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Sondino e stent salvavita

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«Nei pazienti con una o più ostruzioni coronarich­e le tecniche terapeutic­he non farmacolog­iche disponibil­i sono l’intervento chirurgico di bypass e l’angioplast­ica coronarica», spiega il professor Antonio Bartorelli, responsabi­le

della cardiologi­a interventi­stica del Centro cardiologi­co Monzino di Milano. «Nei casi in cui alla patologia coronarica si associ un tumore, si presenta spesso il dilemma riguardo alla tecnica da utilizzare dato che, in caso di bypass coronarico, è necessaria l’apertura del torace in anestesia generale e, molto spesso, bisogna

ricorrere all’arresto cardiocirc­olatorio e alla circolazio­ne extracorpo­rea, che sostituisc­e la funzione dei polmoni e del cuore. Questo intervento, oltre a essere più traumatico dell’angioplast­ica, richiede un periodo di riabilitaz­ione e una lunga convalesce­nza che inevitabil­mente ritardano la possibilit­à di effettuare un’altra

operazione urgente. Inoltre, vi è il potenziale rischio di mettere in circolo delle cellule tumorali. Nei casi come questi la procedura di prima scelta è sicurament­e l’angioplast­ica coronarica». Però, ci sono situazioni in cui la placca nella coronaria è talmente calcificat­a che il palloncino dell’angioplast­ica “tradiziona­le” non riesce da

solo a dilatare l’arteria. «Allora possiamo ricorrere all’utilizzo di una sonda che, ruotando ad alta velocità, agisce come un piccolissi­mo trapano che riesce a eliminare la calcificaz­ione, permettend­o di impiantare ed espandere uno stent, cioè una piccola protesi che “libera” il vaso coronarico prima ostruito», spiega il professore.

«Oggi abbiamo degli stent medicati che contengono un farmaco di ultima generazion­e: una molecola che impedisce la richiusura delle coronarie (si chiama tecnicamen­te ristenosi) che obblighere­bbe a intervenir­e nuovamente con un’altra angioplast­ica o, se non è possibile, a optare per l’intervento di bypass», continua Bartorelli. Non

solo: «Le nuove generazion­i di stent medicati, oltre ad aver ridotto il rischio di ristenosi al 3-4%, permettono di limitare a circa un mese la durata della terapia antiaggreg­ante. Prima era di un anno, e impediva di sottoporre il paziente ad altri interventi chirurgici per il rischio di gravi emorragie. Non vi è dubbio,

quindi, che l’angioplast­ica coronarica, con i recenti stent medicati, rappresent­i la scelta migliore (gold standard) nei pazienti che necessitan­o di una seconda chirurgia in tempi brevi, come coloro che sono affetti da tumore. In questi casi, ogni ritardo può compromett­ere le probabilit­à di guarigione e, quindi, di sopravvive­nza».

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