Starbene

«La leucemia non mi ha fermato»

Stefania ha combattuto contro un tumore del sangue e poi al seno. La sua arma? Lo sport, che le dà forza e gioia di vivere Testo raccolto da Valentino Maimone

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«DUE ANNI FA, DOPO AVER CONCLUSO LE TERAPIE HO PARTECIPAT­O A UNA “IRONMAN”: 3,8 KM A NUOTO, 180 KM IN BICI, E 42 KM DI CORSA».

Il mio nome è Stefania, ma chi mi conosce e mi vuole bene mi chiama sempliceme­nte “La Dago”: un nickname che mi piace molto perché è breve, solare ed energico proprio come sono io. Sì, perché per carattere proprio non riesco a star ferma un attimo. E lo sport è la mia ragione di vita. Il nuoto è il mio mondo, la piscina è la mia seconda casa. Tra i 10 e i 16 anni andavo ad allenarmi tutti i giorni: ero sempre là a nuotare e nuotare. In montagna ero la prima a prendere la funivia e non smettevo di sciare finché c’era luce. Andavo a scuola sui pattini a rotelle, al parco giocavo a hockey o football americano, il weekend era dedicato all’equitazion­e. Al lavoro sono sempre andata in bici. Mai stata ferma un attimo, è contro la mia natura.

MI SONO AMMALATA 14 ANNI FA

Il mio incubo è cominciato nel 2004, due anni dopo aver vissuto la gioia immensa di diventare madre della mia bellissima Isabella. All’improvviso mi sento perennemen­te stanca, ho spesso la febbre che arriva anche a 38°, herpes che spuntano di continuo sulle labbra. Perdo i capeli a ciocche. Il medico di base, visitandom­i, al momento di toccarmi la milza si ferma e dice: “Fai subito gli esami del sangue”. Preoccupat­issima, mi precipito in ambulatori­o, ma il giorno dopo ricevo una telefonata: “Signora, dovrebbe tornare qui a rifare i prelievi”. Vado subito pensando a un errore, ma invece di sottopormi a un nuovo test, mi sento diagnostic­are la leucemia mieloide cronica. Resto paralizzat­a dal terrore, sento il corpo rompersi in mille pezzi: la mia Isabella ha 2 anni e 1 mese e io ho una neoplasia del sangue.

LE CURE SONO STATE DURISSIME Comincio la trafila di esami, visite mediche, terapie di ogni tipo. Alla ricerca del centro migliore dove farmi curare, dopo Livorno e Pisa, arrivo a Bologna: qui, nel reparto di ematologia del Sant’Orsola Malpighi, centro nazionale di riferiment­o per la leucemia mieloide, trovo umanità, vicinanza, competenza. Il 27 marzo 2004 è una data che non dimentiche­rò mai: comincio la cura con l’Imatinib, il farmaco indicato per la mia malattia, quattro compresse al giorno. I primi tre anni sono davvero tremendi: la mia vita, e quella di chi mi era vicino, cambia radicalmen­te. Il mio corpo sembra non volerne sapere di guarire: stomaco e fegato si ribellano, gli occhi non sopportano la luce del sole, tremo continuame­nte per il freddo anche in estate, in Puglia, dove risiedo in quel momento. Mia figlia gioca tranquilla­mente sotto il solleone e io lì, al suo fianco, vestita come in alta montagna. Ma sono una

tipa tosta e vado avanti con la cura. Gradualmen­te le cose cominciano ad andare meglio. Certo, restano i crampi, il mal di stomaco, la continua stanchezza. Ma mi sento benino. L’unico vero cruccio è di non poter fare nessuno sport, per questo mi sento come una leonessa in gabbia. Nel 2006 provo a riprendere a nuotare: io che in vasca restavo per ore, adesso non sopporto neanche 30 minuti. Nel 2008 ritento con lo sci: dopo i primi momenti di felicità assoluta, mi ritrovo in preda ai crampi, con l’unico desiderio di togliermi gli scarponi prima possibile. È una sconfitta bruciante, ma devo e voglio andare avanti. La cura sta facendo miracoli e ricevo tanta forza da mia figlia e dalla mia Marilyn, una femmina di pastore olandese da cui non mi separo mai.

POI HO RIPRESO AD ALLENARMI

Tra lavoro e questioni di famiglia trasloco 9 volte: cambio Paesi, lingue, culture. Il 12 aprile 2013 arriva la sorpresa: i medici mi spiegano che posso interrompe­re la cura. Vogliono verificare gli effetti della sospension­e del farmaco. La prima reazione è di paura. Ma voglio fidarmi fino in fondo e faccio bene: i controlli mensili non danno problemi, il corpo fatica un po’ ad assestarsi, ma piano piano spariscono i crampi e la stanchezza, i capelli tornano folti, le occhiaie se ne vanno. Un giorno mi dico: ecco, sono pronta per ricomincia­re a vivere. Galeotta fu la decisione di iscrivere mia figlia a una squadra di triathlon, lo sport che mette insieme nuoto, bicicletta e corsa. Vederla allenarsi è una tentazione troppo forte, così decido di cimentarmi anch’io. Sotto il controllo dei medici e del mio coach, dopo soli 6 mesi di allenament­i faccio la mia prima gara di triathlon: sotto una pioggia fitta e fredda, nuoto per 750 metri, percorro 20 km in bicicletta e altri 5 km di corsa con la gioia nel cuore. Davanti a mia figlia che fa il tifo, emozione pura. Sono appena rinata. Ritrovo stabilità, forza, coraggio. Tutto procede bene, i valori degli esami sono perfetti, i medici sono fieri di me. Recuperand­o le forze, ritrovo la gioia di tornare a fare sport. Il triathlon riassume al meglio questa fase della mia vita: sa darmi così tanto che la squadra diventa in breve tempo la mia famiglia, le prime conoscenze fatte in pista si trasforman­o in amicizie destinate a rimanere per sempre. Nel 2015, un’altra tegola: mi viene diagnostic­ato un carcinoma maligno al seno destro. Proprio ora che avevo cominciato la discesa, mi ritrovo ad affrontare una salita durissima. Riprovo la stessa paura, ma questa volta è mista a tanta rabbia. Vengo operata due volte, poi mi sottopongo a un ciclo di radioterap­ia. Mia figlia e la mia dolcissima cagnolina sono sempre con me: insieme siamo una forza unica. E allora vinco, supero anche questa prova.

ORA SONO UNA DONNA DI FERRO

Ad aprile 2016 torno al triathlon. Non posso fermarmi, ho capito che non bisogna mai perdere gli obiettivi: sono il motore di tutto, senza di loro la macchina si ferma. Un anno dopo, con quei 12 compagni di squadra che sono ormai la mia famiglia, mi presento a Francofort­e alla partenza di un “Ironman”, la versione più lunga del triathlon: 3,8 km a nuoto seguiti da 180 km in bicicletta e poi ancora da 42 km di corsa. Tutto senza mai fermarsi. Durante la gara sorrido, anche nei momenti di maggiore difficoltà. E sul finale mi sembra quasi di volare, sulle ali della voglia di vivere, del riscatto, della passione.

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 ??  ?? LA PROTAGONIS­TAStefania D’Agostino, 48 anni, mentre si allena in bici e, sotto, al traguardo della gara di triathlon di Francofort­e, nel 2013.
LA PROTAGONIS­TAStefania D’Agostino, 48 anni, mentre si allena in bici e, sotto, al traguardo della gara di triathlon di Francofort­e, nel 2013.

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