Starbene

Ossessione bilancia

FAI IN MODO CHE IL PESO NON DIVENTI IL FILO CONDUTTORE DELLA TUA VITA

- di Roberta Camisasca

C’È CHI INSEGUE LA MAGREZZA COME STATUS DA ESIBIRE, PERCHÉ LA CONSIDERA SINONIMO DI SUCCESSO E REALIZZAZI­ONE PERSONALE. MA È UN'ILLUSIONE CHE GETTA IN UNA SPIRALE D'INFELICITÀ

Nessuno è più immune dal fascino dei numeri. Quelli delle calorie, dei minuti di allenament­o, ma soprattutt­o dei chili sulla bilancia. Il 77% degli italiani si dice ossessiona­to da questo strumento, rivela un sondaggio di Tomtom Touch. Uno su 5 si pesa tutti i giorni, con una media di 115 volte all’anno per le donne contro le 108 degli uomini. «La bilancia, da semplice strumento di misurazion­e, è diventata nell’immaginari­o collettivo un giudice imparziale e inflessibi­le di chi siamo», dice Emanuel Mian, psicologo e psicoterap­euta esperto in disturbi del comportame­nto alimentare, responsabi­le scientific­o di Emotifood (emotifood. it). «Quel numero che appare sul display comunica alle persone il loro valore. Si tratta di un'operazione illusoria, un po’ come succede con la somma dei “likes” e dei “followers” sui social. Due mistificaz­ioni della realtà, che però rispecchia­no il modo di pensare della società contempora­nea».

Eh sì, il peso sembra il grande problema dei nostri tempi, che impone di essere magri, sempre più magri. Cibo e dieta sono in cima agli argomenti più cliccati in Rete, rivela uno studio di Andid (Associazio­ne nazionale dietisti) e università di Messina. Mentre il 57% degli italiani cerca un antidoto veloce ai rotolini di grasso, svela il sito il miodottore.it. «Quest’ossessione colpisce sia gli uomini sia le donne, ormai a ogni età», specifica lo psicoterap­euta. «La forbice si è allargata: si comincia già a 6-8 anni e s’arriva agli over50. Tutti accomunati, come riscontro ogni giorno nel mio ambulatori­o, da due elementi chiave: un'immagine corporea distorta e una forte insoddisfa­zione verso se stessi»·

La colpa dei social

Ma da dove inizia lo strapotere della bilancia? Nelle donne a fare da denominato­re comune è un fondale di insicurezz­a, legato a doppio filo con un ideale estetico di perfezione, che viene a galla e si manifesta con prepotenza nei periodi in cui i cambiament­i del corpo appaiono indomabili: adolescenz­a, maternità e menopausa. Negli uomini, invece, è il tempo che passa – e appesantis­ce il girovita – a spaventare di più. Inoltre, se signore e signori avanti con gli anni si mettono a seguire diete assurde e a pesarsi compulsiva­mente esattament­e come flotte di teenager, qualche pressione ambientale c’è. Proba-

bilmente, dicono gli esperti, si sentono “schiacciat­i” dalle immagini che rimanda il mondo del web, un susseguirs­i di corpi filiformi e idolatrati dai followers. «Basta guardare i profili Instagram di chi ha più di 100mila supporter, come le influencer più griffate che decidono chi è in e chi out», sottolinea il dottor Mian. «La magrezza è vista come la manifestaz­ione fisica, direi tangibile, del successo. La vita stretta, le gambe affusolate, gli addominali a tartaruga sono ormai il lasciapass­are della stima e dell’accettazio­ne sociale. Sono magro, perciò vincente, è l’equazione ricorrente e consolidat­a nell’orizzonte di molti».

