L’ultimo dei samurai
Austero, dalla moralità ineccepibile e ferocemente contrario ai costumi stranieri, Saigo guidò nel 1877 una rivolta disperata contro il nuovo governo nipponico
Saigo Takamori guidò nel 1877 una rivolta contro il nuovo governo nipponico.
Nel 1854, il commodoro Matthew Perry sbarcò in Giappone per rompere l’isolamento dall’esterno che il Paese aveva mantenuto negli ultimi due secoli. Quel giorno, il vapore e l’acciaio dei blindati statunitensi trasmisero un messaggio perentorio: il Giappone non solo doveva accettare di aprire i suoi porti e commerciare con il resto del mondo, ma doveva anche trasformare la sua economia, le sue istituzioni, addirittura il suo stile di vita, se non voleva essere sottomesso agli stranieri.
I giapponesi compresero la lezione. Nel 1868, quello che è noto come Rinnovamento Meiji avviò un processo di modernizzazione radicale che nel giro di pochi anni avrebbe reso il Giappone una potenza allo stesso livello di quelle occidentali. La trasformazione, tuttavia, non avvenne senza resistenze, in particolare da parte dei samurai, la casta di guerrieri che incarnava lo spirito tradizionale del Paese. Uno di essi, Saigo Takamori, fu protagonista nel 1877 di una ribellione che, nonostante il fallimento,
divenne leggendaria.
Saigo era originario di Satsuma, e veniva da una tipica famiglia di samurai, orgogliosa della propria stirpe ma priva di grossi mezzi economici. Invece che in un castello, iniziò la sua carriera nel mondo rurale, come copista del magistrato Sakoda Tajiemon. Di corporatura imponente, austero e ottimo conversatore, passò i successivi dieci anni spostandosi tra vari distretti come esattore delle imposte, carica che gli diede modo di conoscere a fondo la situazione dei contadini. Tajiemon gli inculcò l’idea che come samurai doveva occuparsi del benessere della popolazione a suo carico: Saigo comprese che i contadini erano necessari per sostenere il Paese e gli stessi samurai e inviò un memorandum al suo daimyo o signore feudale, Shimazu Nariakira, nel quale sottolineava la necessità che i samurai recuperassero la fiducia dei contadini e smettessero con le pratiche corrotte.
La tentazione del sacrificio
Ammesso al seguito di Nariakira, Saigo gli giurò assoluta fedeltà, al punto che quando il daimyo morì improvvisamente Saigo decise di suicidarsi, seguendo l’antica pratica dello junshi, secondo cui alla morte di un signore
Saigo Takamori ebbe un ruolo decisivo nella restaurazione
del potere imperiale nel 1868