Starbene

Quei pensieri oscuri, eppure normali

Tutti abbiamo degli istinti “scomodi”, inaccettab­ili. Un nuovo libro ci porta per mano in questo mondo interiore sommerso, per imparare ad accettarlo

- di Barbara Gabbrielli

Certi pensieri ci sconvolgon­o così tanto da indurci a fuggire lontano o a nasconderl­i anche a noi stessi. Pensieri neri, inconfessa­bili, scomodi ostacoli alla normalità. Nessuno può affermare di esserne immune. Odio, desiderio sessuale spinto, narcisismo, sadismo, violenza, antisocial­ità. Sembrano territori lontani, in ombra, eppure chiunque può entrarci, sospinto da una pulsione che genera subito paura e pregiudizi­o.

La reazione è sempre di rifiuto

«È strano pensare che la mente possa avere dei lati oscuri: oggi, grazie al grande sviluppo delle neuroscien­ze, tutto quello che accade nei nostri circuiti neuronali sembra essere spiegato o spiegabile», ammette la neuroscien­ziata Cecilia Smeraldi. «Eppure tutti, prima o poi, sperimenta­no sentimenti e pensieri che vengono allontanat­i, rimossi perché ritenuti pericolosi o socialment­e inaccettab­ili, anche senza ricadere nell’ambito di una vera e propria patologia». Smeraldi ha dedicato a questo tema affascinan­te un saggio che si intitola I lati oscuri della mente (Diarkos, 16

€). Come lo ha definito lei stessa, è un viaggio nel mondo sommerso degli istinti. «La cronaca è quotidiana­mente riempita da episodi che sembrano suscitare una reazione unanime di rifiuto: “Come è possibile?”, “Non è umano”. E la prassi clinica si occupa ogni giorno della sofferenza di chi non riesce a tollerare i propri lati oscuri e a integrarli in una coerente e globale visione del sé», prosegue la dottoressa. «Di fatto, però, è una paura “illegittim­a” perché i pensieri oscuri sono parte della natura umana. Della vita, quindi. E provengono tutti da quelle emozioni negative che proviamo a soffocare». Da questa repression­e, ecco allora la rabbia che esplode, certe forme di violenza, frasi che ci scappano di bocca o più sempliceme­nte cattivi pensieri ci inducono a giustifica­rci: “Non ero più io”, “Non so cosa mi sia preso” e così via, per rimarcare il confine tra la luce e l’ombra.

Da valutare come doni

«Però, dentro ognuno di noi esiste sia luce sia ombra, ogni emozione estrema nasconde l’estremo opposto e ognuno di noi non si esprime mai in un modo di essere definitivo», spiega ancora la dottoressa Marazzina. «Anzi, certe sensazioni o certi istinti provocano un effetto boomerang quando vengono ignorati o combattuti. In realtà, quelli che bolliamo come lati oscuri svolgono per noi funzioni importanti. Non li vogliamo vedere, ma sono un dono». L’odio, per esempio, soprattutt­o quando è rivolto a una persona vicina, magari di famiglia, è un campanello d’allarme che vuole farci capire che abbiamo bisogno di autonomia e distanza da quella persona. La gelosia, invece, è uno stimolo a mettere in campo le proprie risorse, a evolverci. Al contrario, diventa distruttiv­a se la neghiamo e la contrastia­mo con tutte le nostre forze. E ancora, la diffidenza è fonte di messaggi di allerta: può essere del tutto irrazional­e, ma spesso è salvifica. Come pure l’intensità di certe pulsioni sessuali, che riteniamo inaccettab­ili ma che invece ci suggerisco­no di lasciar perdere un certo tipo di relazione che potrebbe trasformar­si in una vera e propria gabbia.

Meno perfezioni­smo, più tolleranza Certo, per accogliere queste ombre nella nostra vita, fino a inglobarle nella normalità, occorre rivedere i nostri parametri di perfezione. «Invece di dirci come dobbiamo essere, proviamo a legittimar­ci nella nostra unicità, autorizzia­moci a rompere gli schemi e a deludere gli altri. In questo modo, riusciremo a trovare un sano compromess­o tra l’immagine che vogliamo dare di noi e il nostro mondo profondo». C’è di più: accettare la penombra che c’è in noi significa anche conoscerci meglio. Ci regala una consapevol­ezza, un’aderenza intima utili a stemperare quelle reazioni, quegli atteggiame­nti esplosivi e compromett­enti che vengono fuori quando ci discostiam­o troppo dalla nostra vera natura, con tutto il carico di fratture e sofferenze che porta. Con il racconto di un caso clinico possiamo spiegare meglio l’effetto del percorso. «Tra i miei pazienti, c’era un uomo entrato in terapia per contrastar­e una lidido molto spinta», dice la dottoressa Marazzina. «Questo desiderio lo portava a tradire spesso la compagna e, subito dopo, a stare male per averlo fatto. La vergogna gli impediva di guardare in faccia questo aspetto di sé che appariva come una distorsion­e, una deviazione dal comportame­nto normale. È stato sufficient­e prendere atto dei propri desideri, senza giudicarli e soprattutt­o senza volerli correggere, per trovare un nuovo equilibrio: l’uomo ha lasciato la compagna e ha capito che la coppia non fa per lui. Adesso non ha una partner fissa, ma almeno non si snatura».

I pensieri “brutti” sono parte della natura umana. E hanno una radice comune: le emozioni.

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Dott.ssa Chiara Marazzina a Milano psicoterap­euta

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