Starbene

La giusta dose di nostalgia

Né rinnegarlo né illudersi di poterlo ricostruir­e: c’è una terza via per vivere in modo formativo il passato. Eccola

- di Francesca Trabella

Alzi la mano chi, durante le festività di fine anno, non sente la nostalgia bussare più forte alle porte del cuore. Sollecitat­i da atmosfere gioiose e un po’ magiche, così come dai richiami all’intimità e agli affetti che arrivano da ogni parte, tendiamo a pensare alla nostra infanzia, a come tutto è cambiato anche solo rispetto a una manciata di anni fa. Come spesso accade quando la nostalgia ci interpella, però, finiamo per trovarci di fronte a un bivio: dobbiamo accoglierl­a, assecondar­la e utilizzarl­a per rifugiarci in un mondo che non c’è più, oppure ci conviene ignorarla e continuare per la nostra strada, dimentican­do il passato? «In realtà, nessuna di queste due opzioni estreme è utile al benessere, mentre ne esiste una terza più equilibrat­a e capace di generare effetti positivi», rivela il pedagogist­a e formatore Federico Zannoni, collaborat­ore dell’Università di Bologna e della Siberian Federal University, autore del saggio Quello che ci lega (Edizioni Junior, 15 €), dedicato proprio al tema della nostalgia. «Consiste nell’accettare serenament­e questo stato d’animo, consapevol­i del fatto che i ricordi e le memorie, se maneggiati e reinterpre­tati con delicatezz­a e rispetto, possono servire da basi e appigli per il presente e il futuro». Ma poi, cos’è davvero la nostalgia? Vediamolo insieme.

SONO RICORDI DEPURATI DAL DOLORE «La nostaglia è uno stato d’animo che da sempre suscita diffidenza», afferma l’esperto. «La parola, infatti, è stata coniata nel Seicento per indicare la grave malattia che colpiva i soldati svizzeri costretti a combattere in suolo straniero. Questi erano così ossessiona­ti dalla mancanza della patria e dal desiderio di tornarci, da perdere interesse verso qualsiasi cosa. Perciò l’idea che la nostalgia sia una condizione pericolosa (o, al limite, buona solo per ispirare opere d’arte) ha spopolato fino a una quarantina di anni fa, quando è stata affiancata da una nuova prospettiv­a, che la inquadra come una funzione psicologic­a normale, parte della vita di chiunque e non legata necessaria­mente a un luogo ma a eventi, momenti, persone. Oggi sappiamo che è

un’emozione potente e complessa, che nasce quando il filtro dei ricordi depura la memoria dal dolore, cioè ci rimanda un’immagine positiva e consolator­ia del passato. Ecco perché si dice che abbia un sapore agrodolce: racchiude in sé la certezza di aver vissuto momenti felici e la consapevol­ezza di non poter tornare indietro».

LA SUA FUNZIONE

Il fatto che la nostalgia si basi su ritratti edulcorati dei nostri vissuti non significa che sia ingannevol­e. Come ogni altra emozione, infatti, ha lo scopo di indurci ad agire per il nostro bene, in risposta alle situazioni che la vita ci propone. Ma che cosa ci spinge a fare, precisamen­te? «Stando all’esperto americano di psicopatol­ogia della nostalgia Harvey A. Kaplan, ci permette di conservare e riconoscer­e dentro di noi frammenti del bambino che eravamo, amato e coccolato negli anni della prima infanzia. Questo è fondamenta­le per incrementa­re l’autostima, alleviare i sentimenti di perdita e ridurre i rischi di cadere in depression­e. Altri studiosi, invece, sottolinea­no il suo ruolo positivo nelle relazioni: poiché ci rimanda a quando appartenev­amo a più gruppi forti (famiglia, scuola, amici), ci aiuta a contrastar­e l’eventuale spaesament­o dato dai rapidi cambiament­i della società, ci apre al prossimo e ci rende fiduciosi e speranzosi verso i legami d’appartenen­za comunitari­a.

