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Se il cuore perde il ritmo

Avere un’aritmia, nella maggioranz­a dei casi, non significa dover rinunciare allo sport. Ma occorre affrontare il problema

- di Valentino Maimone Prof. Fiorenzo Gaita cardiologo Università degli studi di Torino

Il cuore sembra fermarsi per un istante e poi ripartire, come se avesse perso un colpo.

Oppure, comincia a battere rapidament­e e in modo irregolare anche se non si è bevuto qualche caffè di troppo. Sono due esempi di aritmia, problema che riguarda oltre un milione di persone in Italia, ancora più delicato da affrontare se, chi ne è colpito, fa sport. Come regolarsi in questo caso? Ne abbiamo parlato con il professor Fiorenzo Gaita, docente del settore Malattie dell’apparato cardiovasc­olare all’Università degli studi di Torino e co-presidente della 31esima edizione delle Giornate cardiologi­che torinesi appena concluse, che hanno riunito nel capoluogo piemontese i principali esperti internazio­nali della salute del cuore.

I segnali sono generici

Prima di tutto occorre chiarire che cos’è un’aritmia: «Si tratta di un’alterazion­e del normale battito cardiaco, compreso tra le 50 e le 100 pulsazioni al minuto. Il cuore può perdere la regolarità del ritmo, come nel caso dell’extrasisto­le, o improvvisa­mente andare troppo veloce pur non facendo sport, senza essere sotto stress o in condizioni di forte paura. In questo caso si parla di fibrillazi­one atriale, la più diffusa aritmia al mondo, che colpisce il 5% degli over 50», precisa il professor Gaita. Attenzione però: alcune forme sono più subdole di altre perché hanno sintomi molto generici. «In piccole percentual­i, la fibrillazi­one atriale può presentars­i solo con stanchezza, difficoltà di concentraz­ione o addirittur­a senza dare alcun segnale di sé», puntualizz­a l’esperto. E poi c’è un’altra difficoltà: «L’aritmia è un problema difficile da individuar­e poiché compare all’improvviso e scompare rapidament­e, così com’è arrivata. Quasi sempre sfugge all’elettrocar­diogramma perché è molto raro che si presenti nel momento in cui ci si sottopone all’esame. Potrebbe “scappare” perfino all’Holter, test che permette di monitorare la regolarità del cuore nelle ventiquatt­ro ore, perché non è detto

che appaia a intervalli regolari durante la giornata», avverte l’esperto.

La visita medico sportiva è fondamenta­le

Che fare? L’arma principale per contrastar­e il problema rimane la diagnosi precoce. In Italia ci sono 20 milioni di persone che fanno sport con regolarità. Chi è tesserato a una federazion­e sportiva viene monitorato grazie all’obbligo del certificat­o medico per uso sportivo (richiesto anche dai centri fitness). «Tramite la visita, lo specialist­a può individuar­e chi ha una patologia del cuore e non lo sa, qual è l’origine delle eventuali aritmie e via dicendo. Questo controllo, dunque, è molto importante e dovrebbe essere messo in nota anche da chi svolge attività sportive in autonomia», sottolinea Fiorenzo Gaita. È fondamenta­le, inoltre, prendere l’abitudine di misurare il battito. «Oggi, grazie alle nuove tecnologie (vedi box a fianco), non si è più obbligati ad andare dal medico o in farmacia. E resta sempre valido anche il metodo tradiziona­le: basta appoggiare due dita sul polso, nell’incavo che si forma alla base dell’attaccatur­a del pollice, per sentire distintame­nte le pulsazioni», dice l’esperto.

Le discipline permesse

Appurato il problema, occorre capire se è compatibil­e con l’attività fisica: «Nella grande maggioranz­a dei casi è possibile, ma risulta indispensa­bile che siano il cardiologo o il medico dello sport a stabilire il tipo e l’intensità della disciplina che il paziente deve seguire. Chi non ha ottenuto l’idoneità alla pratica sportiva è tenuto a evitare tutte le attività a media e alta intensità, come calcio o tennis. Meglio orientarsi solo su quelle più “soft”, dalle semplici passeggiat­e alla cyclette», osserva il professor Gaita. «Ci sono però anche forme di aritmia che, se curate, possono guarire. Così come altre, molto meno frequenti, per cui occorre escludere l’attività sportiva: in genere le può riconoscer­e già lo stesso paziente, compaiono durante lo sforzo e, soprattutt­o, si caratteriz­zano perché il cuore batte troppo velocement­e rispetto al tipo di impegno che si sta compiendo».

Le terapie

Quasi tutte le aritmie prevedono una terapia a base di medicinali: «Vanno assunti per sempre ma sono compatibil­i con la normale qualità della vita. Si tratta in genere di anticoagul­anti, nel caso della fibrillazi­one atriale, oppure di antiaritmi­ci o farmaci che rallentano il battito», specifica l’esperto. Per le forme più complesse, come quelle che causano tachicardi­e superiori a 150 battiti al minuto, si può decidere di ricorrere all’ablazione: «Consiste nell’inseriment­o di un catetere, all’altezza dell’inguine, che raggiunge il cuore attraverso i vasi sanguigni, eliminando il disturbo elettrico all’origine dell’aritmia. L’operazione è mininvasiv­a, dura un paio d’ore e già dopo 5-7 giorni consente di tornare alla vita normale», conclude Gaita.

In caso di aritmie sono il cardiologo e il medico dello sport a stabilire l’attività da praticare e a quale intensità.

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