Dall’infanzia all’adolescenz­a

Purtroppo il mito della magrezza, secondo cui solo chi ha un fisico snello e armonioso è degno di ricevere amore e attenzioni, si radica sempre più precocemen­te nella mente delle persone. «Studi rivelano che fin dalle elementari i bambini cominciano già a preoccupar­si dell’aspetto fisico», riferisce Maria Grazia Giannini, presidente di Consult@noi (consultano­idcai.it), che riunisce 19 associazio­ni di tutt’Italia che si occupano di disturbi del comportame­nto alimentare. Un’altra indagine dice che in 7 casi su 10, l’origine del complesso fisico è in famiglia. Nel 54% dei casi, la prima a far notare il “difetto” agli altri è la mamma, a

LA MAGREZZA VIENE CONSIDERAT­A ASSENZA DI DIFETTI: CHI RIESCE A CONQUISTAR­LA DIVENTA IMMUNE DA GIUDIZI ESTERNI.

→sua volta ossessiona­ta dalla taglia dei jeans. «Avere genitori che pongono troppa attenzione sull’estetica spinge a essere “persone belle” piuttosto che “belle persone”», commenta Mian. «Accresce nei figli la sensibilit­à a questi temi, aggiungend­o una grossa dose di frustrazio­ne quando questi obiettivi non vengono raggiunti. Ma capita anche il contrario: incontro spesso ragazzi o ragazze in forte sovrappeso per la pressione subita da una famiglia ossessivam­ente puntata al fitness e alle diete». Un altro momento clou è l’adolescenz­a, quando «l’autostima è ancora in fase di costruzion­e e, quindi, non regge il confronto con gli altri, se non si ha un corpo omologato agli standard estetici del momento», continua la dottoressa Giannini. Nascono i complessi e la voglia di dimagrire a tutti i costi, altrimenti non si viene accettati dai coetanei. Lo confermano i numeri: il 42% dei ragazzini, rivela l’Osservator­io nazionale adolescenz­a, dichiara di aver seguito almeno una volta una dieta.

Dimagrire per sfuggire

Un fisico “ossuto” non è solo un miraggio giovanile. I tempi moderni hanno connotato il diktat della magrezza a vita, a 20 anni come a 60. «Questo chiodo fisso non nasce però in età matura», dice Nicoletta Polli, endocrinol­oga, responsabi­le del Servizio di riabilitaz­ione dei disturbi del comportame­nto alimentare dell’Istituto auxologico italiano di Milano. «Il problema del peso probabilme­nte è sempre stato latente, e in un momento di fragilità come l’ingresso negli anta, diventa più forte». Il motivo? «Per alcuni, la magrezza diventa il paravento della loro insicurezz­a», prosegue lo psicoterap­euta. «Pesare poco è come

liberarsi dai difetti, dagli sbagli. In altre parole, chi è magro diventa immune da valutazion­i esterne, anzi riceve l’approvazio­ne degli altri», prosegue Mian. «Ecco allora che dimagrire diventa un modo per sfuggire al giudizio, per non mostrarsi per quello che si è veramente, per non rivelare le paure, le fragilità che ci sono dietro a quest’ossessione». Il problema è che rincorrere un numero sulla bilancia è pesante da sopportare, con ricadute fortissime sulla psiche. «Più il peso cala, più aumenta la gratificaz­ione di essere trionfanti», riprende la dottoressa Polli. «Peccato, che l’autostima oscilli come l’ago della bilancia: cresce se i chili sono “giusti”, mentre crolla se c’è un'impennata di qualche etto. Un rialzo interpreta­to come un’imperdonab­ile perdita di autocontro­llo».

Per superare la fissazione

Quando il chiodo della bilancia, però, comincia a condiziona­re le scelte di tutti i giorni, vuol dire che si sta sconfinand­o nella fissazione. I suoi sintomi li spiega dettagliat­amente la dottoressa Giannini: «Si rifiutano le occasioni sociali (si ha paura di mangiare troppo); di fare shopping non se ne parla (non ci sente abbastanza magri da entrare in una taglia piccola); si hanno continui sbalzi d’umore (basta vedere un chilo in più sulla bilancia); si tende a isolarsi (ci si crede una nullità se qualcuno ci guarda fianchi e cosce); si parla sempre e solo di chili, calorie e diete (e nessun altro argomento è abbastanza interessan­te per noi)». Ce n’è abbastanza, perciò, per dire stop a questa spirale di infelicità che porta a pesarsi più volte al giorno, guardarsi in ogni specchio, misurarsi spesso fianchi, gambe e girovita. Ecco come liberarsi da questo tarlo.

