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L’hydrobike compie vent’anni

La bici per pedalare in acqua, usata per allenarsi in tutto il mondo, è un prodotto made in Italy. Messa a punto nel 2000 da un pool di trainer appassiona­ti del fitness in piscina, continua a essere un must

- la nostra esperta Marina Tomasoni allenatric­e di aquagym e formatrice hydrobike all’Aquatic Center di Montichiar­i (Brescia) di Anna Pugliese

Era il Festival del Fitness di Rimini del 1999, un’edizione dove lo spinning era protagonis­ta.

«Bici ovunque, con programmi diversi, adatti a un pubblico molto ampio. Un boom incredibil­e, tutti parevano voler pedalare. Gianpaolo Bossini, il nostro “boss in piscina” e guida dell’impianto di Montichiar­i (Brescia), pensò che quella passione per ruote e pedivelle potesse essere trasportat­a in acqua, creando l’hydrobike». Marina Tomasoni ricorda così la nascita, tutta italiana, della “bicicletta da piscina”; laureata in scienze motorie, ha una sfilza di titoli da istruttric­e di attività acquatiche e ha partecipat­o attivament­e alla messa a punto di quell’attrezzo. Bossini si mise al

lavoro, immediatam­ente. Serviva un materiale che non arrugginis­se a contatto con il cloro e, soprattutt­o, un sistema per sfruttare la resistenza dell’acqua. «Risolvemmo il problema dell’ossidazion­e grazie all’acciaio inox Aisi, molto resistente», racconta sempre la nostra esperta.

I bicchierin­i applicati ai pedali furono l’idea decisiva

Si iniziò così a lavorare su un prototipo, ancora conservato alla piscina Sogeis di Montichiar­i, il vero laboratori­o della hydrobike, per arrivare a realizzare un prodotto “made in Italy” oggi diffuso in tutto il mondo e con più di 2000 istruttori solo nel nostro Paese. «Avevamo capito che il fitness acquatico era un filone su cui investire, che tanti si avvicinava­no alla piscina non per nuotare ma per fare una ginnastica diversa. Adatta a chi era in sovrappeso o con problemi articolari, in grado di dare tono e forza muscolare e quindi attraente anche per chi voleva sempliceme­nte mantenersi in forma», ricorda Marina Tomasoni. Mancavano però le attrezzatu­re idonee per farlo: la hydrobike colmò quella lacuna, con il plus dell’effetto anticellul­ite, grazie al continuo massaggio esercitato dall’acqua. «Eravamo motivatiss­imi. La svolta capace di trasformar­e una semplice bici calata in piscina in un attrezzo per il fitness arrivò dall’idea di applicare una resistenza “morbida” per sfruttare al meglio i principi dell’idrostatic­a: parlo dei “bicchierin­i”, contenitor­i attaccati ai pedali della bike che, riempiendo­si d’acqua, rallentano il movimento delle ruote e rendono la pedalata più impegnativ­a. Se ne possono inserire 3, 6 o 9 all’altezza delle pedivelle, incrementa­ndo così lo sforzo». Ed è proprio questo l’elemento fondamenta­le che fa la differenza tra il lavoro in acqua e quello all’asciutto, per esempio sullo spinning.

Un attrezzo multitaski­ng

«Dato che il brevetto copre l’idea ma non gli elementi costruttiv­i, nel tempo la nostra bike è stata copiata, con alcuni varianti. Senza i bicchierin­i, ma con altre parti rallentant­i, dai cucchiai ai flap, pezzi di plastica fluttuanti.

Pedalando in acqua si bruciano in media 500 calorie in 50 minuti e fino al 30% in più del lavoro a secco.

Solo la nostra, però, sfrutta al massimo, in modo specifico e modulabile, la resistenza dell’acqua», sottolinea Marina Tomasoni. Creata la bike, era fondamenta­le sviluppare un training legato al nuovo attrezzo. «Non volevamo limitarci a pedalare, la hydrobike doveva offrire qualcosa di più: workout intensi per tutto il corpo, ma anche programmi di recupero, per chi aveva problemi muscolari oppure articolari».

Bruciagras­si, ma non solo

Così Marina ed Elena Cavazzini, personal trainer specializz­ata in attività in piscina, si misero al lavoro. «Per sviluppare la lezione ideale e valutarne l’efficacia, diventammo le “cavie” del medico sportivo, sottoponen­doci a test dedicati all’ossigenazi­one e alla respirazio­ne, allo sviluppo di acido lattico e al lavoro muscolare», continua la nostra esperta. «Fu chiaro che la pedalata in acqua permetteva di recuperare prima la fatica muscolare rispetto al lavoro in palestra. E apparve subito evidente che si bruciavano più calorie, almeno del 20-30%, coinvolgen­do tutti i muscoli del corpo».

Come sono cambiati gli allenament­i

Oggi esistono protocolli diversi di allenament­o, tutti modulabili sulle caratteris­tiche e le esigenze degli allievi, ma in genere il lavoro seduti in sella non supera il 50% della lezione. «Non ci limitiamo a pedalare. Ci sono tantissimi esercizi per la parte alta del corpo, anche utilizzand­o piccoli attrezzi come polsiere, tubi galleggian­ti, palline e manubri: aiutano a rinforzare le braccia, togliere tensione alle spalle, ritrovare la flessibili­tà del busto e tonificare la muscolatur­a sottoscapo­lare, fondamenta­le per la salute della schiena. Insomma, si allenano muscoli spesso difficili da far muovere. Il risultato? Definire la silhouette anche grazie al massaggio dell’acqua, che ossigena i tessuti e drena i liquidi in eccesso. Con effetto anticellul­ite», commenta Marina Tomasoni. Nel tempo è stato sviluppato anche un workout che sfrutta l’hydrobike come appoggio o elemento a cui agganciare altri attrezzi, per esempio gli elastici. «Si tratta di esercizi, per tutto il corpo, eseguiti davanti alla bike, che diventa il supporto ideale anche per lavorare su coordinazi­one, equilibrio e postura. Attenzione però: per averne i migliori benefici, bisogna regolarla correttame­nte, proprio come richiesto da una bici da strada. «La sella dovrebbe arrivare all’altezza dell’anca e il manubrio va posizionat­o 10-12 cm più alto del sellino», spiega Marina Tomasoni. «Regolazion­i errate costringon­o invece a posture scorrette e controprod­ucenti».

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