In Buthan, in cerca della felicità
Non è un vacanza qualunque. Qui si vive all’insegna della gentilezza e la qualità della vita è più importante del profitto
Grande come la Svizzera, disteso sulla catena dell’Himalaya tra i 2000 e i 3500 metri d’altezza- e abitato solo da 700.000 abitanti che lo chiamano Terra del Drago. Parliamo del Bhutan, piccolissimo, poco conosciuto (e poverissimo) stato buddista confinante con India e Tibet e guidato da una monarchia costituzionale. Un Paese che, però, vanta un invidiabile primato: quello della felicità. Merito di una legge importante tuttora in vigore: “Non si deve raggiungere la crescita economica a spese di una peggior qualità della vita”. Seguendo questo precetto, il sovrano del Bhutan, per misurare il benessere, ha sostituito al Pil il Fil, ovvero il tasso di Felicità interna lorda. Scopriamo, quindi, qual è il segreto di questo Paese.
IL SORRISO DELLA CONSAPEVOLEZZA
La prima cosa che colpisce è che i drukpa, gli abitanti del Bhutan, sorridono sempre», commenta Stefano Bettera, esperto di buddismo e autore del libro Felice come un Buddha (Morellini editore). «Perché lo fanno? Perché la gentilezza, uno dei precetti buddisti, ha fatto breccia in modo profondo nel loro modo di vivere. Una gentilezza rivolta prima di tutto verso se stessi e verso le proprie fragilità. E chi sa usare uno sguardo gentile verso le proprie debolezze viene liberato dalla rabbia che, al contrario, divora molti di noi occidentali», continua lo scrittore.
IL SEGRETO DEL BENESSERE
Il buddismo tibetano, religione di Stato in questo piccolo Paese, per secoli ha riunito nelle mani dei monaci il potere spirituale e quello politico: i monasteri sono da sempre i punti di riferimento per istruzione, sanità ma anche amministrazione e organizzazione del territorio. Ecco perché principi buddisti come gentilezza, compassione e rispetto per gli altri sono penetrati così profondamente tra la popolazione. Come il pensiero costante alla morte: c’è chi dice che il segreto della felicità di questo Paese consista proprio nell’abitudine di pensare alla morte 5 volte al giorno. «Niente di deprimente, però: il buddismo tibetano usa il pensiero della morte per ricordarci quanto è preziosa la vita», precisa Stefano Bettera. «Proprio perché è fragile, occorre vivere in modo consapevole, saggio ed etico il tempo presente, dando valore a ciò che conta sul serio, con grazia e calma interiore», conclude l’esperto.