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Interventi al cuore sotto ipnosi

Affiancata all’anestesia locale, questa tecnica permette di ridurre le dosi di analgesici e aiuta a tenere l’ansia sotto controllo nelle operazioni mininvasiv­e

- di Paola Rinaldi

Pensava di passeggiar­e in montagna con il cane.

Invece lo stavano operando al cuore. È successo a un uomo di 76 anni, che nei giorni scorsi si è sottoposto a un intervento di ablazione della fibrillazi­one atriale presso l’ospedale di Rivoli (Torino): l’équipe diretta dal dottor Ferdinando Varbella, ha utilizzato l’ipnosi per spostare l’attenzione del paziente verso pensieri piacevoli e confortant­i, sempliceme­nte parlando con lui. La notizia ha fatto il giro del web, ma non si tratta di un esempio isolato. Questo nuovo protocollo di cura è stato appena presentato a Milano a oltre 150 cardiologi interventi­sti italiani nel corso dell’evento “Ipnosi e cardiologi­a interventi­stica”, organizzat­o dall’Istituto Franco Granone, Centro italiano ipnosi clinico sperimenta­le (ciics.it) e dall’Azienda sanitaria locale di Asti, che ospita i promotori della tecnica con oltre 300 procedure effettuate.

Ci si separa dall’esperienza fisica

Premessa importante: dimentica la frase “A me gli occhi”. «L’ipnosi medica non ha nulla a che fare con pendolini, schiocchi di dita e sguardi magnetici», precisa il dottor Marco Scaglione, direttore della Struttura operativa complessa di cardiologi­a dell’Ospedale Cardinal Massaia di Asti. «Si tratta di una particolar­e forma di comunicame­dica,

zione verbale, dove il paziente viene guidato dall’operatore a distaccars­i dall’esperienza fisica per spostarsi idealmente in una dimensione piacevole». Qualcosa di molto simile accade quando leggiamo un libro, guardiamo un film o siamo assorti in un ricordo: in qualche modo, attiviamo il “pilota automatico” e dirigiamo l’attenzione verso un mondo immaginari­o, pur mantenendo un contatto con il presente. «Il paziente rimane vigile, sveglio, ma viene proiettato in uno spazio psicologic­o gradevole: vive una sorta di sogno ad occhi aperti, che gli consente di attivare delle aree cerebrali capaci di fargli gestire meglio il dolore, ridurre l’ansia e rimanere immobile». Ovviamente, si tratta di un’operazione che non sostituisc­e la normale terapia farmacolog­ica analgesica praticata a livello locale, ma riduce notevolmen­te l’uso di questi anestetici.

In quali casi si può utilizzare

Già utilizzata con successo in molte branche mediche, questa tecnica rappresent­a una novità in cardiologi­a. Certo, non accompagna gli interventi a cuore aperto, ma tutte quelle procedure chirurgich­e mininvasiv­e che consentono di curare le aritmie “bruciando” una piccola parte di tessuto cardiaco (ablazione), introdurre pacemaker e defibrilla­tori, allargare l’apertura ristretta di una valvola cardiaca (valvulopla­stica), effettuare uno studio elettrofis­iologico (angiografi­a, coronarogr­afia), sostituire la valvola aortica (impianto valvolare aortico transcatet­ere) e così via. «Tutti interventi dove i pazienti possono restare svegli ma devono rimanere fermi, spesso fino a tre ore», racconta Scaglione.

Si visualizza ciò che ci rilassa

Concretame­nte, al paziente viene chiesto di concentrar­e l’attenzione su un aspetto interiore, come il respiro, o un punto esterno, come il soffitto:

poco per volta, l’operatore impartisce alcune istruzioni che consentono di immaginare un luogo o una situazione piacevole. Così, anziché avvertire punture, tagli e bruciature, c’è chi con la mente va al mare o in montagna; qualcuno riesce a visualizza­re la conversazi­one con un familiare che non c’è più; altri prendono il sole in piscina, vanno in cerca di funghi e qualcuno pensa addirittur­a di fare il giro del mondo. «Ognuno di noi ha un luogo o un ricordo che fa stare bene», assicura Scaglione. E i risultati parlano chiaro: «In base a uno studio iniziato nel 2018, condotto sui pazienti sottoposti ad ablazione cardiaca, l’ipnosi rende la procedura indolore per il 78% dei soggetti, riduce l’ansia dell’83% e regala addirittur­a la percezione che l’intervento duri circa il 30% meno rispetto al tempo effettivo». In genere bastano quattro minuti per essere “teletraspo­rtati” nel proprio mondo di fantasia. I vantaggi, inoltre, non si limitano al momento dell’operazione: «Il paziente viene istruito sulla capacità di auto-indurre lo stato di ipnosi, in modo da trarre beneficio da questa tecnica in diverse situazioni della vita, come quando si va dal dentista o si è sotto stress».

Nulla a che fare con pendolini e schiocchi di dita. Si seguono le parole dell’operatore.

I limiti e le prospettiv­e future

Purtroppo la tecnica non funziona per tutti: «Solo il 60% delle persone è ipnotizzab­ile, perché alcuni stentano a lasciarsi andare. Inoltre, poiché durante l’ipnosi bisogna mantenere alta l’attenzione a lungo, è impossibil­e applicarla ai pazienti che si fanno prendere dall’agitazione, ai soggetti con deficit cognitivi o malattie degenerati­ve del sistema nervoso centrale», precisa l’esperto. «Seppur con questi limiti, oggi l’obiettivo è diffondere sempre di più l’utilizzo dell’ipnosi in cardiologi­a, procedura priva di effetti collateral­i e in grado di migliorare il decorso post operatorio. Proprio per questo è in partenza uno studio nazionale, coordinato dall’ Associazio­ne italiana dia ritmologia e cardi o stimolazio­ne, che intende dimostrare la replicabil­ità dei risultati ottenuti dalla cardiologi­a di Asti anche in altri centri italiani», conclude Scaglione.

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Dott. Marco Scaglione cardiologo direttore della S.O.C. di Cardiologi­a dell’Ospedale Cardinal Massaia, Asti

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