Sofia Goggia: «Il carattere conta più del fisico»
Sofia Goggia racconta il suo recupero a tempo di record dopo il grave incidente sugli sci dello scorso ottobre. E spiega perché il temperamento è sempre alla base di tutto
Èuna vera forza della natura Sofia Goggia. Ad appena 99 giorni da un grave infortunio in allenamento, la 26enne sciatrice bergamasca è tornata alle gare di Coppa del Mondo di sci. Non solo: è salita subito sul podio due volte a distanza di poche ore sulla neve di GarmischPartenkirchen, in Baviera. Un duplice secondo posto, seguito da un argento, altrettanto sensazionale, ai recentissimi Mondiali di Åre, in Svezia. «Sono felice delle medaglie in SuperG e discesa libera: al cancelletto di partenza non avevo aspettative, per me era già un grande risultato essere lì. Mi sono tolta una bella soddisfazione: venivo da settimane trascorse senza poter nemmeno appoggiare il piede a terra», racconta. Sì, perché “Sofi” (è il suo diminutivo preferito) lo scorso ottobre ha dovuto fare i conti con una doppia frattura al malleolo peroneale della caviglia destra. Una diagnosi, gambaletto di gesso incluso, che avrebbe messo ko chiunque, ma non una campionessa come lei, che nella discesa libera ha vinto un oro da record alle scorse Olimpiadi di PyeongChang (nessuna azzurra c’era riuscita prima) e la Coppa del Mondo 2018 (seconda italiana della storia ad alzarla al cielo nella specialità).
Come hai reagito alla notizia di dovere restare a lungo lontana dalle piste?
«All’inizio ho accusato il colpo in modo pesante: il debutto era dietro l’angolo e mi sembrava di avere gettato via tutte le mie fatiche. Poi la delusione e l’amarezza hanno lasciato il posto al desiderio di rimettermi sugli sci al più presto. “Guai, a perdere tempo!”, mi ripetevo. Detto, fatto: ho iniziato immediatamente a studiare il piano di riabilitazione».
Il primo punto del programma?
«A casa, immobile, avrei gravato sui miei genitori e io non sopporto di essere un peso, così ho deciso di trasferirmi in un hotel a Verona. Lì ero più vicina al mio fisioterapista di Mantova e avevo a disposizione un’ottima palestra dove recuperare la forma».
Ci racconti la tua giornata tipo in quel periodo?
«Uscivo dalla stanza alle 5.40 con le stampelle: chissà cosa si sarà immaginata di me la signora delle pulizie che incrociavo in corridoio all’alba! Alle 6 entravo in palestra, poi passavo in piscina e alle 13 un autista mi accompagnava al centro di fisioterapia. Rientravo in camera per cena e andavo a letto presto. Sette giorni su sette per otto ore, con una dieta ferrea, priva di zuccheri. L’unico strappo alla regola? Un bicchiere di vino rosso ogni tanto: fa bene al corpo e allo spirito».
Una tabella di marcia massacrante.
«Era l’unico metodo per rimettermi in sesto alla svelta, ecco perché non ho