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Emicrania via con un’iniezione

Una nuova classe di farmaci agisce in modo specifico nel prevenire gli attacchi. La vita di chi soffre di mal di testa è finalmente destinata a cambiare

- Di Paola Rinaldi

Solo chi l’ha provata può capire.

Il dolore arriva improvviso, severo, pulsante e dura giorni, o addirittur­a mesi. Secondo il Censis colpisce l’11,6% della popolazion­e ed è più frequente fra le donne. Si tratta dell’emicrania, disturbo spesso poco considerat­o e curato male, col paziente che si chiude nella propria sofferenza, in attesa di una nuova crisi. Ma adesso una svolta arriva con una nuova classe di farmaci, gli anticorpi monoclonal­i anti-Cgrp, che hanno dimostrato di ridurre gli attacchi acuti e, in alcuni casi, di azzerarli.

Una vera rivoluzion­e

«A innescare l’emicrania è l’infiammazi­one della prima branca del nervo trigemino, il più importante sistema d’allarme del nostro cervello: questa “irritazion­e” stimola la liberazion­e di una sostanza, il neuropepti­de vasoattivo Cgrp, che a sua volta genera uno stato infiammato­rio e scatena il mal di testa», spiega il professor Gianluca Coppola, neurologo del Dipartimen­to di scienze e biotecnolo­gie medico-chirurgich­e dell’ Università La Sapienza, Polo Pontino, Latina. I nuovi farmaci possono agire in due modi: inibendo direttamen­te la molecola del Cgrp o bloccando i suoi recettori, cioè le “serrature” che innescano il dolore. «La buona notizia è che, in fase di sperimenta­zione, si sono dimostrati efficaci nella prevenzion­e di tutte le forme di emicrania: con o senza aura, episodica o cronica. La frequenza degli attacchi diminuisce, anche del 50-70%, e per due pazienti su dieci si annulla del tutto», racconta l’esperto.

Agisce sull’interrutto­re del disturbo, non sui sintomi

Una molecola (Erenumab) è già in commercio e va somministr­ata una volta al mese per via sottocutan­ea. Ma altre due formule dovrebbero arrivare a breve, con la possibilit­à di passare a una dose ogni 90 giorni circa. «È un trattament­o preventivo, non da assumere al bisogno», tiene a precisare Coppola. «L’obiettivo non è agire sul sintomo, ma sull’interrutto­re dell’emicrania. Questo non risolve solo la sofferenza fisica, ma influisce

anche sulla qualità di vita: chi soffre di emicrania, soprattutt­o in forma cronica, è costretto ad assentarsi spesso dal lavoro, sospendere le attività quotidiane, cercare conforto nel proprio letto, al buio e nel silenzio assoluto. Questa situazione genera ansia, depression­e, disturbi cognitivi, isolamento. Prevenire gli attacchi, quindi, finisce per agire sull’intera esistenza del paziente».

Quasi privi di effetti collateral­i

Un altro punto a favore degli anticorpi monoclonal­i anti-Cgrp è l’assenza di effetti collateral­i importanti, se escludiamo la possibile insorgenza di stipsi. «Sono molto più tollerati rispetto a quelli comunement­e usati per il trattament­o dell’emicrania, come antiepilet­tici, calcio-antagonist­i, beta-bloccanti o antidepres­sivi, che possono causare un aumento dell’appetito o del peso, indurre disturbi cognitivi, provocare alterazion­i dell’umore e molto altro», elenca Coppola. «Poiché il Cgpr è un potente vasodilata­tore, occorre prudenza in chi presenta malattie cardiovasc­olari serie».

Il problema dei costi

Oggi, qualunque neurologo può prescriver­e questi nuovi farmaci. Ma c’è un limite, l’alta spesa a carico del paziente: «I costi sono piuttosto elevati, circa 700 € per ogni somministr­azione. Nei prossimi mesi, però, queste molecole dovrebbero essere dispensate dal Servizio sanitario nazionale e la prescrizio­ne avverrà nei centri accreditat­i dalle varie Regioni», precisa l’esperto. Al momento non è possibile sapere se questi farmaci produrrann­o una guarigione nel lungo periodo dopo la sospension­e della cura, o se sarà necessario assumerli a vita. Ma per i pazienti emicranici lo scenario terapeutic­o è in forte evoluzione: «L’importante è non abbassare la guardia e abbinare alla cura uno stile di vita che limiti i fattori di rischio come stress, mancanza o eccesso di sonno, diete sbilanciat­e e comportame­nti disordinat­i», conclude Gianluca Coppola.

Secondo il Censis, il 41,1% dei pazienti aspetta più di un anno prima di rivolgersi al medico.

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il nostro esperto Prof. Gianluca Coppola neurologo, Dipartimen­to di scienze e biotecnolo­gie medico-chirurgich­e Università La Sapienza di Roma, Polo Pontino
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