Giovani in cerca di aiuto
Dipendenze varie, incomprensioni in famiglia, senso di smarrimento: per dare una soluzione ai problemi psicologici dei ragazzi, crescono i centri specializzati. Come orientarsi
Quanto sono problematici i ragazzi di oggi? Qualche volta lo si dimentica, ma il disagio giovanile è
sempre attuale. Secondo la Società italiana di pediatria, otto ragazzi su dieci tra i 14 e i 18 anni hanno sperimentato forme più o meno forti di malessere, che solo nei casi peggiori (il 15%) è sfociato in gesti di autolesionismo. E secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, la depressione colpisce quasi 1 ragazzo su 10 e l’anoressia l’1% delle ragazze. Non a caso, basta una rapida ricerca in Rete per accorgersi che nelle città italiane è ormai un proliferare di offerta di aiuto e sostegno psicologico e comportamentale: singoli professionisti, ma anche sportelli pubblici, studi associati, onlus, progetti di quartiere e associazioni di cittadini. Tanti soggetti pronti a fornire consulenza, al punto che per le famiglie è difficile individuare il percorso giusto da seguire e l’interlocutore appropriato.
Disagi vecchi e nuovi
Insomma, la richiesta di aiuto cresce. «Da un lato è positivo. Oggi non c’è più imbarazzo a chiedere una mano. Mentre per i problemi fisici i giovani hanno spesso il vizio di scavalcare il medico, fare qualche ricerca su Internet e concludere una sorta di autoanalisi, quando affrontano disagio e malessere psicologico preferiscono parlare con un esperto», commenta Armando Toscano, coordinatore del progetto “Psicologo di quartiere” dell’Ordine professionale della Lombardia. «Le problematiche affrontate sono numerose. Bulimia, anoressia e disturbi legati al cibo sono frequenti, ma aumentano i ragazzi con problemi strettamente legati al mondo di oggi.
Per esempio, tanti ammettono di fare un uso compulsivo del cellulare», dettaglia Roberto Pani, psicologo e docente di psicologia clinica all’università di Bologna. Mentre nella fascia dei 20-30 anni, la fanno da padrone precarietà e mancanza di certezze. «Chi non lavora o mette insieme pezzetti di attività differenti non riesce a raggiungere l’indipendenza e socialmente fatica a definire se stesso. E, quindi, si creano conflitti quando i genitori non riescono a comprendere la complessità del presente e fanno pesare al figlio, magari laureato, la mancanza di prospettive». «In effetti, il futuro dei giovani è incerto», aggiunge Valentina Miot, psicoterapeuta, referente dell’area “adolescenti-giovani adulti” del Centro clinico di psicologia di Monza. «Realizzarsi è difficile, ma allo stesso tempo dalla Rete sembra che ci siano migliaia di opportunità. Tanti genitori se la cavano dicendo: fai quel che vuoi, basta che tu lo faccia al meglio. Solo per alcuni sogget
Aumentano i ragazzi che ammettono di fare un uso compulsivo del cellulare.
ti questo funziona da stimolo, ma il più delle volte i figli si sentono sotto pressione e lasciati soli nella scelta del percorso migliore. Condizione che spesso causa blocchi e rifiuto totale della scuola, per esempio».
La scelta dell’interlocutore giusto
Come orientarsi, perciò, davanti all’ampia offerta di sostegno psicologico? Un appuntamento con il medico di base potrebbe essere un primo passaggio utile, che però spesso viene saltato, a favore di altre strade scelte grazie al passaparola o anche perché convinti da siti o pubblicità accattivanti. «Intanto, il luogo e la tariffa non sono variabili determinanti», dice Mariolina Palumbo, psicologa, che da due anni coordina il pronto soccorso psicologico presso la clinica romana Villa Giuseppina, nato per dare una risposta di ascolto in tempi brevi ai giovani. «Si può incontrare lo psicologo dell’Asl, il professionista nello studio privato, ma anche quello messo a disposizione da una onlus a tariffe agevolate, persino gratis, formule benvenute soprattutto in certe zone del Paese o per chi ha disponibilità ridotte. L’importante è che siano chiari il percorso e l’interlocutore». Intanto va separato il lavoro dello psicologo da quello dell’educatore. Il primo è un professionista ormai equiparato a una figura sanitaria. «Quindi bisogna attendersi da lui una vera diagnosi, non una semplice chiacchierata. E per approfondire il disagio, ed eventualmente iniziare una terapia, sono indispensabili almeno 2 o 3 sedute», aggiunge Palumbo. Gli educatori, invece, si occupano soprattutto di prevenzione e di reinserimento nel contesto sociale o scolastico, dunque non si sostituiscono ma piuttosto affiancano l’analisi psicologica. Ecco perché molte onlus che si occupano dei giovani possono avere una parte di supporto psicologico, ma il loro compito principale non è la cura, bensì l’organizzazione di attività pratiche di aiuto. «Inoltre, se parliamo di giovanissimi è indispensabile che i percorsi proposti coinvolgano i genitori, fondamentali per affrontare il disagio. Ci possono essere momenti in cui i ragazzi vengono ascoltati da soli, ma in genere deve essere partecipe il nucleo perché sono frequenti i casi in cui i racconti degli adolescenti sono manipolati. Non solo: l’intervento di entrambi i genitori è indispensabile perché se alle sedute è presente uno solo, c’è il rischio che l’altro venga messo in cattiva luce».
Su Canale5, la domenica, è in onda la serie Oltre la soglia, storie di adolescenti problematici in un reparto di neuropsichiatria.