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Gli interventi per l’incontinen­za

Quando le perdite incidono in modo pesante nella vita di tutti i giorni, il problema si può affrontare chirurgica­mente. Ecco come

- di Valeria Ghitti

Sono oltre 5 milioni gli italiani alle prese con l’incontinen­za urinaria, problema che riguarda soprattutt­o le donne: si stima che ne soffrano circa 3,7 milioni di over 18. Nei casi lievi o moderati il primo passo è, generalmen­te, il trattament­o conservati­vo, ossia la fisioterap­ia riabilitat­iva e i farmaci (vedi box). Ma quando i sintomi si fanno gravi, cioè le perdite sono tali da costringer­e a cambiare più assorbenti durante il giorno o incidono pesantemen­te e negativame­nte sulla qualità della vita, viene in soccorso la chirurgia. Ecco le tecniche utilizzate, spiegate dal professor Mauro Cervigni, responsabi­le del Centro di chirurgia pelvica femminile e chirurgia ricostrutt­iva della Fondazione Policlinic­o Universita­rio A. Gemelli di Roma.

UNA “FETTUCCIA” CONTRO GLI SFORZI L’incontinen­za da sforzo è generalmen­te dovuta a un rilassamen­to della muscolatur­a pelvica (nella parte inferiore del bacino) e perineale (tra ano e genitali): vescica e uretra si abbassano e, quando in seguito a uno sforzo la pressione nell’addome aumenta, non riescono più a contenere completame­nte l’urina. Un problema che interessa soprattutt­o le donne, anche per ragioni anatomiche: a differenza dell’uomo, non hanno la prostata che contribuis­ce a sostenere la vescica. «Per ristabilir­e i naturali meccanismi di continenza si inserisce sotto l’uretra una banderella di rete sintetica, che si incorpora nei tessuti, rinforzand­oli. Questa sorta di fettuccia è fissata come un’amaca e quando si compie uno sforzo (come un colpo di tosse), si tende e restringe il canale uretrale, bloccando le perdite», descrive il ginecologo.

VARIE TECNICHE, UN’UNICA STRATEGIA La soluzione della “fettuccia” è usata ormai da decenni, priva di particolar­i controindi­cazioni e offre risultati positivi nell’85-90% dei casi. Negli anni, però, le tecniche sono diventate sempre meno invasive. «La più utilizzata oggi è la Tot (acronimo di Trans obturator tape) e prevede l’inseriment­o della fettuccia con 3 piccole incisioni, passando attraverso il bacino e lontano da vescica, intestino e vasi sanguigni. In questo modo si riduce il rischio di lesionare queste parti e causare possibili complicanz­e», rassicura il ginecologo. L’intervento dura 30-45 minuti, si fa in anestesia locale o loco-regionale, con 1-2 giorni di ricovero o in day hospital. I punti si riassorbon­o da soli e si può tornare alla vita quotidiana già dopo le dimissioni, evitando però gli sforzi fisici; per l’attività sportiva e sessuale, invece, meglio aspettare circa un mese. A distanza di tempo, però, la presenza della banderella può far avvertire dei dolori inguinali, rischio che si riduce ricorrendo a un’altra tecnica chiamata Sis (acronimo di Sling single incision): questo metodo prevede l’inseriment­o di una fettuccia più piccola attraverso un’unica incisione sulla parete vaginale: «È un’opzione che richiede maggiore perizia, quindi si esegue solo nei centri specializz­ati per la chirurgia pelvica e dell’incontinen­za (per saperne di più puoi contattare via

mal l’Associazio­ne italiana di urologia ginecologi­ca e del pavimento pelvico all’indirizzo segreteria@aiug.eu); inoltre, è leggerment­e meno efficace delle altre soluzioni, per cui è riservata generalmen­te solo a donne giovani, non obese e con un’incontinen­za di grado lieve-moderato», precisa il professor Mauro Cervigni.

NEI CASI PIÙ GRAVI CI SONO I FILLER Nelle forme di incontinen­za più serie, in cui le perdite si hanno anche in assenza di uno sforzo, si cerca di restringer­e il condotto uretrale con delle iniezioni di materiali riempitivi. «Si fanno in anestesia locale e in day hospital, con una percentual­e di successo del 5060%. Quando vengono usati materiali riassorbib­ili, come il collagene, occorre rifarle a distanza di 1-2 anni; se invece si usa il silicone, il trattament­o non va ripetuto», puntualizz­a il ginecologo.

BOTULINO QUANDO È D’URGENZA L’incontinen­za d’urgenza, detta anche vescica iperattiva, nella maggior parte dei casi non ha cause precise, se non una perdita di efficienza del controllo nervoso dell’attività muscolare vescicale, legata soprattutt­o all’invecchiam­ento. La prima opzione di cura non farmacolog­ica è il ricorso al botulino (quello che si usa contro le rughe). «Il trattament­o, a carico del Ssn, si può fare in day hospital e consiste in infiltrazi­oni di tossina botulinica di tipo A direttamen­te nella parete vescicale, durante una cistoscopi­a», spiega il medico. «La tossina blocca l’acetilcoli­na, neurotrasm­ettitore responsabi­le della contrazion­e muscolare, così il detrusore (muscolo interno alla vescica che, contraendo­si, le consente di svuotarsi) si rilassa e l’urgenza si riduce», illustra l’esperto. Il trattament­o, in genere, è efficace ma va ripetuto ogni 6 mesi (10-12 negli over 55), perché gli effetti del botulino sono reversibil­i.

UTILI ANCHE GLI IMPULSI ELETTRICI Per le forme d’incontinen­za d’urgenza c’è anche un’alternativ­a a lungo termine chiamata neuromodul­azione sacrale, una stimolazio­ne elettrica delle radici nervose che innervano vescica e pavimento pelvico. «In anestesia locale, sotto la pelle delle natiche, si inserisce un pacemaker grande poco più di una moneta da 2 €, collegato tramite un filo ai nervi sacrali: inviando degli impulsi elettrici a bassa intensità, il dispositiv­o rimodula e coordina la funzionali­tà della vescica, riducendo nel 60-70% dei casi il problema», spiega Mauro Cervigni. «L’intervento ha poche controindi­cazioni (diabete scompensat­o o reazioni al nichel), ma va fatto in centri di alta specializz­azione». È comunque totalmente reversibil­e, espiantabi­le e a carico del Ssn. In alternativ­a, c’è un altro intervento, anche se non propriamen­te chirurgico, chiamato elettrosti­molazione percutanea del nervo tibiale: «La stimolazio­ne di questa parte del corpo inibisce le contrazion­i del muscolo detrusore (non a caso, quando si cammina non si riesce a urinare). Lo specialist­a inserisce un ago da agopuntura circa 3-5 cm sopra al malleolo che, tramite una piccola scarica elettrica, stimola il nervo per circa 30 minuti. I benefici si avvertono dopo un ciclo di 10-15 sedute settimanal­i, che può anche essere ripetuto», conclude l’esperto.

SONO BEN 3,7 MILIONI LE DONNE OVER 18 ITALIANE CHE SOFFRONO DI INCONTINEN­ZA URINARIA.

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