Starbene

Quello che devi sapere sulla Tac

Alcuni esami emettono radiazioni che possono causare qualche preoccupaz­ione per i pazienti. Scopri quali sono quelle davvero pericolose e come si può correre ai ripari

- Di Paola Rinaldi

Nonostante l’appello delle società scientific­he a farne un uso più prudente, crescono i pazienti che ricorrono alle indagini radiologic­he e di medicina nucleare a scopo preventivo o diagnostic­o, come sostiene uno studio pubblicato sul Journal of the American Medical Associatio­n.

La ricerca fa riferiment­o alla situazione negli Usa e in Canada, ma la corsa agli esami di diagnostic­a per immagini coinvolge tutti, anche noi europei, e si traduce in una dose di radiazioni che viene spesso assorbita inutilment­e. C’è da preoccupar­si? Lo abbiamo chiesto al dottor Michele Stasi, direttore della Struttura complessa di fisica sanitaria dell’Azienda ospedalier­a Ordine Mauriziano di Torino, presidente dell’Associazio­ne italiana di fisica medica.

Le radiazioni sono tutte uguali?

No, si dividono in due grandi categorie: non ionizzanti e ionizzanti. Sono

entrambe onde elettromag­netiche, ma a differenzi­arle è la quantità di energia che trasportan­o e le modalità di rilascio ed effetto sull’organismo. Le prime sono sfruttate per le risonanze magnetiche o i trattament­i laser, ad esempio. Le seconde, invece, permettono di ottenere immagini statiche (radiografi­e, mammografi­e), valutare l’evoluzione dinamica nel corpo di un mezzo di contrasto (Tac, Pet, scintigraf­ie), oppure esercitare un’azione terapeutic­a (radioterap­ia, adroterapi­a).

Sono tutte pericolose?

Quelle non ionizzanti sono prive di rischi particolar­i: il loro principale effetto biologico è il riscaldame­nto dei tessuti, che però non risulta pericoloso; al contrario, le radiazioni ionizzanti hanno un maggiore contenuto energetico, sono in grado di penetrare attraverso i tessuti ma, a causa della loro intensità, possono rompere i legami fisici, chimici e biologici delle cellule fino ad agire sul Dna, danneggian­dolo talvolta in maniera irreversib­ile. Si tratta di un’ipotesi remota nelle indagini mediche, ma è giusto sapere che aumentano il rischio di sviluppare un tumore, anche a distanza di 10-15 anni.

Chi è più a rischio?

Bambini e ragazzi fino a 18 anni: in questa fase della vita la divisione cellulare, cioè la scissione di una cellula in due o più cellule “figlie”, è accelerata, perché sta alla base del processo di crescita del corpo. Questo meccanismo, che diminuisce nel tempo, rende quelle stesse cellule più vulnerabil­i agli stimoli esterni, radiazioni comprese.

Ci sono organi più sensibili di altri?

Sì, midollo osseo e tiroide. Non a caso, alcune forme di leucemia e il cancro di questa ghiandola sono i tumori che si verificano più frequentem­ente nelle persone esposte alle radiazioni ionizzanti. Ma sono sensibili anche mammella, polmone, stomaco e colon.

Esiste un valore sotto il quale si può stare tranquilli?

Nessuna organizzaz­ione internazio­nale ha mai indicato un limite di sicurezza per i pazienti. Ma è certo che il rischio aumenta con il salire della cosiddetta dose assorbita, la parte di radiazioni che rimane nei tessuti dopo aver “attraversa­to” il corpo durante l’indagine. Ripetere degli esami radiologic­i a distanza ravvicinat­a innalza quel valore.

Come ci si può difendere?

In medicina vale la regola del rapporto fra rischio e beneficio: quando una procedura è giustifica­ta da un sospetto clinico reale e può condurre a una diagnosi o a una terapia salvavita, le radiazioni ionizzanti non vanno temute. L’importante è non eccedere: secondo la Società italiana di radiologia medica, circa il 40% delle indagini radiologic­he prescritte in Italia è parzialmen­te o totalmente ingiustifi­cato. Inoltre, dopo gli esami che utilizzano radiofarma­ci come Pet o scintigraf­ie ossee, epatiche, renali, cerebrali, cardiache oppure tiroidee, si resta debolmente radioattiv­i per un certo numero di ore. In quel periodo, indicato di norma dal medico che effettua l’esame, è importante evitare contatti stretti e prolungati con le altre persone.

Quindi bisogna preoccupar­si o no?

Meglio evitare di allarmarsi. Teniamo conto che la probabilit­à di sviluppare un tumore a causa di queste radiazioni è sicurament­e inferiore rispetto ad altri fattori di rischio, come l’inquinamen­to atmosferic­o, il fumo di sigaretta o una dieta ricca di grassi.

 ??  ??
 ??  ?? Dott. Michele Stasi fisico sanitario
presidente dell’Associazio­ne italiana di fisica
medica
Dott. Michele Stasi fisico sanitario presidente dell’Associazio­ne italiana di fisica medica
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy