Starbene

Che mondo ci aspetta con la ripresa

Stiamo vivendo un’epopea dove niente sembra più uguale al passato. E tutti ci domandiamo come e quanto la pandemia cambierà le nostre prospettiv­e di vita futura

- di Antonella Paglicci

Prima la paura del contagio, adesso l’impazienza di tornare a vivere come si deve:

tutti aspettano l’annuncio “liberi tutti” per partecipar­e in massa alla ripresa. La fase 2 post-lockdown, che però lascia aperta l’inquietant­e incognita di scoprire (e toccare con mano) se la sospension­e forzata dal lavoro, dai contatti sociali, dalla libertà di movimento e scelta ci ha trasformat­o in un caleidosco­pio umano diverso. Rigenerato, in una parola. La parola a Fabio Galimberti, psicoanali­sta.

Dietro al termine “ripresa” che aspettativ­e ci sono?

Al netto delle differenze oggettive (se uno ha lavorato o meno, se è stato solo o in famiglia, se ha avuto un lutto) e soggettive (quali le emozioni provate) con cui ciascuno sperimenta la quarantena, in linea generale la ripresa s’identifica con il ritorno alla normalità. Alla solita vita, più o meno com’era prima del Covid-19. Per me, non sarà difficile vedere un’amnesia di massa: dimenticar­e è una delle maggiori difese di cui l’umanità dispone. Riprendere le nostre abitudini di sempre, infatti, è il modo più comune per annullare nella nostra psiche un momento così difficile.

Ci sarà, quindi, poca memoria di questo periodo?

Non credo che avverrà una rigenerazi­one collettiva. Tra un po’ ci sarà un

nuovo tempo, arriverann­o altri fatti che renderanno il periodo del Covid-19 preistoria, come spesso è successo. Ci saranno solo delle singole “fioriture”, alcune o molte persone - quante non è un dato contemplab­ile - ne trarranno delle conseguenz­e rispetto alla loro interiorit­à. L’epidemia, in fondo, è una forza svelatrice e ci dà l’occasione per pensare e smontare tante convinzion­i su noi stessi. Non è, perciò, che la quarantena ha cambiato il mondo. È l’individuo, semmai, che coglie l’occasione per crescere. E in quest’evoluzione, gli introversi, quelli a stretto contatto con se stessi, ne sono avvantaggi­ati.

Perciò il Coronaviru­s ha dato nuove lezioni di vita, almeno a livello individual­e?

Alcune novità le ha portate e le porterà. A partire dal ruolo del desiderio nella vita, quella vocazione incessante che ci spinge a rincorrere persone e situazioni. E che, spesso, ci fa sentire insoddisfa­tti, frustrati, perché non siamo riusciti a realizzare le nostre aspirazion­i più sentite. È un condiziona­mento esistenzia­le, spesso punitivo, che la clausura ha sbriciolat­o in quanto ci ha permesso di coglierne il lato oscuro. Facciamo l’esempio del grande mito contempora­neo, il tempo libero. Lo abbiamo agognato fino a febbraio, ma adesso, con giornate ridotte all’essenziale, abbiamo scoperto che non sappiamo cosa farcene. L’equazione è semplice: bramiamo quello che non possediamo. Di più, ci costruiamo nella vita quegli ostacoli che ci permettono di continuare a desiderare, altrimenti i nostri sogni non esisterebb­ero. Ecco, con molte ore a disposizio­ne, tutte per noi, magari abbiamo depennato dalla nostra lista tanti desideri, tante aspirazion­i che ci tenevano sotto scacco. Li chiamiamo tali, ma forse non lo sono.

Ripartiamo, insomma, con meno aspettativ­e personali?

È uno spunto di rinnovamen­to importante per il futuro. Come siamo stati in grado di sopportare la segregazio­ne, saremo anche più preparati ad accettare l’esistenza così com’è, senza dovere fare i super eroi. La situazione attuale ridimensio­na questa spinta all’autorealiz­zazione, alla scoperta del proprio talento, alla corsa a mete altissime che ha prodotto molti danni. Che ci ha reso traballant­i, tendenti a sentirci depressi, perdenti. Chissà se invece potesse iniziare una nuova mitologia della vita ordinaria!

Ma il rientro non sarà il regno dell’appiattime­nto?

No, anzi potrebbe essere il trionfo della consapevol­ezza di chi siamo. Questo è il punto massimo d’arrivo di una persona, non una sconfitta. Non significa, infatti, accettare il proprio destino in modo vittimisti­co, arroccarsi in una posizione statica. Significa, invece, accogliere la debolezza, che tutti abbiamo, e allontanar­ci dall’idea, rovinosa, di avere un modello da raggiunger­e. Una chimera, questa, che ci mette nelle condizioni di fare continui paragoni con il mondo. Ma la gara è impossibil­e: nella vita non esistono i confronti, quello che vuole l’uno, non lo vuole l’altro.

Ci affaccerem­o alla ripresa con maggiore autenticit­à?

La grande scommessa è la possibilit­à di reinventar­ci in modo più genuino. Tutti abbiamo qualcosa che ci fa sentire fuori posto e passiamo gli anni a cercare di nascondere quest’idea “disastrosa” di noi stessi. Ma non dobbiamo vergognarc­i di vivere per quello che siamo. Quello che ci fa imbarazzar­e è la nostra principale risorsa, quando riusciamo a integrarla nel cammino quotidiano. Ora, quindi, che siamo più in intimità con noi stessi e possiamo incrociare la nostra parte più vera, andiamogli incontro. Scopriremo che non è così drammatico. Raggiunger­e questo grado d’ammissione ci farà bene, invece di farci male.

Oltre che più indulgenti con noi stessi, saremo anche più aperti con gli altri?

Difficile dirlo ora, in una fase dove tra le persone serpeggia paura, sospetto e diffidenza. C’è una sorveglian­za reciproca talmente alta e attiva che non mi permette di raffigurar­e, a breve, il ritorno alla fiducia e la cordialità. Anzi, adesso che siamo abituati a tenere rapporti a distanza, magari domani li allontaner­emo ancora di più. Ma, per fortuna, è tutto da scoprire!

«Consumiamo tutto rapidament­e, anche una crisi mondiale come questa».

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