Starbene

È ora di cambiare la scuola

Lo sostiene nel suo nuovo libro il pedagogist­a Daniele Novara, che propone un metodo per rinnovarla: pochi compiti, niente note sul diario, voti diversi da quelli attuali. Per dire stop al controllo e fare largo all’apprendime­nto

- di Silvia Calvi

Ssecondo i dati del Ministero dell’istruzione lo scorso anno più di 14.000 ragazzi hanno abbandonat­o la scuola (lo 0,8 % degli studenti, con picchi oltre l’1% al Sud). E, stando ai rilevament­i Eurostat (l’ufficio statistico dell’Ue), il nostro è il Paese con il maggior numero di Neet (Not in education, employment or training, cioè giovani che non studiano più, non hanno trovato un’occupazion­e e non sono in un periodo di formazione): il 25,7 % contro 14,3 della media europea. Tra le ragioni, una scuola in evidente difficoltà. Che non riesce a includere, motivare e appassiona­re gli studenti. Daniele Novara, uno dei più autorevoli pedagogist­i italiani, nel suo nuovo libro Cambiare la scuola si può (Bur, 15 €), propone “Un nuovo metodo per insegnanti e genitori, per un’educazione finalmente efficace”. Lo abbiamo intervista­to.

Cos’ha la scuola italiana che non va?

«Non è bastato introdurre la Lim, il Cooperativ­e Learning, l’alternanza scuola-lavoro, la nostra scuola resta un luogo in cui l’insegnamen­to è concepito come un’o- perazione di “travaso” di conoscenze dall’insegnante agli alunni, visti come contenitor­i da riempire. Invece è solo stimolando i processi di apprendime­nto, anche grazie alle scoperte delle neuroscien­ze, che si possono trasformar­e gli anni di scuola nell’inizio formidabil­e di un percorso di studio e di crescita».

Dal 2000 a oggi si sono susseguite sei riforme della scuola. Davvero ne serve un’altra?

«Nessuna riforma. Penso a un metodo che, a costo zero, permette di passare dalla scuola del controllo a quella dell’apprendime­nto, in cui il docente non ha un ruolo centrale: il focus passa sugli alunni che lavorano insieme, stimolati attraverso la condivisio­ne, lo scambio, l’imitazione. E il docente diventa il regista che, sceso dalla cattedra, osserva, ascolta e crea le condizioni migliori per l’apprendime­nto».

«LE NOTE: UN RITO MORTIFICAN­TE CHE NON AIUTA A CAPIRE L’ERRORE».

Ma gli insegnanti hanno già tante difficoltà: alunni stranieri, Dsa, Bes, genitori arrabbiati…

«Il cambiament­o va preparato. Ma i primi a esserne gratificat­i saranno proprio gli insegnanti, che potranno fare il loro lavoro in modo più appassiona­nte e gratifican­te. Un esempio? In molti, come me, si chiedono se i voti, così come sono concepiti oggi, abbiano senso».

Lei vorrebbe eliminare i voti?

«Il metodo matematico tradiziona­le si basa sull’idea di standardiz­zare la valutazion­e: se hai fatto un tot di errori prendi un voto, se ne hai fatti meno ne prendi uno più alto. In seconda elementare si può prendere 2 se si sbaglia a contrasseg­nare 8 caselle su 10. Ma che senso ha? Cosa si sta insegnando a quel bambino dandogli 2? E che cosa possono capire da questo i genitori? Se sono un po’ ansiosi andranno in crisi o cominceran­no ad attaccare l’insegnante nelle terribili chat di classe. C’è invece un’altra valutazion­e, quella evolutiva, che non può essere uguale per tutti. Si basa sul presuppost­o che ciascuno di noi impara in maniera graduale, con momenti di blocco, salti in avanti, rallentame­nti. Ma più importante del giudizio è il lavoro in classe: i bambini non imparano dal fiume di parole di un insegnante che chiede silenzio, immobilità, e tempi di

attenzione che sarebbero insostenib­ili per un adulto. I bambini imparano dai compagni, con le domande, gli errori, i laboratori e, non dimentichi­amolo, muovendosi».

E i compiti? Secondo lei fanno bene o male?

«Non esistono norme ministeria­li che obblighino gli insegnanti ad assegnare i compiti. Con moderazion­e, possono aiutare a rafforzare la comprensio­ne di un argomento trattato in classe, il problema è che, ormai, sono diventati la prassi: si rischia di trasformar­e la famiglia in un doposcuola, una cosa priva di senso. E non si tiene conto del bisogno di giocare dei bambini».

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 ??  ?? ALL’AVANGUARDI­AL’istituto comprensiv­o IC9 di Bologna: una delle scuole più hi tech d’Italia. Alla media Mattarella di Modena i laboratori sono falcoltati­vi, ma sempre strapieni.
ALL’AVANGUARDI­AL’istituto comprensiv­o IC9 di Bologna: una delle scuole più hi tech d’Italia. Alla media Mattarella di Modena i laboratori sono falcoltati­vi, ma sempre strapieni.
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