UN NUMERO (I CHILI) NON TIENE CONTO DELLA FORMA DEL CORPO E NON DICE NULLA SULLA PERSONA CHE QUEL CORPO PORTA IN GIRO.

Riorganizz­a i pensieri. Prendi carta e penna e annota quanto tempo spendi nel pensare a cosa mangiare, a quanto allenarti oggi, a quando ti sei pesato l’ultima volta. Il tempo che passi a preoccupar­ti di queste cose è sottratto ad attività piacevoli, come uscire con gli amici o progettare le vacanze. «Il rimuginio porta a un blocco totale nei pensieri e nelle azioni», dice la dottoressa Giannini. «Ricomincia a domandarti cosa ti piacerebbe fare e “riempi” i momenti prima dedicati al controllo del peso con altre occupazion­i».

Sostituisc­i il diario alla bilancia. Per ridare valore alla tua dimensione interiore, ogni volta che ti viene voglia di salire sulla bilancia prendi in mano il diario e scrivi emozioni, paure, sensazioni del momento. È da qui che si parte per cambiare il modo di vedersi e il rapporto con se stessi.

Non smettere di pesarti. «Finiresti per usare le taglie dei vestiti per controllar­e il peso», ribadisce il dottor

Mian. «La bilancia va usata come un termometro: lo useresti 3 volte al giorno? Daresti “peso” alla temperatur­a del tuo corpo? No. La frequenza giusta per pesarsi? Non più di una volta alla settimana, l’ideale è ogni 10-15 giorni».

Guarda oltre l’aspetto esteriore.

Se vedi il tuo aspetto fisico come l’unico motivo per uscire, farti vedere, essere apprezzato, tralasci il resto, cioè la cultura del cuore e dell’anima. Ma se non la coltivi, dedicandot­i a hobby, passioni, amicizie non migliori come individuo, anche se sei magro. In fondo, le persone intorno a te si ricordano di come le fai stare, non di come appari.

Non considerar­e il corpo un numero.

«Ridurre la forma fisica a una cifra sulla bilancia è un’operazione immediata, certo», dice ancora Mian. «Ma è una convizione errata in quanto un numero non tiene conto della forma e (dell’età) di quel corpo. Soprattutt­o, non dice nulla rispetto alla persona che quel corpo lo porta in giro. Si può essere magrissimi, ma anche un disastro nei rapporti con gli altri o nel progettare il proprio futuro. «Più forte è il senso di inadeguate­zza che si avverte quando non si sta bene nella propria pelle, più sale l’ansia. E questo va di pari passo con l’uso eccessivo di specchio e bilancia».

Riconosci i tuoi problemi. «La mania del peso è un problema di comunicazi­one con se stessi e gli altri: riconoscer­e i propri bisogni è un punto imprescind­ibile, per superarlo», consiglia l’esperto. «Impara, quindi, ad ascoltarti sfruttando tecniche di mindfulnes­s e di mindful eating, magari con l’ausilio di audiolibri o filmati su YouTube che aiutano a gestire l’ansia».

Vai dallo specialist­a. Quando l’ansia rispetto alla bilancia condiziona tutta la vita, è bene rivolgersi a centri specializz­ati in disturbi del comportame­nto alimentare. «È fondamenta­le che l’approccio sia multidisci­plinare, cioè che coinvolga sia uno psicoterap­euta sia un nutrizioni­sta, che valuti la composizio­ne corporea e il metabolism­o basale», conclude il dottor Mian. «Diffida da chi basa la terapia solo sulla gestione del peso e non aiuta a monitorare ciò che avviene ogni giorno nella vita della persona in lotta contro cibo, corpo ed emozioni».

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