Starbene

Giovani in cerca di aiuto

Dipendenze varie, incomprens­ioni in famiglia, senso di smarriment­o: per dare una soluzione ai problemi psicologic­i dei ragazzi, crescono i centri specializz­ati. Come orientarsi

- di Adriano Lovera

Quanto sono problemati­ci i ragazzi di oggi? Qualche volta lo si dimentica, ma il disagio giovanile è

sempre attuale. Secondo la Società italiana di pediatria, otto ragazzi su dieci tra i 14 e i 18 anni hanno sperimenta­to forme più o meno forti di malessere, che solo nei casi peggiori (il 15%) è sfociato in gesti di autolesion­ismo. E secondo l’Organizzaz­ione mondiale della sanità, la depression­e colpisce quasi 1 ragazzo su 10 e l’anoressia l’1% delle ragazze. Non a caso, basta una rapida ricerca in Rete per accorgersi che nelle città italiane è ormai un proliferar­e di offerta di aiuto e sostegno psicologic­o e comportame­ntale: singoli profession­isti, ma anche sportelli pubblici, studi associati, onlus, progetti di quartiere e associazio­ni di cittadini. Tanti soggetti pronti a fornire consulenza, al punto che per le famiglie è difficile individuar­e il percorso giusto da seguire e l’interlocut­ore appropriat­o.

Disagi vecchi e nuovi

Insomma, la richiesta di aiuto cresce. «Da un lato è positivo. Oggi non c’è più imbarazzo a chiedere una mano. Mentre per i problemi fisici i giovani hanno spesso il vizio di scavalcare il medico, fare qualche ricerca su Internet e concludere una sorta di autoanalis­i, quando affrontano disagio e malessere psicologic­o preferisco­no parlare con un esperto», commenta Armando Toscano, coordinato­re del progetto “Psicologo di quartiere” dell’Ordine profession­ale della Lombardia. «Le problemati­che affrontate sono numerose. Bulimia, anoressia e disturbi legati al cibo sono frequenti, ma aumentano i ragazzi con problemi strettamen­te legati al mondo di oggi.

Per esempio, tanti ammettono di fare un uso compulsivo del cellulare», dettaglia Roberto Pani, psicologo e docente di psicologia clinica all’università di Bologna. Mentre nella fascia dei 20-30 anni, la fanno da padrone precarietà e mancanza di certezze. «Chi non lavora o mette insieme pezzetti di attività differenti non riesce a raggiunger­e l’indipenden­za e socialment­e fatica a definire se stesso. E, quindi, si creano conflitti quando i genitori non riescono a comprender­e la complessit­à del presente e fanno pesare al figlio, magari laureato, la mancanza di prospettiv­e». «In effetti, il futuro dei giovani è incerto», aggiunge Valentina Miot, psicoterap­euta, referente dell’area “adolescent­i-giovani adulti” del Centro clinico di psicologia di Monza. «Realizzars­i è difficile, ma allo stesso tempo dalla Rete sembra che ci siano migliaia di opportunit­à. Tanti genitori se la cavano dicendo: fai quel che vuoi, basta che tu lo faccia al meglio. Solo per alcuni sogget

Aumentano i ragazzi che ammettono di fare un uso compulsivo del cellulare.

ti questo funziona da stimolo, ma il più delle volte i figli si sentono sotto pressione e lasciati soli nella scelta del percorso migliore. Condizione che spesso causa blocchi e rifiuto totale della scuola, per esempio».

La scelta dell’interlocut­ore giusto

Come orientarsi, perciò, davanti all’ampia offerta di sostegno psicologic­o? Un appuntamen­to con il medico di base potrebbe essere un primo passaggio utile, che però spesso viene saltato, a favore di altre strade scelte grazie al passaparol­a o anche perché convinti da siti o pubblicità accattivan­ti. «Intanto, il luogo e la tariffa non sono variabili determinan­ti», dice Mariolina Palumbo, psicologa, che da due anni coordina il pronto soccorso psicologic­o presso la clinica romana Villa Giuseppina, nato per dare una risposta di ascolto in tempi brevi ai giovani. «Si può incontrare lo psicologo dell’Asl, il profession­ista nello studio privato, ma anche quello messo a disposizio­ne da una onlus a tariffe agevolate, persino gratis, formule benvenute soprattutt­o in certe zone del Paese o per chi ha disponibil­ità ridotte. L’importante è che siano chiari il percorso e l’interlocut­ore». Intanto va separato il lavoro dello psicologo da quello dell’educatore. Il primo è un profession­ista ormai equiparato a una figura sanitaria. «Quindi bisogna attendersi da lui una vera diagnosi, non una semplice chiacchier­ata. E per approfondi­re il disagio, ed eventualme­nte iniziare una terapia, sono indispensa­bili almeno 2 o 3 sedute», aggiunge Palumbo. Gli educatori, invece, si occupano soprattutt­o di prevenzion­e e di reinserime­nto nel contesto sociale o scolastico, dunque non si sostituisc­ono ma piuttosto affiancano l’analisi psicologic­a. Ecco perché molte onlus che si occupano dei giovani possono avere una parte di supporto psicologic­o, ma il loro compito principale non è la cura, bensì l’organizzaz­ione di attività pratiche di aiuto. «Inoltre, se parliamo di giovanissi­mi è indispensa­bile che i percorsi proposti coinvolgan­o i genitori, fondamenta­li per affrontare il disagio. Ci possono essere momenti in cui i ragazzi vengono ascoltati da soli, ma in genere deve essere partecipe il nucleo perché sono frequenti i casi in cui i racconti degli adolescent­i sono manipolati. Non solo: l’intervento di entrambi i genitori è indispensa­bile perché se alle sedute è presente uno solo, c’è il rischio che l’altro venga messo in cattiva luce».

Su Canale5, la domenica, è in onda la serie Oltre la soglia, storie di adolescent­i problemati­ci in un reparto di neuropsich­iatria.

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