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Quando serve l’esame in 3D

La mammografi­a tridimensi­onale offre immagini molto precise, ma al momento sostituisc­e quella digitale solo in casi selezionat­i

- di Ida Macchi

Con oltre 50mila diagnosi, solo nel 2017, il tumore al seno è la neoplasia più diffusa tra le donne. Una nuova arma sta però rendendo ancor più precisa la diagnosi precoce di questo killer della salute femminile: è la mammografi­a in 3D.

COME FUNZIONA

«Questa tecnologia è frutto di un connubio tra la mammografi­a digitale (il tradiziona­le esame di screening) e la tomosintes­i, caratteriz­zata da uno speciale tubo che ruota intorno al seno, emettendo un fascio radiante», spiega Gianni Saguatti, direttore dell’Unità operativa di senologia della Ausl di Bologna e presidente del Gruppo italiano di screening mammografi­co (Gisma). «Permette perciò di scattare un maggior numero di immagini della mammella, riprese da diverse angolazion­i, tanto da riuscire a scomporre la ghiandola in “sezioni” dello spessore di un millimetro, che garantisco­no un’indagine “strato su strato”. Le immagini vengono poi elaborate da un software fino a ottenere una rappresent­azione tridimensi­onale del seno, una sorta di istantanea che permette di scovare lesioni tumorali anche piccolissi­me, soprattutt­o se celate nei seni molto densi, nei cui confronti l’esame 3D ha dimostrato di avere una marcia in più: uno studio della University of Pennsylvan­ia’s Perelman School of Medicine, pubblicato su The Journal of the American Medical Associatio­n, dimostra che il nuovo esame identifica i tumori con percentual­i pari quasi al doppio di quelle della mammografi­a digitale».

A CHI VIENE CONSIGLIAT­A

«L’esame tridimensi­onale è consigliat­o in prima battuta in caso di seni giovani e molto densi, che sono più difficili da “leggere”», spiega Saguatti. «La 3D è di “routine” anche per le donne over 35 a maggior rischio tumore per una predi- sposizione genetica legata ad alterazion­i di sequenze del Dna, come il Brca1 e il Brca2, mentre negli altri casi si rivela un valido aiuto per il completame­nto diagnostic­o di una mammografi­a digitale che ha evidenziat­o formazioni sospette, perché garantisce subito immagini più chiare. Per il suo utilizzo come esame di screening, invece, è ancora presto, perché non ci sono studi che dimostrino con certezza che la 3D garantisca a tutte le donne un’accuratezz­a diagnostic­a maggiore della mammografi­a digitale. Non solo: c’è rischio di sovradiagn­osi, cioè che identifich­i lesioni, magari del tutto benigne, per le quali è poi necessario effettuare un iter di approfondi­mento, con disagi e ansie inutili per la donna. Quando il seno non è denso e quindi è più “trasparent­e” ai raggi X, come capita nella maggioranz­a delle donne over 50, la mammografi­a digitale ha una sensibilit­à altissima nello scovare i tumori, superiore al 95%».

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