Problemi di squadra
Tuo figlio viene spesso messo nell’angolo? Ecco come aiutarlo a superare il momento di difficoltà
Non lo convocano. Lo lasciano in panchina. Non gli passano la palla. Se hai figli, o figlie, preadolescenti, che praticano uno sport di squadra, probabilmente avranno sperimentato una di queste esclusioni. E tu ti sarai chiesta che cosa dire loro per aiutarli a superare il momento difficile. Per saperlo, abbiamo chiesto la consulenza della dottoressa Annalisa Gatto, psicologa e psicoterapeuta dell’età evolutiva all’ospedale Santi Paolo e Carlo di Milano, che avverte: «Decidere subito di cambiare squadra o dare la colpa all’allenatore o ai compagni, pensando di proteggere così i propri figli, è un errore perché non li aiuta a crescere e superare le fragilità della loro età». Analizziamo allora le tre “esclusioni” più classiche e le soluzioni più efficaci.
NON LO CHIAMANO PER LA PARTITA
Si allena regolarmente, ma l’allenatore non lo convoca mai. «In questo caso il figlio (o la figlia) va invitato a riflettere sul perché questo avviene. Le risposte possono essere le più diverse (“non mi impegno abbastanza”, “sono in una squadra nuova e non mi conoscono”, “non sono abbastanza bravo”) e gli per-
metteranno di analizzare la situazione da varie prospettive», suggerisce l’esperta. «L’importante è non alimentare giustificazioni come “l’allenatore non capisce niente”. Bisogna invece aiutare il ragazzo/la ragazza a trovare la giusta dimensione sportiva... magari anche ripartendo da una squadra meno competitiva».
RIMANE SEMPRE IN PANCHINA
Si presenta alla partita, indossa la divisa ma poi rimane a guardare gli altri giocare. «Probabilmente non è ancora abbastanza bravo/brava. Dire “mi dispiace” serve solo ad aumentare la frustrazione, mentre è utile sottolineare la parte positiva, cioè che c’è la possibilità di migliorare», afferma la dottoressa Gatto. «Bisogna far sentire la propria fiducia e spronarlo all’impegno, sottolineando come in una squadra ci può essere posto anche per i “gregari”».
NON GLI PASSANO MAI LA PALLA
Qui non c’è l’adulto (ovvero l’allenatore) che decide, ma è una dinamica che si sviluppa tra coetanei. «E che innesca quei timori di esclusione dal gruppo tipici dell’adolescenza», aggiunge la psicologa. «Anche in questo
caso dobbiamo aiutarlo a fotografare la situazione: può essere che sia una situazione legata alla sua bravura, ma magari anche a una non completa conoscenza con i propri compagni. O magari al fatto che è lui il primo a non passare la palla quando l’ha tra le mani o tra i piedi...».