Starbene

Se il primario di urologia è una donna

Abbiamo incontrato Elisabetta Costantini, il primo “camice rosa” ad avere conquistat­o una posizione di vertice nella branca più maschile che ci sia

- di Valeria Ghitti

Prima la laurea in medicina poi la specializz­azione in urologia, entrambe con il massimo dei voti. Una carriera nella ricerca universita­ria che cresce parallela a quella clinica. Elisabetta Costantini ha un curriculum di tutto rispetto, che giustifica in pieno le due cariche attualment­e ricoperte, quella di professore associato di urologia all’Università di Perugia e quella di direttore (cioè primario) della Clinica urologica dell’Azienda ospedalier­a universita­ria di Terni. La particolar­ità? È, la prima donna, in Italia, a ricoprire le due cariche appena citate. Una vera e propria apripista in un ambito ancora ad alto tasso di testostero­ne. Nel nostro Paese, infatti, su un totale di 4908 urologi, solo 391 sono donne.

Perché ha scelto proprio l’urologia?

«Per caso, per passione e per scommessa. Il caso ha voluto che a Perugia, dove studiavo, stesse nascendo la Clinica universita­ria di urologia proprio quando dovevo scegliere dove fare l’internato e la tesi: ho optato quindi per quella che all’epoca era una novità, poco richiesta da altri studenti e che mi offriva un ambiente giovane. Lì ho cominciato ad appassiona­rmi a questa branca dalle molte sfaccettat­ure, con tanta medicina ma anche molta chirurgia e in cui, già più di 30 anni fa, cominciava a far capolino la tecnologia, con i primissimi interventi in endoscopia. Insomma ho capito che mi avrebbe permesso di fare tante cose. Per questo ho deciso di farla diventare la mia specializz­azione. Ed è stato proprio allora che mi sono resa conto di quanto potesse essere ostica per le donne: tutti mi dicevano che non avrei fatto nulla, che non mi

avrebbero fatto operare. Ma anziché dissuaderm­i, questo ha trasformat­o l’urologia in una sfida che non avevo intenzione di perdere, per dimostrare a tutti che si sbagliavan­o».

Come è riuscita a primeggiar­e tra gli uomini?

«Dico sempre che si sono distratti e ne ho approfitta­to. I colleghi erano per lo più interessat­i all’urologia oncologica, al tumore alla prostata e al rene. Io, invece, ho scelto di dedicarmi alla ricerca scientific­a in un terreno all’epoca poco battuto e ritenuto di serie B, quello dell’urologia funzionale e ginecologi­ca, quella per intenderci che si occupa di incontinen­za, prolassi, infezioni urinarie, disfunzion­i sessuali eccetera. Non ho trovato competizio­ne, ma molto da fare, sia dal punto di vista scientific­o, sia clinico (le donne avevano bisogno di interlocut­ori femminili) ed è stata la mia carta vincente: ho trasformat­o il sentiero

in una strada maestra, ho pubblicato molti studi e ricerche, facendomi conoscere prima in ambito internazio­nale e poi in Italia. E certamente ho avuto anche un po’ di fortuna».

Quali sono stati gli eventi fortunati?

«Ho trovato sul mio percorso maestri, come il professor Micali e il professor Porena, che non hanno fatto favoritism­i ma che neppure mi hanno ostacolato solo perché ero donna. Mi hanno dato l’opportunit­à e io non ho fatto altro che sfruttarla. E non è affatto scontato: basta pensare che quando ero giovane alcune scuole di specializz­azione in urologia non consentiva­no neppure l’accesso alle donne. Fortuna

è stata anche quella di lavorare in una Regione, l’Umbria, che, pur con qualche riserva, ha accettato un primariato femminile. Perché per quanto una persona possa essere in gamba, se trova le strada sbarrata non va da nessuna parte».

Ha dovuto fare delle rinunce, soprattutt­o sul fronte privato?

«Molte donne si trovano a dover rinunciare alla famiglia e alla maternità. Non è il mio caso, ma ancora una volta sono stata fortunata: è mio marito che, lasciando il lavoro per prendersi cura dei nostri due figli, mi ha permesso di portare avanti la carriera. Detto questo non ritengo di aver fatto rinunce particolar­i. Certo, i sacrifici non mancano, ma credo valgano anche per gli uomini nella mia stessa situazione: questo lavoro impegna a 360 gradi, non c’è solo l’attività clinica e chirurgica, ma anche quella di ricerca e di insegnamen­to, difficili da conciliare. Non ci sono sabati e domeniche, lavoro tutti i giorni, non ho tempo per attività più “normali” come una gita fuoriporta o il parrucchie­re settimanal­e, ma non ho rimpianti. Le scelte che ho fatto mi hanno portato lontano e ne sono soddisfatt­a».

Come è il rapporto con i pazienti maschi?

«Sicurament­e agli inizi, quando ero più giovane, riscontrav­o più stupore e imbarazzo. “Ho sbagliato stanza” mi dicevano. Ma del resto era normale: non erano abituati a vedere donne urologhe. Io però non ho mai reagito negativame­nte, perché un paziente ha diritto di affidarsi a un medico con cui si sente a proprio agio: oggi come allora magari rompo il ghiaccio con una battuta, ma spiego anche che se vogliono rivolgersi a un uomo, sono liberi di farlo. In genere, però, con il colloquio si crea empatia, per cui restano. Solo 2-3 volte mi sono capitati pazienti che hanno rifiutato la visita, ma alla fine sono tornati. Le cose comunque stanno cambiando e ormai ricevo tantissimi uomini che scelgono me per il livello profession­ale raggiunto, senza badare al mio sesso. Anzi, posso dire che proprio il rapporto di fiducia con i pazienti è uno dei miei punti di forza».

Consiglier­ebbe ad altre donne di seguire il suo esempio?

«Senza dubbio. L’urologia è una branca bellissima, che offre molte possibilit­à. Poi rispetto a quando ho cominciato io – al mio primo congresso di urologia su 700-800 uomini si contavano solo 3 donne – le differenze di genere si sono ridotte. Certo, non sono scomparse. La donna ai vertici, e soprattutt­o la donna chirurgo, continua a essere vista in modo “strano”, nonostante operare oggi sia molto meno faticoso grazie alla robotica, che evita le sfiancanti operazioni a cielo aperto di 6-7 ore. E anche in ambito accademico gli ostacoli non mancano: non c’è ancora un’urologa che sia professore ordinario, anche se, per esempio, io stessa ho tutti i titoli per diventarlo già da oltre un decennio. Insomma, una donna deve ancora oggi sperare di essere messa nelle condizioni di poter mostrare quanto vale, ma se si sceglie questa strada con passione, vale sicurament­e la pena percorrerl­a».

 ??  ?? Elisabetta Costantini, 58 anni, è direttore della Clinica urologica dell’ospedale di Terni.
Elisabetta Costantini, 58 anni, è direttore della Clinica urologica dell’ospedale di Terni.
 ??  ?? AL LAVORO1. Elisabetta Costantini (al centro) pronta a entrare in sala operatoria con la sua équipe.2. Una tac della zona pelvica (rielaborat­a al computer), che evidenzia, in verde, una prostata ingrossata.
AL LAVORO1. Elisabetta Costantini (al centro) pronta a entrare in sala operatoria con la sua équipe.2. Una tac della zona pelvica (rielaborat­a al computer), che evidenzia, in verde, una prostata ingrossata.
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