamente.

POI HO SCOPERTO UNA PASSIONE CHE POSSO CONDIVIDER­E CON LUI Casualment­e mi ero imbattuta, poco tempo prima, nel primo libro di Pino Dellasega, il fondatore della Scuola italiana nordic walking. Il libro si intitolava sempliceme­nte “Nordic Walking” e nelle prime pagine aveva un pensiero che sembrava scritto per noi. L’autore lo dedicava alle persone ammalate, a chi non aveva la gioia di camminare, a chi poteva raggiunger­e la montagna solo grazie a chi gli voleva bene. Magari se non ci fosse stato Pietro quelle parole sarebbero sfilate veloci sotto i miei occhi. Invece mi entrarono nel cuore e furono il mio primo passo verso questa disciplina. Così lo contattai per iscrivermi a un corso base e mi sono accorta, fin dalle prime uscite, che avevo trovato l’attività giusta per me. La camminata con i bastoncini, infatti, non era una semplice passeggiat­a, ma un vero e proprio esercizio di fitness, per tutto il corpo. E l’impegno, capita la tecnica, si faceva via via sempre più intenso. Permetteva di allungare la falcata, di andare più veloce, ma allo stesso tempo di lavorare in modo più energico non solo con braccia e spalle, ma anche con gli addominali profondi, per mantenere la postura corretta, con la schiena, che si rinforzava e al tempo stesso si decontraev­a, e con i glutei. Inoltre era evidente quanto passare delle ore all’aperto, facendo nordic walking, mi aiutasse a rilassarmi, a dimenticar­e medici a notti insonni, a

ritrovare forza ed entusiasmo. Insomma, una gran bella scoperta e un ottimo modo per allenarmi in vista di gite più impegnativ­e con Pietro. Sì, perché il mio obiettivo era di condivider­e la mia passione con lui.

ORA ORGANIZZO VIAGGI “IN CAMMINO” Era la fine del 2010 e nel 2011 ero già istruttric­e della Scuola italiana nordic walking. Avevo capito quanto mi piacesse questo sport e, abituata a dare sempre il massimo, a pormi degli obiettivi, avevo voluto affrontare il corso istruttori. Non tanto per insegnare, in realtà, quanto per migliorarm­i e affinare la tecnica. Questa attività mi ha così coinvolta che mi sono poi offerta per contribuir­e alla gestione amministra­tiva e finanziari­a della scuola. Grazie ai miei studi avevo la formazione adatta e pensavo di poter aiutare a far crescere il movimento; mi sono messa a disposizio­ne e, sino all’aprile del 2018, ho gestito la segreteria. È stato un impegno in più, importante, che mi ha portato a conoscere splendide persone, che mi hanno arricchito e migliorato. Di pari passo mi ha permesso di rendere le escursioni con Pietro, i nostri splendidi giri nella natura, sempre più frequenti, lunghi, coinvolgen­ti. Lui ne è entusiasta, sono momenti di serenità che ci regaliamo, anche sui sentieri vicini a casa. O magari nella zona del passo Rolle, al Castellazz­o, dove c’è il meraviglio­so itinerario del Cristo Pensante. Insieme a Pino Dellasega, poi, è partito anche il progetto Ways, un’associazio­ne sportiva che organizza viaggi a piedi. Si tratta di itinerari che vanno dal week end alla settimana, dalle Alpi al Cammino di Santiago. Vacanze semplici, spartane, che molti di quelli che partecipan­o affrontano con la voglia di cambiare, di mettersi in gioco. Anche questa è stata una decisione azzeccata: mi ha permesso di conoscere persone che hanno affrontato grandi cambiament­i, scelte anche difficili, spesso maturate proprio durante o in seguito a un cammino. Mi ha offerto l’occasione per crearmi un lavoro su misura, curando l’organizzaz­ione del progetto, e per staccarmi dal mio nido, un paio di volte all’anno, per partecipar­e a questi viaggi. Così ho imparato a chiedere aiuto a parenti e amici per la gestione di Pietro. Prima, quando lui non c’era, pensavo di dover fare sempre tutto da sola. Così ho scoperto che intorno a noi c’è una rete importante di persone che ci sostengono. Ho capito che ritagliarm­i qualche giorno fuori dalla routine mi permette di tornare più carica ed efficiente. Ho scoperto che anche Pietro ama questi piccoli stravolgim­enti periodici nella sua vita. E che il cammino è una parte importante della nostra vita. Che lui sulle mie spalle sta bene. E io, che lo porterò finché il suo peso me lo consentirà, insieme a lui, vedo il mondo con occhi più sensibili e incantati.

«DA QUANDO PRATICO QUESTO SPORT, LA MIA VITA È CAMBIATA IN MEGLIO. È DIVENTATO ANCHE UN LAVORO CHE NON RUBA TEMPO ALLA MIA FAMIGLIA».

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