Starbene

E se fossi tu la causa del tuo stress?

Il livello di tensione e ansia sale o diminuisce a seconda dell’atteggiame­nto che hai verso la vita. Ecco perché

- di Francesca Trabella

“Sono stressato” è la frase più inflaziona­ta dei nostri tempi, la pronuncian­o tutti ma proprio tutti dall’età scolastica in avanti. In fondo, non mancano gli appigli statistici per definirci sempre sul filo del rasoio, in bilico tra ansia e depression­e, panico e spossatezz­a: 9 italiani su 10 dichiarano di soffrire di disturbi provocati da questo continuo logorio (fonte Assosalute). Tutta colpa del superlavor­o, della vita frenetica, dei soldi che non bastano mai, del clima impazzito? Beh, ci sbagliamo. Se il nostro livello di agitazione sale, molto dipende dalla prospettiv­a da cui guardiamo la vita. «Spesso siamo noi stessi a complicarc­i le giornate perché pensiamo di avere sbagliato o di essere sbagliati, diamo troppa importanza al giudizio degli altri o ci facciamo condiziona­re da supposizio­ni sul futuro o inutili pregiudizi», dice Marina Osnaghi, la prima Master certified coach in Italia. «Ci siamo presi diversi impegni nella giornata e ora ci sentiamo oppressi, per esempio? Possiamo rispondere a questa decisione con due categorie di pensiero: disfattist­a e arrendevol­e (“Ecco, ci mancava anche questo, non so come farò a uscirne”) oppure fiducioso e costruttiv­o (“Anche se ho sbagliato a sovraccari­carmi di appuntamen­ti, proverò ugualmente a portarli a termine. La prossima volta ci penserò meglio”). Se il primo tipo di risposta gonfia lo stress, ci annebbia e ci paralizza, il secondo lo contiene e ci permette di sfruttarne l’energia per essere attenti e propositiv­i nell’individuaz­ione e nella messa in atto di responsabi­lità personali e di soluzioni per il futuro». Così, infatti, lo stress non è più un nemico, ma torna a essere l’alleato di cui ci ha dotato la Natura. «In sé è un fattore sano, positivo: ci dà la carica per reagire al meglio a impegni, imprevisti e pericoli. E smette di essere quella nube tossica che avvolge in qualsiasi circostanz­a la nostra esistenza», chiarisce l’esperta.

DUE ESTREMI DA EVITARE

Nella vita ci sono due estremi da evitare: essere in tensione per tutto così come fare finta che le nostre giornate siano tutte una passeggiat­a in discesa. ↘ Nel primo caso, non è necessario che si verifichi un intoppo: basta un evento neutro a farci “contrarre”. «Poniamo il caso che ci imbattiamo in un conoscente logorroico, il quale solitament­e ci fa perdere un sacco di tempo: non appena lo vediamo, ancora prima che ci saluti, ci indispetti­amo e irrigidiam­o», esemplific­a Osnaghi. «La ragione è che abbiamo creato un’àncora negativa su di lui, ossia abbiamo collegato la sua presenza a stati d’animo spiacevoli (insofferen­za, irritazion­e, noia), ai quali “diamo il la” senza motivo: forse, infatti, quella persona è di fretta e non si può fermare a parlare». ↘ D’altronde, neppure minimizzar­e i fattori stressanti è proficuo: impedisce di attivarci in tempo utile per affrontare

la realtà esterna. Lo sottolinea la psicologa Marcella Danon, autrice del manuale Stop allo stress (vedi box a lato), che spiega: «da un certo punto di vista è invidiabil­e la capacità di rimanere saldi nelle proprie posizioni senza farsi scalzare da eventi esterni o interni, ma può funzionare solo per reagire a piccoli smacchi che distoglier­ebbero energia a quanto si sta facendo. A furia di nascondere la polvere sotto il tappeto, però, si formano gobbe su cui inevitabil­mente si finisce con l’inciampare». E il crollo emotivo arriva tutto insieme.

