Una task force per salvare il mare
Il nemico da combattere sono i rifiuti di plastica che finiscono in acqua. Le armi? Tante idee per raccoglierli e campagne per ridurli
Con la legge Salvamare, appena approvata in Parlamento, il nostro Mediterraneo ha qualche speranza in più di sopravvivere all’inquinamento da plastica:
i pescatori infatti potranno portare a riva i rifiuti trovati accidentalmente nelle reti da pesca e smaltirli in porto, come quelli delle navi, negli appositi centri di raccolta. «È un grande passo avanti perché fino a oggi il fishing for litter, cioè la buona pratica di portare a riva la plastica trovata al largo, non è stato regolamentato e così molti pescatori finiscono per ributtarla in mare perché a riva non ci sono strutture per smaltire il “pescato sbagliato”», spiega Otello Giovanardi, ricercatore di Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale. «Spesso, inoltre, questa pesca indesiderata viene ributtata nelle zone a maggiore pregio ambientale, dove lo strascico non è consentito, così da non ritrovarsela il giorno dopo ancora nella rete». Adesso tutte le strutture portuali dovranno adeguarsi e non sarà facile né veloce, ma resta il fatto che Salvamare è il primo tentativo italiano di mettere finalmente a sistema una serie di azioni concrete e costanti per arginare un fenomeno che ci sta fuggendo di mano.
L’emergenza Mediterraneo
«Secondo i nostri dati, nel Mediterraneo ogni anno galleggiano 570 mila nuove tonnellate di plastica non biodegradabile, l’equivalente di 33.800 bottigliette gettate in acqua ogni minuto», spiega Eva Alessi, responsabile consumi sostenibili di Wwf Italia. «Il nostro è un mare semichiuso, quindi i tempi di ricambio delle acque sono lunghi e si accumulano grossi quantitativi di rifiuti. Per lo stesso motivo la concentrazione di microplastiche, ancora più pericolose delle macro perché entrano nella catena alimentare, è quattro volte quella rinvenuta sotto le grandi isole di plastica del Pacifico. Oggi il rapporto tra pesce e plastica è di cinque a uno, se non si inverte subito la rotta, nel 2050 sarà di uno a uno. Cioè, ci sarà tanta plastica quanto pesce».
Le start up ecologiste
Istituzioni e privati nel corso degli ultimi anni hanno tentato di fare qualcosa e le sperimentazioni di università ed enti di ricerca per trovare una soluzione definitiva si susseguono. Per esempio le barriere galleggianti sul modello di
Ocean CleanUp, l’enorme tubo che argina e aspira i rifiuti dispersi fino in profondità, nella cosiddetta “isola di plastica” in cui tende a raccogliersi l’immondizia del Pacifico. Da noi un sistema di barriere è stato messo a punto dalla start up Sea Defence Solutions alla foce del Po per intercettare a monte la spazzatura. «L’iniziativa è lodevole ma la sperimentazione ancora lunga: oltre alla plastica, le barriere bloccano tutto ciò che dovrebbe rimanere, come le uova dei pesci», spiega Alessi. Altre iniziative riguardano le aree dei porti: nei maggiori approdi turistici italiani è stato istallato per esempio Seabin, uno speciale cestino galleggiante dei rifiuti che collocato in posizioni strategiche attira plastiche e mozziconi di sigaretta. Un’altra start up antiplastica, tutta made in Sardegna, è Waste Boat Service: raccoglie la spazzatura dagli yatch che stazionano al largo dei porti e opera nell’area della Maddalena. «Solo l’ultima estate abbiamo raccolto oltre 40 tonnellate di plastica e altri rifiuti che altrimenti verrebbero scaricati sulle spiagge, sui moli o direttamente in mare», spiega Davide Melca, uno dei tre fondatori. «I diportisti che non entrano nei porti, infatti, non possono scaricare i rifiuti perché le strutture portuali non sono attrezzate per riceverli dalla rada. Noi li raccogliamo direttamente a bordo e li tracciamo». Ci sono poi i programmi internazionali che servono a monitorare il fenomeno, quantificare e catalogare i rifiuti, capire come rendere sistema le sperimentazioni. Per esempio Ml-Repair di Ispra per creare una governance condivisa tra Italia e Croazia sulla gestione dei rifiuti nell’Adriatico. Oppure la campagna di raccolta e monitoraggio Plastic Busters.
Le buone pratiche
Altrettante sono le iniziative che, oltre allo scopo di pulire il mare dalla plastica, hanno quello di sensibilizzare i cittadini. Il Wwf per esempio ha lanciato quest’anno #StopPlasticPollution: Blue Panda, una barca a vela, ha coinvolto turisti, sub e cittadini nei porti del Mediterraneo in eventi di pulizia. È partita a luglio da Monte Argentario raccogliendo oltre a tanta plastica anche importanti risultati: il Comune italiano ha annunciato il suo percorso verso un’amministrazione plastic-free, mentre il sindaco di Nizza in Francia e quello di Smirne in Turchia hanno firmato un documento che li impegna a raggiungere una gestione efficiente dei rifiuti plastici entro il 2030. «In una sola settimana all’Argentario abbiamo raccolto 100 sacchi di spazzatura e 460 sacchetti in plastica dispersi su spiagge e coste», dice Alessi. «È una briciola di quella esistente nei nostri mari, ma questi eventi servono soprattutto a informare i cittadini sul fatto che il mare è la principale destinazione della plastica rilasciata in natura e che in questo modo torna nel cibo. Fare la differenziata non basta più, dobbiamo azzerare la plastica monouso e gli imballaggi al supermercato. Se guardiamo le nostre case tutti sappiamo già cosa fare per salvare il nostro mare».