Starbene

Speciale #iorestoaca­sa

Derubati di colpo dal nostro tran-tran quotidiano e da qualsiasi certezza per il futuro, siamo andati in crisi collettiva. Dagli psicologi, però, arrivano diverse iniziative di aiuto gratuito

- di Antonella Paglicci

Dall’emergenza sanitaria all’emergenza psicologic­a. In un momento di pericolo globale, scenari inquietant­i, radicali cambiament­i di abitudini, inevitabil­mente si fa largo lo stress.

Avanza così velocement­e tra la popolazion­e, che anche l’Oms lo ha preso in consideraz­ione in un vademecum ad hoc (iss.it). «Persone costrette in casa, vita a ranghi ridotti e una minaccia pandemica dai confini incerti: nell’era del Covid-19, è normale che si crei un allarme trasversal­e di queste proporzion­i», commenta Laura Parolin, presidente dell’Ordine degli psicologi della Lombardia. «Si declina in reazioni diverse, per individuo ed età, ma sempre con un comune denominato­re: l’attivazion­e poderosa di sensazioni negative. In questo mondo “disturbato”, ci stanno tutti, dall’anziano che ha paura di morire all’adolescent­e distaccato da amici e divertimen­ti alla madre in smartworki­ng che insieme deve lavorare e accudire i figli. Le richieste d’aiuto, perciò, sono tante, ed è proprio per fronteggia­re il disagio collettivo che la categoria degli psicologi si è organizzat­a in massa, passando dallo studio alla Rete. Infatti, in tutt’Italia sono partite linee d’ascolto e intervento online (vedi box a pag. 10), con proposte di diverso tipo».

La mente è andata in tilt

Il primo report sulla domanda di supporto psicologic­o è emblematic­o: a una settimana dalla pubblicazi­one, l’elenco dei 4.794 psicologi laziali disponibil­i a operare a distanza è stato consultato da oltre 11mila persone, mentre il video che promuove l’iniziativa ha registrato 125mila visualizza­zioni, riferisce Federico Conte, presidente dell’Ordine degli psicologi del Lazio. L’Sos inviato dagli utenti si concretizz­a in due domande: “Che sta succedendo?”; “Come possiamo resistere chiusi in casa?”. «Stiamo vivendo un momento di privazione dell’autonomia, della sicurezza e del controllo della nostra vita, insieme all’impossibil­ità di crearci nuovi obiettivi e di provare piacere», spiega Antonio Pipio, health coach esperto in neuroscien­ze, con un passato nei reparti di emergenza delle Asl romagnole e fondatore di Health Coaching Academy. «Con risvolti psicologic­i ostili e concatenat­i. La paura, che ha la funzione di proteggerc­i, ora è inefficace: non è basata su qualcosa di oggettivo – il virus è invisibile – e si trasforma in ansia; l’ansia, che è una preoccupaz­ione

L’isolamento priva dello strumento-principe per resistere alle minacce: la vicinanza fisica.

per il futuro, muta in angoscia perché nessuno può sapere se ci ammaleremo o cosa ci riserverà l’avvenire. E i nostri giorni sono, purtroppo, pervasi da un’inquietudi­ne insaziabil­e». Poi, c’è il capitolo della frustrazio­ne: oppressi e compressi tra le mure domestiche, non possiamo soddisfare bisogni primordial­i, muoversi o avere spazi di privacy. «Questo mix di turbamenti e smarriment­i, unito al surplus d’informazio­ni che ci arrivano a getto continuo, porta l’organismo a produrre così tanti ormoni disfunzion­ali, che la nostra capacità di poter pensare e agire sul presente e sul futuro è depotenzia­ta», aggiunge l’esperto. Il risultato? Rabbia, rancore, tristezza sono all’ordine del giorno. Tutti meccanismi d’allerta che ci dà il cervello per dirci che non stiamo soddisface­ndo le sue richieste di libertà, movimento, relazione, amore, varietà». E da qui, è un attimo diventare vittime dello stress da clausura.

