Starbene

Una task force per salvare il mare

Il nemico da combattere sono i rifiuti di plastica che finiscono in acqua. Le armi? Tante idee per raccoglier­li e campagne per ridurli

- di Isabella Colombo

Con la legge Salvamare, appena approvata in Parlamento, il nostro Mediterran­eo ha qualche speranza in più di sopravvive­re all’inquinamen­to da plastica:

i pescatori infatti potranno portare a riva i rifiuti trovati accidental­mente nelle reti da pesca e smaltirli in porto, come quelli delle navi, negli appositi centri di raccolta. «È un grande passo avanti perché fino a oggi il fishing for litter, cioè la buona pratica di portare a riva la plastica trovata al largo, non è stato regolament­ato e così molti pescatori finiscono per ributtarla in mare perché a riva non ci sono strutture per smaltire il “pescato sbagliato”», spiega Otello Giovanardi, ricercator­e di Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale. «Spesso, inoltre, questa pesca indesidera­ta viene ributtata nelle zone a maggiore pregio ambientale, dove lo strascico non è consentito, così da non ritrovarse­la il giorno dopo ancora nella rete». Adesso tutte le strutture portuali dovranno adeguarsi e non sarà facile né veloce, ma resta il fatto che Salvamare è il primo tentativo italiano di mettere finalmente a sistema una serie di azioni concrete e costanti per arginare un fenomeno che ci sta fuggendo di mano.

L’emergenza Mediterran­eo

«Secondo i nostri dati, nel Mediterran­eo ogni anno galleggian­o 570 mila nuove tonnellate di plastica non biodegrada­bile, l’equivalent­e di 33.800 bottigliet­te gettate in acqua ogni minuto», spiega Eva Alessi, responsabi­le consumi sostenibil­i di Wwf Italia. «Il nostro è un mare semichiuso, quindi i tempi di ricambio delle acque sono lunghi e si accumulano grossi quantitati­vi di rifiuti. Per lo stesso motivo la concentraz­ione di microplast­iche, ancora più pericolose delle macro perché entrano nella catena alimentare, è quattro volte quella rinvenuta sotto le grandi isole di plastica del Pacifico. Oggi il rapporto tra pesce e plastica è di cinque a uno, se non si inverte subito la rotta, nel 2050 sarà di uno a uno. Cioè, ci sarà tanta plastica quanto pesce».

Le start up ecologiste

Istituzion­i e privati nel corso degli ultimi anni hanno tentato di fare qualcosa e le sperimenta­zioni di università ed enti di ricerca per trovare una soluzione definitiva si susseguono. Per esempio le barriere galleggian­ti sul modello di

Ocean CleanUp, l’enorme tubo che argina e aspira i rifiuti dispersi fino in profondità, nella cosiddetta “isola di plastica” in cui tende a raccoglier­si l’immondizia del Pacifico. Da noi un sistema di barriere è stato messo a punto dalla start up Sea Defence Solutions alla foce del Po per intercetta­re a monte la spazzatura. «L’iniziativa è lodevole ma la sperimenta­zione ancora lunga: oltre alla plastica, le barriere bloccano tutto ciò che dovrebbe rimanere, come le uova dei pesci», spiega Alessi. Altre iniziative riguardano le aree dei porti: nei maggiori approdi turistici italiani è stato istallato per esempio Seabin, uno speciale cestino galleggian­te dei rifiuti che collocato in posizioni strategich­e attira plastiche e mozziconi di sigaretta. Un’altra start up antiplasti­ca, tutta made in Sardegna, è Waste Boat Service: raccoglie la spazzatura dagli yatch che stazionano al largo dei porti e opera nell’area della Maddalena. «Solo l’ultima estate abbiamo raccolto oltre 40 tonnellate di plastica e altri rifiuti che altrimenti verrebbero scaricati sulle spiagge, sui moli o direttamen­te in mare», spiega Davide Melca, uno dei tre fondatori. «I diportisti che non entrano nei porti, infatti, non possono scaricare i rifiuti perché le strutture portuali non sono attrezzate per riceverli dalla rada. Noi li raccogliam­o direttamen­te a bordo e li tracciamo». Ci sono poi i programmi internazio­nali che servono a monitorare il fenomeno, quantifica­re e catalogare i rifiuti, capire come rendere sistema le sperimenta­zioni. Per esempio Ml-Repair di Ispra per creare una governance condivisa tra Italia e Croazia sulla gestione dei rifiuti nell’Adriatico. Oppure la campagna di raccolta e monitoragg­io Plastic Busters.

Le buone pratiche

Altrettant­e sono le iniziative che, oltre allo scopo di pulire il mare dalla plastica, hanno quello di sensibiliz­zare i cittadini. Il Wwf per esempio ha lanciato quest’anno #StopPlasti­cPollution: Blue Panda, una barca a vela, ha coinvolto turisti, sub e cittadini nei porti del Mediterran­eo in eventi di pulizia. È partita a luglio da Monte Argentario raccoglien­do oltre a tanta plastica anche importanti risultati: il Comune italiano ha annunciato il suo percorso verso un’amministra­zione plastic-free, mentre il sindaco di Nizza in Francia e quello di Smirne in Turchia hanno firmato un documento che li impegna a raggiunger­e una gestione efficiente dei rifiuti plastici entro il 2030. «In una sola settimana all’Argentario abbiamo raccolto 100 sacchi di spazzatura e 460 sacchetti in plastica dispersi su spiagge e coste», dice Alessi. «È una briciola di quella esistente nei nostri mari, ma questi eventi servono soprattutt­o a informare i cittadini sul fatto che il mare è la principale destinazio­ne della plastica rilasciata in natura e che in questo modo torna nel cibo. Fare la differenzi­ata non basta più, dobbiamo azzerare la plastica monouso e gli imballaggi al supermerca­to. Se guardiamo le nostre case tutti sappiamo già cosa fare per salvare il nostro mare».

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I rifiuti vengono arginati e poi aspirati grazie alla fondazione The Ocean Cleanup
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Seabin è un cestino galleggian­te dei rifiuti che attira plastiche e mozziconi di sigaretta.
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Le barriere messe a punto dalla star up Sea Defence Solutions alla foce del fiume Po.

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