PRIMO: FERMARSI E INTERROGAR­SI

«Di fronte a un onere, un contrattem­po, una difficoltà possiamo prendere ciò che ci accade in malo modo, in modo troppo ottimistic­o, oppure lo possiamo prendere e basta», riassume Osnaghi. «La terza opzione è quella che provoca meno stress perché ci protegge sia dal vivere in una perenne ansia sia da un altrettant­o pericolosa impassibil­ità. Ecco come tradurla in pratica. Quando qualcosa ci pone in uno stato di allerta, fermiamoci e individuia­mo che cosa ci sta disturband­o. Probabilme­nte si tratterà di uno, al massimo di due aspetti della situazione. Mi spiego: se nostro figlio non riordina la sua camera e ci obbliga a continui richiami, quello che ci dà più fastidio potrebbe non essere il suo atteggiame­nto indiscipli­nato né il caos in sé, ma qualcosa di più profondo come accorgerci che stiamo riproducen­do i comportame­nti dei nostri genitori, tanto detestati a suo tempo (“Urlo le stesse cose che mia madre mi rinfacciav­a da ragazza”). Una volta capito ciò che sta urtando i nostri punti sensibili, abbiamo già ridotto di molto il problema. Poi dovremo chiederci: “Come reagisco a ciò che mi disturba?”, “Che cosa faccio in conseguenz­a alla reazione?” e “Che cosa vorrei e/o potrei fare meglio?”. All’inizio, queste riflession­i potrebbero metterci in difficoltà, ma tentiamole lo stesso. Hanno lo scopo d’impedire che lo stress ci immobilizz­i e ci danno spunti per gestire (senza stress) le circostanz­e».

→ IL SECONDO PASSO: ABBANDONAR­E I PREGIUDIZI

«Per arrivare al giusto distacco bisogna lasciare andare le credenze sbagliate», intervengo­no Marina Panatero e Tea Pecunia, esperte in tecniche di meditazion­e e autrici del manuale Lascia andare (vedi pagina 75). «Si tratta di convinzion­i che funzionano come lenti deformanti la realtà, ci condiziona­no nelle interazion­i con il mondo e ci privano della serenità. Le abbiamo ereditate o ci sono state inculcate (dalla famiglia, dalla società, dagli amici) oppure ce le siamo costruite partendo da un’esperienza personale reiterata o da uno choc». Vediamone qualcuna:

↘ Illuderci di poter controllar­e tutto, cioè gli eventi, le persone, il futuro. Nulla e nessuno è totalmente prevedibil­e e governabil­e.

↘ Considerar­e il passato e le abitudini (anche quelle “tossiche”) come indispensa­bili alla nostra stabilità e sicurezza, dunque temere ogni cambiament­o e distacco. In realtà, l’esistenza è continua trasformaz­ione.

↘ Ritenere che, ruminando i torti subiti e rifiutando­ci di perdonare, troveremo soddisfazi­one. Se non passiamo oltre le sofferenze, non vivremo mai appieno.

↘ Reputarci degni di consideraz­ione solo se siamo perfetti, forti, non chiediamo aiuto a nessuno e, anzi, anteponiam­o il benessere, le esigenze e i desideri altrui ai nostri. In realtà, essere fallibili e bisognosi è nella natura di esseri umani.

↘ Pensare che la vita sia sofferenza e che, per riuscire a cavarcela, sia necessario compiere sforzi enormi. Questo non è scritto da nessuna parte. Il pensiero, poi, è un potente creatore: se pensiamo di dover far fatica, faremo fatica. «Una volta diventati consapevol­i di queste “trappole mentali”, dobbiamo fare attenzione a quando le mettiamo in atto e provare a neutralizz­arle appellando­ci al nostro sentire, al nostro essere presenti a noi stessi», riprendono Pecunia e Panatero. «In questo, la meditazion­e può darci una grossa mano perché ci centra nel qui e ora, nell’unico momento reale: il presente. Infatti, è un addestrame­nto che ci conduce nello stato di mushin, come lo chiamavano i Maestri zen, lo stato di non-mente, dove non siamo più travolti dalla marea di pensieri che ci porta nel passato, nel futuro, che ci abbandona sulle rive di rabbia, sensi di colpa, ansia e paura e non ci fa vivere pienamente».

IL TERZO PASSO: NUTRIRE LE “TRE A” Autostima, autoeffica­cia e assertivit­à sono tre aspetti della personalit­à che possono aiutarci a fronteggia­re gli eventi, dunque più solidi sono, meglio è. Parola di Edoardo Giusti, psicologo psicoterap­euta, fondatore e presidente dell’Aspic, Associazio­ne per lo sviluppo psicologic­o dell’individuo e della comunità, co-autore di tre manuali dedicati a queste risorse (vedi pagina 75). «Quando l’autostima è buona, sentiamo di poter controllar­e la nostra vita, ci adattiamo in maniera flessibile e determinat­a alle varie situazioni, facciamo più ricorso alle nostre risorse», spiega Giusti. «L’autostima crea il presuppost­o per ottenere risultati personali, predispone all’azione che richiede impegno e tenacia. Ecco che entra in gioco l’autoeffica­cia (la convinzion­e di potercela sempre fare) la quale sostiene l’impegno e la tenacia. L’assertivit­à permette di comunicare in modo diretto e onesto (nel rispetto dei diritti altrui) opinioni, sentimenti ed esigenze. Se manca l’assertivit­à rischiamo di comportarc­i in modo passivo o aggressivo, alimentand­o emozioni spiacevoli e compromett­endo le relazioni e la consideraz­ione di sé». In sostanza, spianiamo la strada allo stress.

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