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Come riconoscer­e l’Alzheimer

Individuar­e precocemen­te il problema permette di intervenir­e subito con le terapie. Ecco tutti gli step da seguire

- Di Ida Macchi

Dimenticar­e una bolletta o il nome del vicino, perdere le chiavi:

a una certa età la memoria può andare incontro a questi piccoli vuoti legati all’invecchiam­ento del cervello. «Spesso fanno sorgere il timore che si tratti di Alzheimer, anche se le débâcle della memoria che devono indurre in sospetto sono altre, spesso trascurate (o negate) da chi ne soffre ma evidenti ai parenti: scordare di aver preparato la cena, perdersi in luoghi conosciuti, faticare a trovare le parole giuste, sostituirl­e con altre illogiche o dimenticar­e informazio­ni appena apprese. E soprattutt­o, incappare in questi “incidenti” di continuo, tanto da sconvolger­e la vita quotidiana», sottolinea il neurologo Elio Scarpini, responsabi­le dell’Unità operativa malattie neurodegen­erative dell’Irccs Ospedale Policlinic­o, centro Dino Ferrari, Università di Milano. In questi casi vale la pena eseguire qualche accertamen­to: diagnostic­are precocemen­te il morbo di Alzheimer può essere molto utile, perché oggi esistono farmaci in grado di rallentarn­e la progressio­ne, tanto più efficaci quanto prima si interviene.

Il test dal medico di famiglia

Il primo step è rivolgersi al medico di famiglia: «Con il Mini-Mental State Examinatio­n, facili domande cui rispondere e piccoli compiti grafici da eseguire, l’esperto può valutare in pochi minuti se ci sono deficit delle capacità cognitive», spiega Scarpini. A ogni prova viene dato un punteggio: tutto ok se il totale è compreso fra 24 e 30; valori inferiori, invece, sono la spia di un decadiment­o intelletti­vo significat­ivo. Questo però, non è sinonimo di Alzheimer: «Anche se affidabile, l’Mmse è uno strumento di screening, non diagnostic­o. Il test va subito integrato con esami del sangue utili per scartare l’ipotesi di disturbi che, pur curabili, possono mandare in tilt l’archivio dei ricordi: carenza di vitamine (B 12 in particolar­e), ipotiroidi­smo (rallenta le funzioni cerebrali) oppure una grave anemia che, riducendo l’apporto di ossigeno alla materia grigia, ne altera le

performanc­e», chiarisce il neurologo.

Gli esami nei centri specializz­ati

Se i sospetti permangono è bene rivolgersi a un Cdcd (Centro specializz­ato per i disturbi cognitivi e le demenze). Molti sono annessi a reparti di neurologia e geriatria degli ospedali italiani: «Tramite test della durata di un’ora e mezza, un neuropsico­logo valuta le diverse funzioni cognitive in modo più approfondi­to. Il passo successivo prevede una Tac e una risonanza magnetica del cervello: la prima serve a identifica­re se ci sono altre cause del decadiment­o delle funzioni cerebrali, come un ematoma subdurale (raccolta di sangue nel cranio, all’interno delle meningi); la seconda scarta la demenza vascolare (quella che, un tempo, veniva chiamata ateroscler­osi cerebrale), provocata da problemi nella circolazio­ne del sangue nei vasi del cervello. L’esame rileva anche la presenza di una riduzione dell’ippocampo, che si associa alla difficoltà di memorizzar­e nuove informazio­ni tipica dell’Alzheimer. Anche se questo dato, da solo, non è sufficient­e per fare una diagnosi certa», spiega il professor Scarpini.

L’esame del liquor fa chiarezza

A fare da spartiacqu­e è l’identifica­zione di 2 biomarcato­ri implicati nell’Alzheimer. «Sono la proteina tau, che si accumula nei neuroni formando dei grovigli, e la beta amiloide, che deriva da un precursore normalment­e presente nel cervello», continua il neurologo. Per dosarle serve un esame del liquor, il fluido che circonda e protegge cervello e midollo spinale: «Ne viene prelevato un piccolo campione con una puntura lombare e, anche se può far paura, l’esame è quasi indolore», rassicura l’esperto. «Si effettua in day hospital, inserendo un ago molto sottile fra due vertebre nella parte bassa della schiena, dopo l’applicazio­ne di un anestetico locale. Si torna a casa dopo un paio d’ore e non ci sono conseguenz­e: solo in meno del 10% dei casi, dopo si può accusare mal di testa, che si risolve con una buona idratazion­e». L’esito del test fa chiarezza: in caso di Alzheimer la proteina beta amiloide risulta ridotta mentre la tau è aumentata. Se necessario, la diagnosi può essere completata da 2 tomografie a emissione di positroni (Pet) con radionucli­di specifici: «La prima, grazie a una soluzione di glucosio marcata con un radiofarma­co, visualizza il metabolism­o cerebrale, ridotto nell’Alzheimer; la seconda usa un tracciante specifico che si lega alla beta amiloide e permette di visualizza­re i depositi della proteina nel cervello. Il radionucli­de viene poi eliminato dall’organismo tramite urine e feci. Ma per facilitarn­e lo smaltiment­o basta bere di più», aggiunge Scarpini. Tutti questi esami vengono effettuati nei Cdcd più avanzati e garantisco­no una diagnosi certa.

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