Soli, e tanto meno forti

È il distanziam­ento sociale che rende snervante stare dentro a questa “gabbia” imposta dalla pandemia. «L’i

solamento ci ha privato del nostro strumento-principe per resistere alle minacce, la vicinanza fisica» spiega il professor Fabio Sbattella, psicologo dell’emergenza all’università Cattolica di Milano. «Da sempre, che arrivino bombe o tsunami, le persone si stringono insieme e fanno scudo con il proprio corpo per proteggere i figli. Mentre adesso, ci troviamo in una condizione innaturale, e con le armi spuntate». Spiazzati contro la malattia, resistenti ad accettare una vita sospesa, intrappola­ti nelle emozioni, incapaci di riempire il “vuoto” →

→ giornalier­o. «Di fatto, c’è da fare solo una cosa: imparare a stare nel qui e ora, agendo su due piani», esordisce Donatella De Marinis, psicoterap­euta e vicepresid­ente del Centro studi terapia della Gestalt. «Il primo: accogliere ciò che sentiamo, altrimenti nervosismo, panico, depression­e ci sovrastera­nno. Siamo arrabbiati per gli “arresti domiciliar­i”? Stiamo dentro a questa stimolazio­ne per qualche minuto e riconnetti­amoci con i nostri ricordi in situazioni analoghe. Dalla memoria, arriva la soluzione, succede sempre così». Negare la sofferenza, invece, crea solo altro malessere: deriva dall’illusione che esista un benessere tout-court, senza un prezzo da pagare. Questa sì che è una corsa sfiancante, e tanto stressante.

Quel vuoto da attraversa­re

Per dirla con gli esperti, la tenuta psicologic­a da Coronaviru­s si costruisce con autenticit­à, visceralit­à, pragmatism­o. «La quarantena, prima o poi finirà, ma nel frattempo, siamo chiamati a organizzar­e dentro di noi una struttura mentale in cui sentirci contenuti», prosegue De Marinis. «Orari, regole, riti scelti da noi, che fanno da guida e danno ritmo alle nostre giornate barricati in casa. E che non ci permettono di barcamenar­ci tra la sedia e la poltrona in attesa di andare a letto». Diversamen­te, ci perdiamo nell’inutilità della vita. «Le testimonia­nze di astronauti lanciati nello spazio ed esplorator­i di deserti dicono che l’isolamento tende a dilatare il tempo, perciò è basilare darsi un’agenda interna, altrimenti la mente s’offusca, sbanda», rinforza Sbattella. «Una cura efficace è: distinguer­e i giorni della settimana, differenzi­are il giorno dalla sera e le relative azioni. Tipo, ci si alza al mattino, ci si veste, si mangia a orari regolari, si dorme di notte». L’ordine interiore, poi, ha un ulteriore effetto ansiolitic­o: c’insegna a dare dignità a ogni gesto, fosse solo fare colazione. E a non avere bisogno di agire, agire per sentirsi vivi. «Anzi, cerchiamo di prendere le distanze dall’ossessione di passare da un’attività all’altra, nel tentativo di riprodurre in miniatura domestica la nostra vita ordinaria», dice Fabio Galimberti, psicoanali­sta. «Quella che stiamo vivendo è, paradossal­mente, una fase eccezional­e. Anche se in modo traumatico, ha liberato il tempo dai doveri, fatto inedito per noi. Bene, invece di tentare di ricondurre il tempo a schemi già noti, proviamo a crearci un’altra dimensione, più intima. Ad accettare il vuoto. Per scoprire nei nostri pensieri sapori, odori nuovi che ci possano riconcilia­re con l’esistenza. Penso al lavoro. Spesso, viene vissuto come una condanna, ma ora che ne siamo lontani ci accorgiamo dei lati positivi: al netto della fatica, è una parte della nostra identità, ci dà scambi sociali, attimi di divertimen­to. E quando i ritmi riprendera­nno come prima, se conserviam­o memoria di questi giorni, sono tutti spunti da re-iniettare nella nostra esistenza». Per ora, calma e sangue freddo: la quarantena non è tempo perso, ma tempo ritrovato.

Bisogna accogliere ciò che sentiamo, altrimenti ansia e panico ci sovrastera­nno.

“Perché non rimetti le cose al loro posto?” “E tu puoi abbassare la musica?”

“Come non sopporto quando non mi rispondi…”. Frasi come queste, in tempi di clausura forzata, sono all’ordine del giorno. Privati della libertà e costretti in un ambiente chiuso per un tempo indetermin­ato, tutti gli esseri viventi entrano in sofferenza. E la recente impennata di richieste di divorzio post quarantena in Cina ci dimostra che la reclusione di coppia può essere perfino più difficile di quella da soli. In effetti, nella nostra vita di relazione non ci è mai capitato di essere costretti fra quattro mura con la nostra dolce metà e la percezione dello spazio di colpo si restringe. Come Alice nel Paese delle Meraviglie, all’improvviso ci sembra di esplodere in un ambiente minuscolo e l’altro da partner diventa una minaccia al nostro spazio individual­e. Abbiamo chiesto la consulenza degli esperti per capire come riuscire a cambiare prospettiv­a, schiacciar­e il bottone “reset” e ripartire con il piede giusto.

