I ricordi, filo conduttore della vita
La nostra è una società che brucia pensieri, azioni ed emozioni in tempo record. Dove non c’è (quasi) più memoria del passato. Come riappropiarci di questa capacità
Ricordare quei giorni, quella bambina ignara, che ancora non ha visto, vissuto, sofferto, è
più che una consolazione per Miranda, protagonista 90enne del nuovo romanzo di Francesco Carofiglio, L’estate dell’incanto (Piemme, 17,50 €), storia di un’indimenticabile vacanza in campagna di quasi un secolo fa. È l’incantesimo dei ricordi, filo conduttore della nostra vita, beni preziosi per la nostra psiche, che però stanno perdendo la loro essenza. Visto che oggi più che mai affidiamo a un touch screen, a una connessione wifi un buon numero di emozioni, contatti umani ed esperienze. E lo smartphone non depotenzia solo le nostre attività cognitive (basta pensare all’effetto Google, l’accesso immediato a un’informazione per via telematica ci induce a ridurre al minimo lo sforzo cerebrale di memorizzare) ma rallenta in maniera esponenziale il formarsi di questa preziosa materia prima che sono i ricordi. Fatti intimi, privati e sentimentali, come suggerisce l’orgine della parola “ricordo”: viene dal latino “re-cordor”, letteralmente richiamare al cuore. «Oggi viviamo una profonda contraddizione», esordisce la psicoterapeuta Viviana Morelli. «Da un lato vogliamo rammentare al mondo che esistiamo, e quindi chattiamo, postiamo, scarichiamo emoji.
Dall’altro, però, la velocità con la quale consumiamo tutto e subito ci costringe in un infinito tempo presente che non diventa mai storia, né esperienza o insegnamento».
Rimuovere è dannoso
Oggi, dunque, il ricordo rischia di diventare uno strumento narcisistico per rimanere al centro dell’attenzione generale, e non per strutturare una relazione più profonda con noi stessi. «I flashback, infatti, ci servono a tenere traccia delle esperienze vissute, di che cosa ci piace o ci fa stare bene, di che cosa abbiamo provato in certe situazioni o di come abbiamo agito in altre, delle persone e del significato delle relazioni che abbiamo allacciato con loro. Rievocare significa crescere, evolversi attraverso la conoscenza di se stessi», spiega Morelli. Per capirne l’importanza, basta pensare a quanto sia dannoso rimuovere, nascondere alla mente eventi per noi traumatici o negativi. «Nel mio lavoro di psicoterapeuta incontro tante persone “senza memoria”. Arrivano per un disagio, un sintomo, un disturbo psicosomatico, perché quando ci perdiamo qualcosa di noi, corpo e mente prima o poi ci costringono a fermarci». Il passato insegna, e la reminiscenza amplia l’intelligenza emotiva poiché dà valore all’esperienza. «È il filo conduttore che unisce passato e presente, per meglio costruire il futuro», aggiunge la psicoterapeuta.
Riflettere è un passo fondamentale
Per riappropriarci di questa capacità, potremmo aprire vecchi scatoloni, guardare le foto
a ritroso nel tempo, interrogare un genitore, tenere un diario? «Tutto può essere utile. Ma in realtà dovremmo soprattutto recuperare la cura e l’attenzione per il nostro tempo presente», risponde l’esperta. «Oggi viviamo in maniera compulsiva, facciamo una cosa e pensiamo a quella successiva, consumiamo tutto velocemente, ma senza una reale centratura su noi stessi, sui bisogni e sulle emozioni. Recuperare questo contatto con il “qui e ora” faciliterebbe la memorizzazione dell’esperienza e ci consentirebbe di interiorizzarla per poi conservarne traccia». Immaginando che le nostre giornate siano storie da tramandare, prendiamoci il tempo per osservarle e raccontarle a noi stessi o agli altri. «I ricordi sono stimolati e fissati attraverso la riflessione, la relazione e il linguaggio scritto od orale», precisa Viviana Morelli. «Fermando il momento, saremo in grado di selezionare meglio le cose costruttive, focalizzare disagi ed emozioni, e arricchirci attraverso quello che abbiamo vissuto. E questo è ciò che sottende a una reale crescita del sé».