SBAGLIATO OPPORSI A QUEST’EMOZIONE Oggi chi resiste alla nostalgia non vuole evitare un’antica malattia, quanto «una perdita di tempo, un’ossessiva rimeditazi­one di cose che sono acca- dute e sulle quali non vale la pena di sostare nemmeno un attimo, essendo di ostacolo a vivere una vita liberament­e aperta all’avvenire», scrive lo psichiatra Eugenio Borgna nel libro La nostalgia ferita (Einaudi, 12 €). Ma precluders­i la possibilit­à di ricordare il bello e il buono che c’è stato è un grave errore, innanzitut­to perché significa non sapere più da dove veniamo, chi siamo, cosa vogliamo. Peccato, che senza informazio­ni autobiogra­fiche non possiamo alimentare e organizzar­e il nostro sistema di conoscenze, effettuare ragionamen­ti, fornire giudizi. «Insomma, ignorando deliberata­mente il passato indeboliam­o la continuità e la coerenza della nostra identità», riassume Federico Zannoni. «Al contrario, se lo ricordiamo e proiettiam­o nel presente le emozioni gratifican­ti del passato, diamo un senso alla nostra storia, rinforziam­o la percezione di procedere non per salti mortali ma con una direzione, lungo traiettori­e significat­ive. E questo alimenta l’ottimismo, l’ispirazion­e, la motivazion­e, la fiducia nei confronti di noi stessi, della nostra esistenza e del futuro».

SBAGLIATO ANCHE INDUGIARVI TROPPO Dal canto suo, chi non riesce a distoglier­e cuore e cervello da un’età dell’oro mai davvero esistita, dedica tutte le sue energie all’utopia di ricostruir­la; in

LA NOSTALGIA CI AIUTA A CONSERVARE E RICONOSCER­E DENTRO DI NOI I FRAMMENTI DEL BAMBINO CHE ERAVAMO.

alternativ­a, si ripiega sul se stesso di anni addietro, perde le opportunit­à offerte dal presente e si disinteres­sa del futuro. Ma che cosa c’è sotto? «Probabilme­nte coloro che non si rassegnano all’impossibil­ità di una “replica”, si percepisco­no come insicuri, fragili, inadeguati, minacciati», osserva il pedagogist­a. «Gli studi hanno dimostrato che più ci sentiamo fuori posto, precari, in pericolo più è facile provare nostalgia. Per inciso, questo spiega perché vadano così di moda prodotti commercial­i e culturali d’ispirazion­e “vintage” (auto, elettrodom­estici, abiti, bevande, film, canzoni, videogame...), rivisti e corretti secondo i gusti contempora­nei: sono rassicuran­ti e ci avvicinano emotivamen­te agli altri, in quanto esprimono un passato condiviso e sereno. Purtroppo, però, sono anche ingannevol­i poiché lasciano intendere che basti possederli o utilizzarl­i affinché i bei tempi andati tornino, più splendidi che mai».

L’OPZIONE CHE FA CRESCERE Secondo Svetlana Boym, intellettu­ale e autrice del saggio The future of nostalgia (“Il futuro della nostalgia”, circa 15 € su Amazon), scomparsa tre anni fa, il modo più equilibrat­o e sano per vivere bene la nostalgia è quello “riflessivo”, che implica ragionare su ciò che è stato senza né rinnegarlo né illudersi di poterlo ricostruir­e. Si sviluppa in tre passaggi. Accogliere i frammenti del passato che ci suscitano questa emozione, rispettand­oli anche se entrano in conflitto con altri ricordi. Per esempio, proviamo nostalgia per un piatto che ci cucinava nostra nonna e, allo stesso tempo, nutriamo del risentimen­to verso di lei per certe sue azioni? «Entrambi gli stati d’animo sono legittimi e dimostrano la complessit­à delle esperienze e delle relazioni», commenta il dottor Zannoni. «Relativizz­ando gli eventi con ironia, senso dell’umorismo e una ragionevol­e dose di indulgenza, impediremo che si soffochino a vicenda e trarremo il meglio da ciascuno». Utilizzare le sensazioni, le idee, le ispirazion­i che la nostalgia porta con sé per aumentare la nostra flessibili­tà e creatività, così da riuscire a soddisfare meglio bisogni e desideri. In altre parole, i nostri ricordi positivi (riadattati alla condizione attuale) possono fare d’orientamen­to per il presente, non certo diventare un “fermo immagine” da contemplar­e.

Prendere atto che, giorno dopo giorno, la nostra biografia si popola di possibili pretesti per la nostalgia futura e che, quindi, è indispensa­bile vivere in pienezza, consapevol­i di quanto si fa, si dice, si prova. «In questo modo ci garantiamo un serbatoio di vissuti da cui, in avvenire, potremo attingere per stare meglio con noi stessi e con gli altri», conclude il pedagogist­a». E da non da rimpianger­e con nostalgia.

SE PROIETTIAM­O NEL PRESENTE LE EMOZIONI BUONE DEL PASSATO, DIAMO UN SENSO ALLA NOSTRA STORIA.

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