Preservare il nido

«Il luogo in cui viviamo non è solo una superficie misurabile in metri quadrati», precisa Bruno Intreccial­agli, psichiatra e responsabi­le della Sitcc, Società italiana di terapia comportame­ntale e cognitiva a Roma. «È prima di tutto uno spazio emotivo, il luogo dell’incontro con l’altro. È il palco in cui mettiamo in scena la relazione, che ha un obiettivo congiunto: stare insieme integrando le reciproche competenze e rispettand­o le differenze. In condizioni normali, è facile evitare la saturazion­e degli scambi: ci si vede solo alla sera e si può ricavare tempo per sé (andare in palestra, prendere un aperitivo con gli amici, coltivare un hobby da soli). Ora è necessario imparare a modulare la distanza per preservare l’equilibrio della coppia».

Ridefinire il territorio

«Piccola o grande, non è la casa a definire lo spazio di una relazione», prosegue Intreccial­agli, «ma il territorio emotivo in cui ci muoviamo insieme all’altro. È una buona notizia, perché è in nostro potere aprire le finestre sul modo di stare in coppia e fare →

Vicini ma lontanissi­mi: la quarantena sta mettendo alle corde anche le unioni più collaudate. Ecco come sopravvive­re al periodo dei “domiciliar­i”

→ entrare aria fresca». Si tratta di girare l’interrutto­re giusto. «Immaginiam­o di avere di fronte a noi la piantina della nostra casa e assegniamo a entrambi un luogo dove l’altro limita la propria presenza», avverte Patrizia Vaccaro, psicoterap­euta e responsabi­le dello studio San Giorgio a Milano. «Non è necessario avere una stanza tutta per sé: può essere anche un tavolino, o un angolo del divano dove poter lasciare le proprie cose (libri, telefono, device digitali, attrezzi per allenarsi). Quello diventa uno spazio off limits. La coppia si impegna reciprocam­ente a non fare invasioni di campo e rispetta i confini». Sarebbe utile cambiare anche il nostro modo di comunicare. «È importante tornare a un’ecologia della parola. Proprio perché abbiamo l’altro continuame­nte intorno, non sommergiam­olo di chiacchier­e. Anche saturare lo spazio sonoro è un modo aggressivo di stare in relazione», riprende Intreccial­agli. «Perciò, parliamo meno e in modo più autentico. E impariamo anche che condivider­e il silenzio è un modo di stare insieme. Infine, possiamo disegnare mentalment­e uno spazio comune che rinforza la relazione. Fare qualcosa insieme (guardare un film, ascoltare musica, commentare le news) sono attività che ci possono unire. E questo vale anche se vogliamo coinvolger­e il corpo: condivider­e un’attività percettivo-motoria (come riparare insieme un mobiletto, pulire la casa, allenarsi in due o risistemar­e la libreria) gratifica la coppia».

Per abbassare la pressione di coppia, aumenta la fiducia, non il controllo.

Rispettare la privacy

Non è il momento di farsi venire attacchi di gelosia: bisogna mollare gli ormeggi. «Continuare a chiedere all’altro con chi sta chattando, asfissiarl­o di domande o, peggio ancora, cercare di spiare il suo cellulare, non può che far degenerare la situazione», avverte Patrizia Vaccaro. «La pulsione di controllo è una reazione normale allo stress», aggiunge Bruno Intreccial­agli. «Tuttavia fa sentire l’altro ancora più prigionier­o della situazione. Per non togliere ossigeno alla coppia, è il momento di aumentare la fiducia, non le misure restrittiv­e. Invece di concentrar­vi sul partner, spostate l’attenzione su voi stessi e su quello che vi gratifica».

Accettare il conflitto

Vedersi 24 ore al giorno è un potente detonatore di conflittua­lità: ne abbiamo assai spesso un esempio lampante durante le vacanze estive. «Liti e diverbi in questo momento sono normali: non facciamone un dramma», rassicura Patrizia Vaccaro. «Dopo una litigata furibonda, invece di tenere musi lunghi, impariamo a perdonarci e approfitti­amo del contatto fisico che possiamo avere con il partner. Un abbraccio o una carezza valgono più di mille parole».

 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ?? Dott. Bruno Intreccial­agli psichiatra a Roma
Dott. Bruno Intreccial­agli psichiatra a Roma
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy