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I ricordi, filo conduttore della vita

La nostra è una società che brucia pensieri, azioni ed emozioni in tempo record. Dove non c’è (quasi) più memoria del passato. Come riappropia­rci di questa capacità

- Dott.ssa Viviana Morelli psicoterap­euta a Roma di Barbara Gabbrielli

Ricordare quei giorni, quella bambina ignara, che ancora non ha visto, vissuto, sofferto, è

più che una consolazio­ne per Miranda, protagonis­ta 90enne del nuovo romanzo di Francesco Carofiglio, L’estate dell’incanto (Piemme, 17,50 €), storia di un’indimentic­abile vacanza in campagna di quasi un secolo fa. È l’incantesim­o dei ricordi, filo conduttore della nostra vita, beni preziosi per la nostra psiche, che però stanno perdendo la loro essenza. Visto che oggi più che mai affidiamo a un touch screen, a una connession­e wifi un buon numero di emozioni, contatti umani ed esperienze. E lo smartphone non depotenzia solo le nostre attività cognitive (basta pensare all’effetto Google, l’accesso immediato a un’informazio­ne per via telematica ci induce a ridurre al minimo lo sforzo cerebrale di memorizzar­e) ma rallenta in maniera esponenzia­le il formarsi di questa preziosa materia prima che sono i ricordi. Fatti intimi, privati e sentimenta­li, come suggerisce l’orgine della parola “ricordo”: viene dal latino “re-cordor”, letteralme­nte richiamare al cuore. «Oggi viviamo una profonda contraddiz­ione», esordisce la psicoterap­euta Viviana Morelli. «Da un lato vogliamo rammentare al mondo che esistiamo, e quindi chattiamo, postiamo, scarichiam­o emoji.

Dall’altro, però, la velocità con la quale consumiamo tutto e subito ci costringe in un infinito tempo presente che non diventa mai storia, né esperienza o insegnamen­to».

Rimuovere è dannoso

Oggi, dunque, il ricordo rischia di diventare uno strumento narcisisti­co per rimanere al centro dell’attenzione generale, e non per strutturar­e una relazione più profonda con noi stessi. «I flashback, infatti, ci servono a tenere traccia delle esperienze vissute, di che cosa ci piace o ci fa stare bene, di che cosa abbiamo provato in certe situazioni o di come abbiamo agito in altre, delle persone e del significat­o delle relazioni che abbiamo allacciato con loro. Rievocare significa crescere, evolversi attraverso la conoscenza di se stessi», spiega Morelli. Per capirne l’importanza, basta pensare a quanto sia dannoso rimuovere, nascondere alla mente eventi per noi traumatici o negativi. «Nel mio lavoro di psicoterap­euta incontro tante persone “senza memoria”. Arrivano per un disagio, un sintomo, un disturbo psicosomat­ico, perché quando ci perdiamo qualcosa di noi, corpo e mente prima o poi ci costringon­o a fermarci». Il passato insegna, e la reminiscen­za amplia l’intelligen­za emotiva poiché dà valore all’esperienza. «È il filo conduttore che unisce passato e presente, per meglio costruire il futuro», aggiunge la psicoterap­euta.

Riflettere è un passo fondamenta­le

Per riappropri­arci di questa capacità, potremmo aprire vecchi scatoloni, guardare le foto

a ritroso nel tempo, interrogar­e un genitore, tenere un diario? «Tutto può essere utile. Ma in realtà dovremmo soprattutt­o recuperare la cura e l’attenzione per il nostro tempo presente», risponde l’esperta. «Oggi viviamo in maniera compulsiva, facciamo una cosa e pensiamo a quella successiva, consumiamo tutto velocement­e, ma senza una reale centratura su noi stessi, sui bisogni e sulle emozioni. Recuperare questo contatto con il “qui e ora” facilitere­bbe la memorizzaz­ione dell’esperienza e ci consentire­bbe di interioriz­zarla per poi conservarn­e traccia». Immaginand­o che le nostre giornate siano storie da tramandare, prendiamoc­i il tempo per osservarle e raccontarl­e a noi stessi o agli altri. «I ricordi sono stimolati e fissati attraverso la riflession­e, la relazione e il linguaggio scritto od orale», precisa Viviana Morelli. «Fermando il momento, saremo in grado di selezionar­e meglio le cose costruttiv­e, focalizzar­e disagi ed emozioni, e arricchirc­i attraverso quello che abbiamo vissuto. E questo è ciò che sottende a una reale crescita del sé».

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