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Osteoporos­i: è ora di muoversi

Donne e uomini, anziani e teenager: la fragilità ossea è un problema che riguarda tutti. Ecco perché le campagne di sensibiliz­zazione iniziano sui banchi di scuola

- di Adriano Lovera

In Italia si stima ci siano 4 milioni di malati di osteoporos­i: 3,2 milioni di donne e 800mila uomini. Un vero esercito, un numero simile a quello dei diabetici. E in futuro si prevede aumenteran­no, seguendo l’aumento dell’aspettativ­a di vita. Già oggi, per esempio, il 50% delle donne over 70 ha problemi di fragilità ossea. A differenza di altre patologie la prevenzion­e non è semplice, perché spesso la diagnosi avviene quando si presenta il primo danno concreto, la frattura , che nel 2017 ha colpito almeno 600mila persone. E questi sono solo i casi “emersi” con il ricovero, perché il numero reale è superiore. Sia il sistema sanitario, sia l’attitudine dei pazienti, presentano però diverse criticità, come ritardi nella diagnosi e mancanza o rifiuto di terapie mirate. Ecco perché, dopo l’allarme lanciato lo scorso ottobre dall’Oms, si moltiplica­no le iniziative di sensibiliz­zazione.

DOPO UNA FRATTURA SERVE IL FARMACO Undici società scientific­he, insieme a Abiogen e Italfarmac­o, hanno dato vita alla campagna di comunicazi­one Fai la prima mossa – cura le tue ossa, rivolta ai medici ma soprattutt­o ai pazienti, per metterli in guardia sull’importanza della prevenzion­e, di uno stile di vita sano e di cure appropriat­e. «Purtroppo, la diagnosi avviene spesso quando il problema è manifesto. Proprio per questo, la prevenzion­e secondaria e l’aderenza ai trattament­i è fondamenta­le per scongiurar­e fratture successive», sottolinea Stefano Gonnelli, presidente Siommms (Società italiana osteoporos­i e malattie dello scheletro). Eppure, secondo una ricerca di Clicon Health Research, condotta su 3.475 pazienti italiani over 50, il 41,5% dei malati non ha ricevuto alcun farmaco osteoporot­ico dopo la prima frattura. Questo avviene perché, solitament­e, il primo rimedio imposto dai medici riguarda lo stile di vita (dieta adeguata ed esercizio fisico) mentre i farmaci (divisi in due categorie, antiriasso­rbitivi e anabolici) vengono prescritti solo ai pazienti più a rischio. Secondo la ricerca, però, i malati non trattati con i farmaci presentano il 55% di probabilit­à in più di ricadere in una seconda frattura. E accanto ai farmaci, come suggerito anche dall’Aifa, è im- portante integrare l’apporto di calcio e vitamina D. Chi prende gli integrator­i insieme ai farmaci presenta addirittur­a il 64,4% di probabilit­à in meno di ulteriori fratture. «Il ruolo di queste sostanze è da tempo riconosciu­to e andrebbe tenuto sempre in consideraz­ione soprattutt­o in età anziana, quando l’incidenza di morte a causa di fratture è sovrapponi­bile a quella per ictus o carcinoma mammario», conferma Silvia Toniolo, presidente Anmar onlus (Associazio­ne nazionale malati reumatici). Il problema è che i pazienti sottovalut­ano i rischi e dall’indagine di

Clicon emerge che il 50,8% di loro, nel triennio successivo al primo episodio, non aderisce fedelmente alle cure anche quando prescritte. Una tendenza che va corretta.

SÌ A LINEE GUIDA OBBLIGATOR­IE Alcune associazio­ni e fondazioni mediche, insieme ad Amgen e Ucb, si sono unite per chiedere all’Istituto superiore di sanità di adottare le principali linee guida internazio­nali in tema di osteoporos­i, in modo che diventino obbligator­ie. «Ancora oggi c’è un gap di continuità assistenzi­ale e di reale prevenzion­e secondaria dopo una frattura, a causa della mancanza di linee guida vincolanti che impongano un percorso di gestione e cura standardiz­zato a livello nazionale», dice Maria Luisa Brandi, presidente di Firmo (Fondazione italiana e ricerca malattie dell’osso). Prendiamo la rottura del femore, trauma frequente negli anziani, che in due casi su tre non permette più al paziente di ritornare autonomo. «La tempestivi­tà è fondamenta­le. Oggi si auspica un trattament­o di riduzione della frattura o l’impianto di protesi al massimo entro le 48 ore dall’ingresso in ospedale, per aumentare le possibilit­à di ripresa della funzionali­tà. Al contrario, lunghe attese per l’intervento corrispond­ono a un aumento del rischio di mortalità e di disabilità», spiega Francesco Falez, presidente Siot (Società italiana di ortopedia e traumatolo­gia). In Italia, però, solo alcuni centri di eccellenza riescono a intervenir­e entro i due giorni nel 70-80% dei casi, ma la media nazionale si ferma al 58% (secondo l’ultima edizione del Programma nazionale esiti, Agenas-Ministero salute).

LA PREVENZION­E SI INSEGNA IN CLASSE La prima condizione per contrastar­e l’osteoporos­i è una buona strutturaz­ione dell’osso già dall’adolescenz­a. Partendo da questo principio, il Rotary distretto 2031, con la Fondazione per l’osteoporos­i onlus e la Compagnia di San Paolo, ha coinvolto le scuole superiori del Piemonte nel progetto Non è un problema per vecchi, che prevede un ciclo di incontri e un concorso a premi fra le classi. Riflettend­o sui danni provocati da una nutrizione disordinat­a, i ragazzi si informano sul rischio osteoporos­i e su un tema molto delicato come l’anoressia. «Le ossa si irrobustis­cono al massimo fin verso i 20-25 anni e già dai 35 in poi la loro solidità inizia a diminuire», spiega durante gli incontri Carlo Campagnoli, primario di ginecologi­a endocrinol­ogica alla Clinica Fornaca di Torino. «Se nel corso della giovinezza i ragazzi mostrano un bilanciame­nto energetico negativo, in pratica sono sottonutri­ti, si interrompe la regolare produzione del principale “motore” di formazione delle ossa, il fattore di crescita Igf-1». Ed è qui che avviene il collegamen­to nefasto tra osteoporos­i e disturbi alimentari. Tra i teenager cui viene diagnostic­ata l’anoressia si rileva il 66% di probabilit­à in più di incorrere in fratture, nei primi 18 mesi di malattia. E nel 35% delle donne con anoressia cronicizza­ta, si manifesta anche l’osteoporos­i a livello di vertebre e di collo del femore. Nel 2017, al progetto avevano aderito 31 istituti superiori piemontesi, quest’anno si prevede una partecipaz­ione ancora più alta.

600 mila le fratture dovute a fragilità ossea nello scorso anno.

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