Com’è pulita questa moda
Sono sempre di più i produttori tessili che rinunciano a utilizzare sostanze tossiche e inquinanti. Grazie alla campagna Detox di Greenpeace
Hai idea di quante sostanze chimiche dannose per l’ambiente utilizzi l’industria del tessile e della moda? Greenpeace (greenpeace.org), nel suo rapporto Detox, ne ha individuati 11 gruppi (tra cui il Pfc, molto comune nei trattamenti idrorepellenti e antimacchia, e gli Apeo presenti nei detergenti) e ha chiesto alle imprese di “detossinarsi” eliminandole entro il 2020 dai processi produttivi. All’appello hanno risposto finora 80 aziende (60 sono italiane), che rappresentano il 15% del fatturato globale del fashion. Moltissimo c’è ancora da fare, considerando il restante 85%, ma da qualcosa bisogna pur iniziare. Nella lista delle imprese che hanno deciso di aderire alla campagna Detox e di bandire o limitare gli agenti tossici, sottoponendosi ad analisi chimiche periodiche, ci sono grandi brand e piccole realtà tessili.
UN CONSORZIO TUTTO ITALIANO
«Grazie alla nostra campagna le aziende hanno iniziato ad assumersi le proprie responsabilità sull’intero processo produttivo, non limitandosi a garantire la sicurezza del solo prodotto finito», afferma Bunny McDiarmid, Direttrice esecutiva di Greenpeace International. La vera rivoluzione green, infatti, coinvolge tutta la filiera, cominciando dai produttori, che sono i primi anelli della catena del settore. Questi, a partire dal distretto manifatturiero pratese, il più grande d’Europa, si sono associati nel Cid, Consorzio italiano implementazione detox (consorziodetox.it) con il coordinamento di Confindustria Toscana Nord. «Adeguare il sistema dell’industria moda affinché garantisca una tutela dell’uomo e dell’ambiente è un’esigenza condivisa. Una moda più pulita è possibile e lo stiamo già dimostrando», dichiara Andrea Cavicchi Presidente del Cid. «Non ci resta che continuare a lavorare in maniera seria ed efficace in questa direzione».
IL COTONE SOSTENIBILE
Sapevi che l’industria tessile è la più inquinante dopo quella dell’oil&gas? Secondo la Commissio- ne economica per l’Europa delle Nazioni Unite, infatti, il sistema moda è responsabile del 20% dello spreco globale dell’acqua e del 10% delle emissioni di anidride carbonica. E fra i comparti meno sostenibili c’è quello della produzione del cotone, che utilizza il 24% degli insetticidi e l’11% dei pesticidi immessi. Ma un cotone sostenibile è possibile. Lo dimostra Candiani Denim (candianidenim.it), prima produttrice europea di tela jeans per importanti marchi internazionali, che risparmia sulla produzione di cotone fresco usando anche cotone rigenerato. Da sempre attenta all’ambiente, l’azienda appena entrata nel Cid ha sede nel parco del Ticino e si è adeguata alle direttive ecologiche sugli scarichi puliti dell’area protetta. Per i suoi 80 anni ha creato un tessuto speciale, il Re-Gen: un denim composto per il 50% da scarti di produzione e dal restante 50% da Refibra, fibra cellulosica
realizzata con materiali riciclati. E anche la tintura è sostenibile grazie alla combinazione delle tecnologia Indigo Juice (consente un risparmio d’acqua ed energia del 15%) e Kitotex (utilizza il chitosano, sostanza atossica e biodegradabile derivato dai crostacei dell’industria alimentare, che sostituisce fino al 70% di sostanze chimiche). In pratica con la combinazione di queste tecnologie il denim prodotto ha un risparmio d’acqua del 75% e di sostanze chimiche del 65%.
LA TINTURA ECO
Tra le aziende del consorzio c’è anche la Filati Biagioli Modesto (filatibiagioli.it) che fornisce filati cardati di alta qualità alle case di alta moda tra cui Armani, Valentino e Cucinelli. Partendo dalla fibra greggia l’azienda realizza tintura e filatura internamente, in linea con le linee guida di Greenpeace. «Nel 2019 compiremo cento anni e aderire a un progetto così proiettato verso il futuro significa voler vivere almeno altri cento anni», spiega la titolare Franca Biagioli. «La nostra adesione a Detox? All’inizio mi sembrava un progetto troppo ambizioso. Ma quando l’analisi delle acque dello stabilimento ha mostrato che quelle in uscita (dopo tintura e lavorazioni) erano addirittura migliori di quelle in entrata, ogni dubbio è stato sciolto. Se eravamo già avanti nella scelta dei nostri fornitori di fibra e tintura, chiedendo le certificazioni, dopo l’adesione al Cid abbiamo aumentato le analisi periodiche e lavorato sulla formazione del personale».
LE FIBRE RICICLATE
Prova a pensare alle micro-collezioni di brand low cost che escono ogni settimana. Questo induce ad acquistare senza pensarci troppo e altrettanto velocemente a disfarsene (rispetto al 2000 il consumatore medio oggi compra il 60% in più di abiti). Un meccanismo che si chiama “fast fashion” e secondo le Nazioni Unite porta a buttare in discarica l’85% dei vestiti prodotti. Sensibili al recupero e alla nobilitazione delle fibre di scarto è un’altra azienda che aderisce al Cid, la Progetto Lana (progettolana.com) che fornisce materia prima per creare il filo. «Noi lavoriamo sia sulla filiera dei materiali vergini (cashmere, alpaca, mohair) sia sui sottoprodotti, gli scarti (lana, cashmere e fibre naturali). Questi ultimi vengono recuperati dai materiali che cadono durante le lavorazioni (detti appunto cascami), dalla pettinatura e lavatura fino al confezionamento. Una volta raccolti e appena ripuliti, vengono rimessi in circolo e resi di nuovo filabili», racconta il titolare Sauro Guerri. «Inoltre recuperiamo le fibre dagli abiti usati e danneggiati raccolti nelle campane di riciclo per sanificarle e reimmetterle in circolo. Grazie a questo ciclo si reintroducono sul mercato milioni di kg che altrimenti andrebbero inceneriti con un ulteriore costo ambientale. Il tutto viene fatto utilizzando detergenti che rispettino i principi Detox e effettuando analisi chimiche dei laboratori certificati».