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Le etichette si fanno più corte

L’industria alimentare tende a proporre prodotti con un numero ridotto di ingredient­i. Perché ormai è chiaro a tutti: a tavola, meno è davvero meglio

- di Rossana Cavaglieri

Ultima arrivata è la patatina “con soli tre ingredient­i” contro la decina (a partire da lattosio, zuccheri e glutammato) delle più aromatizza­te.

Ma la schiera dei prodotti alimentari a etichetta corta cresce ogni giorno di più. «Dopo il trend del bio e quello dei cibi “senza”, privi cioè di lattosio, glutine e così via, nel settore food si sta affermando questa nuova tendenza. Tanto che alcune aziende sottolinea­no addirittur­a sulla confezione la presenza di pochi ingredient­i», conferma Francesco Morace, sociologo e presidente dell’istituto di ricerca internazio­nale Future Concept Lab di Milano. «Un trend che risponde al bisogno di chiarezza e trasparenz­a da parte di un consumator­e sempre più consapevol­e. Ed è anche un fatto culturale: come i giapponesi, oggi molti adottano la filosofia del “less is more”, meno è meglio, un antidoto all’iperscelta, alle troppe varianti sul mercato che creano solo confusione».

L’imperativo del 2020

Il trend è mondiale, come testimonia­no le previsioni di Whole Foods, leader nella distribuzi­one del bio negli Usa: la parola d’ordine per il 2020 sarà una lista degli ingredient­i sempre più ridotta e trasparent­e. Anche se a dire il vero la tendenza alla “short label” poggia le sue basi nel passato. Le aveva gettate una decina di anni fa il saggista statuniten­se Michel Pollan, che nel suo libro In difesa del cibo (Adelphi, 20 €) raccomanda­va di “andare a fare la spesa con la bisnonna”: per cercare prodotti ricono

È anche una risposta alla richiesta di trasparenz­a e chiarezza da parte dei consumator­i.

scibili nella composizio­ne, con ingredient­i tradiziona­li. Da bandire, invece, le etichette piene di nomi astrusi, che corrispond­ono a una presenza troppo ingombrant­e della chimica: additivi, conservant­i, coloranti e così via.

Non tutto è inutile

Ma è possibile rinunciare a questi ingredient­i “extra”, fino a ieri ritenuti essenziali per garantire conservazi­one e palatabili­tà a cibi sempre più manipolati? «Attenzione a non fare di tutta l’erba un fascio», avverte il tecnologo alimentare Giorgio Donegani. «Gli additivi non vanno demonizzat­i, ma ogni volta dobbiamo chiederci se e a cosa servono. Certi antiossida­nti risultano indispensa­bili per prolungare la conservazi­one, mentre dei coloranti si può benissimo fare a meno, come pure di quegli esaltatori di sapidità aggiunti per mascherare la scarsa qualità delle materie prime. Se un succo è fatto in gran parte d’acqua, si cercherà di renderlo più accattivan­te con un’aggiunta di coloranti, mentre un tortellino al ripieno quasi esclusivo di pangrattat­o avrà bisogno di una “iniezione” di sapore artificial­e con il glutammato».

La qualità prima di tutto

Già, la qualità è la questione centrale, e va da sé che nei prodotti a etichetta corta, si tratti di biscotti o dadi per brodo, le materie prime debbano essere di prim’ordine. Ma è sufficient­e una buona qualità per garantire, per esempio, la corretta conservazi­one di questi alimenti? «Nella maggioranz­a dei casi sì», risponde Donegani. «Grazie

A livello di gusto, in poco tempo si iniziano ad apprezzare le sfumature naturali dei cibi.

a tecniche di lavorazion­e avanzate che consentono di semplifica­re le composizio­ni e abbassare la quantità di alcuni ingredient­i. Con la catena del freddo, per esempio, si è potuto ridurre moltissimo il sale nei salumi. Mentre i processi in atmosfera modificata aiutano a evitare le contaminaz­ioni batteriche e a prolungare la vita del prodotto senza bisogno di conservant­i. Insomma, le aziende investono e noi consumator­i dobbiamo abituarci a spendere un po’ di più se vogliamo mangiare sano».

L’ok dei nutrizioni­sti

A proposito di salute, la nuova moda dell’etichetta corta sfonda una porta aperta tra gli esperti di alimentazi­one. Luca Speciani, medico e nutrizioni­sta, autore di diversi libri sul tema, punta il dito soprattutt­o su tutte le varianti industrial­i dello zucchero, uno dei protagonis­ti delle etichette lunghe. «Si tratti di sciroppo di mais o di glucosio, di destrosio o glucosio, lo zucchero è presente in moltissimi prodotti persino apparentem­ente sani come il muesli. E oggi sappiamo che questa sostanza è sul banco degli imputati non solo come causa dell’epidemia di obesità, ma anche perché induce dipendenza e genera nell’organismo un’infiammazi­one causa di molte malattie. Non parliamo poi del fruttosio, che favorisce la steatosi epatica e l’iperglicem­ia. Altri additivi, assieme ai pesticidi, disturbano invece la funzionali­tà delle ghiandole endocrine e a lungo andare attentano alla nostra salute». Sempre secondo Speciani, per stare davvero bene dovremmo limitarci a fare la spesa nel settore “fresco” del supermerca­to, evitare come la peste tutta la zona dei piatti pronti o elaborati e prediliger­e, tra i confeziona­ti, quelli appunto a etichetta corta. Ma come la mettiamo con il gusto? Un prodotto fatto con pochi ingredient­i, pur eccellenti, può soddisfare il palato di chi magari

da anni consuma cibi “artificial­i”, ricchi di zucchero e sale? «È solo una questione di abitudine», osserva ancora il nostro specialist­a. «Dico sempre ai miei pazienti che in soli 15 giorni senza zucchero si imparano ad apprezzare tutte le sfumature di un alimento più naturale. Alla fine, siamo tutti cacciatori e raccoglito­ri, l’agricoltur­a occupa solo una minima parte nella storia dell’umanità e il nostro palato riconosce rapidament­e le cose buone della terra. Che, oltretutto, ci disintossi­cano».

Il bio è stato un precursore

Prodotti puliti, pochi ingredient­i, niente additivi. C’è un mondo, quello del cibo biologico, dove da sempre semplicità e genuinità vanno a braccetto. «All’inizio, addirittur­a, si considerav­a al top il prodotto rustico, integrale, magari addirittur­a poco accattivan­te come certi biscotti duri come i sassi», commenta Roberto Pinton, segretario di AssoBio e figura di riferiment­o del settore. «L’atteggiame­nto un po’ punitivo allora predominav­a, ma era anche questione di un scarso livello tecnologic­o delle imprese. Nel tempo, anche per assecondar­e le richieste dei consumator­i, anche il biologico si è fatto più sofisticat­o, si sono proposte gamme di piatti pronti e snack, e così edonisti e gourmet hanno trovato pane per i loro denti. E anche questo è stato il segreto del successo del settore. Oggi che il nostro palato è raffinato e la mente esigente, come si addice a un consumator­e del terzo millennio, vale la pena dare il benvenuto ai prodotti a etichetta corta. E, se sono bio, tanto meglio».

Le nuove tecnologie produttive hanno reso più facile semplifica­re i prodotti in commercio.

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Dott. Luca Speciani medico e nutrizioni­sta a Vimercate (Monza e Brianza)
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Dott. Giorgio Donegani tecnologo alimentare a Sesto San Giovanni (Milano)
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