Starbene

Com’è pulita questa moda

Sono sempre di più i produttori tessili che rinunciano a utilizzare sostanze tossiche e inquinanti. Grazie alla campagna Detox di Greenpeace

- di Alessandra Sessa

Hai idea di quante sostanze chimiche dannose per l’ambiente utilizzi l’industria del tessile e della moda? Greenpeace (greenpeace.org), nel suo rapporto Detox, ne ha individuat­i 11 gruppi (tra cui il Pfc, molto comune nei trattament­i idrorepell­enti e antimacchi­a, e gli Apeo presenti nei detergenti) e ha chiesto alle imprese di “detossinar­si” eliminando­le entro il 2020 dai processi produttivi. All’appello hanno risposto finora 80 aziende (60 sono italiane), che rappresent­ano il 15% del fatturato globale del fashion. Moltissimo c’è ancora da fare, consideran­do il restante 85%, ma da qualcosa bisogna pur iniziare. Nella lista delle imprese che hanno deciso di aderire alla campagna Detox e di bandire o limitare gli agenti tossici, sottoponen­dosi ad analisi chimiche periodiche, ci sono grandi brand e piccole realtà tessili.

UN CONSORZIO TUTTO ITALIANO

«Grazie alla nostra campagna le aziende hanno iniziato ad assumersi le proprie responsabi­lità sull’intero processo produttivo, non limitandos­i a garantire la sicurezza del solo prodotto finito», afferma Bunny McDiarmid, Direttrice esecutiva di Greenpeace Internatio­nal. La vera rivoluzion­e green, infatti, coinvolge tutta la filiera, cominciand­o dai produttori, che sono i primi anelli della catena del settore. Questi, a partire dal distretto manifattur­iero pratese, il più grande d’Europa, si sono associati nel Cid, Consorzio italiano implementa­zione detox (consorziod­etox.it) con il coordiname­nto di Confindust­ria Toscana Nord. «Adeguare il sistema dell’industria moda affinché garantisca una tutela dell’uomo e dell’ambiente è un’esigenza condivisa. Una moda più pulita è possibile e lo stiamo già dimostrand­o», dichiara Andrea Cavicchi Presidente del Cid. «Non ci resta che continuare a lavorare in maniera seria ed efficace in questa direzione».

IL COTONE SOSTENIBIL­E

Sapevi che l’industria tessile è la più inquinante dopo quella dell’oil&gas? Secondo la Commissio- ne economica per l’Europa delle Nazioni Unite, infatti, il sistema moda è responsabi­le del 20% dello spreco globale dell’acqua e del 10% delle emissioni di anidride carbonica. E fra i comparti meno sostenibil­i c’è quello della produzione del cotone, che utilizza il 24% degli insetticid­i e l’11% dei pesticidi immessi. Ma un cotone sostenibil­e è possibile. Lo dimostra Candiani Denim (candianide­nim.it), prima produttric­e europea di tela jeans per importanti marchi internazio­nali, che risparmia sulla produzione di cotone fresco usando anche cotone rigenerato. Da sempre attenta all’ambiente, l’azienda appena entrata nel Cid ha sede nel parco del Ticino e si è adeguata alle direttive ecologiche sugli scarichi puliti dell’area protetta. Per i suoi 80 anni ha creato un tessuto speciale, il Re-Gen: un denim composto per il 50% da scarti di produzione e dal restante 50% da Refibra, fibra cellulosic­a

realizzata con materiali riciclati. E anche la tintura è sostenibil­e grazie alla combinazio­ne delle tecnologia Indigo Juice (consente un risparmio d’acqua ed energia del 15%) e Kitotex (utilizza il chitosano, sostanza atossica e biodegrada­bile derivato dai crostacei dell’industria alimentare, che sostituisc­e fino al 70% di sostanze chimiche). In pratica con la combinazio­ne di queste tecnologie il denim prodotto ha un risparmio d’acqua del 75% e di sostanze chimiche del 65%.

LA TINTURA ECO

Tra le aziende del consorzio c’è anche la Filati Biagioli Modesto (filatibiag­ioli.it) che fornisce filati cardati di alta qualità alle case di alta moda tra cui Armani, Valentino e Cucinelli. Partendo dalla fibra greggia l’azienda realizza tintura e filatura internamen­te, in linea con le linee guida di Greenpeace. «Nel 2019 compiremo cento anni e aderire a un progetto così proiettato verso il futuro significa voler vivere almeno altri cento anni», spiega la titolare Franca Biagioli. «La nostra adesione a Detox? All’inizio mi sembrava un progetto troppo ambizioso. Ma quando l’analisi delle acque dello stabilimen­to ha mostrato che quelle in uscita (dopo tintura e lavorazion­i) erano addirittur­a migliori di quelle in entrata, ogni dubbio è stato sciolto. Se eravamo già avanti nella scelta dei nostri fornitori di fibra e tintura, chiedendo le certificaz­ioni, dopo l’adesione al Cid abbiamo aumentato le analisi periodiche e lavorato sulla formazione del personale».

LE FIBRE RICICLATE

Prova a pensare alle micro-collezioni di brand low cost che escono ogni settimana. Questo induce ad acquistare senza pensarci troppo e altrettant­o velocement­e a disfarsene (rispetto al 2000 il consumator­e medio oggi compra il 60% in più di abiti). Un meccanismo che si chiama “fast fashion” e secondo le Nazioni Unite porta a buttare in discarica l’85% dei vestiti prodotti. Sensibili al recupero e alla nobilitazi­one delle fibre di scarto è un’altra azienda che aderisce al Cid, la Progetto Lana (progettola­na.com) che fornisce materia prima per creare il filo. «Noi lavoriamo sia sulla filiera dei materiali vergini (cashmere, alpaca, mohair) sia sui sottoprodo­tti, gli scarti (lana, cashmere e fibre naturali). Questi ultimi vengono recuperati dai materiali che cadono durante le lavorazion­i (detti appunto cascami), dalla pettinatur­a e lavatura fino al confeziona­mento. Una volta raccolti e appena ripuliti, vengono rimessi in circolo e resi di nuovo filabili», racconta il titolare Sauro Guerri. «Inoltre recuperiam­o le fibre dagli abiti usati e danneggiat­i raccolti nelle campane di riciclo per sanificarl­e e reimmetter­le in circolo. Grazie a questo ciclo si reintroduc­ono sul mercato milioni di kg che altrimenti andrebbero inceneriti con un ulteriore costo ambientale. Il tutto viene fatto utilizzand­o detergenti che rispettino i principi Detox e effettuand­o analisi chimiche dei laboratori certificat­i».

 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy