IL GIAPPONE IMPERIALE
Durante i quattrocento anni del periodo Heian, la città di Kyoto fu il centro di una corte imperiale completamente dedita all’arte e allo stile di vita più raffinato del periodo medievale dell’arcipelago
Nel 795, l’imperatore Kammu trasferì la capitale del Giappone a Heian-kyo, la «capitale della Pace», più nota come Kyoto a partire dall’XI secolo. La crescente diffusione del buddhismo aveva fatto vacillare la stabilità dell’Impero, e la corte volle fuggire dall’influenza che i monaci esercitavano sulla città di Nara, la vecchia capitale. Ebbe così inizio il periodo Heian, fase che segnò per sempre lo sviluppo culturale dell’arcipelago. Heian-kyo fu costruita con una pianta a scacchiera, dove si incrociavano vie principali (oji) e vie secondarie (koji). Il palazzo imperiale, visibile da ogni punto della città, sorgeva nella parte nord, mentre il lato sud era dominato da due grandi templi. Quella fu anche l’epoca in cui si smise di prendere ispirazione da modelli cinesi e nacque uno stile giapponese che, con varie evoluzioni, da allora costituisce il cuore della cultura nipponica.
Questa fioritura culturale aveva un centro: la corte. E aveva anche dei protagonisti: circa tremila persone che, riunite attorno all’imperatore e all’imperatrice, costruirono un mondo chiuso e cerimonioso. Il governo centrale controllava il Paese mediante funzionari inviati nelle province, che supervisionavano l’esazione fiscale degli appezzamenti di terra pubblici e privati.
Nonostante la condizione divina dell’imperatore, la corte Heian era praticamente dominata dalla famiglia Fujiwara, che acquisì il potere esecutivo e le cui dame furono consorti di quasi tutti gli imperatori. La corte era suddivisa in nove ceti, da quello più basso o soi ai più alti, i kugyo, a partire dal terzo. A sua volta, ogni ceto aveva varie sud- divisioni, per un totale di trenta tipi di cortigiani. Per accedere a questo sistema bisognava superare degli esami ufficiali, che tuttavia non erano necessari se una persona era di buona famiglia. Le donne erano dame di compagnia dell’imperatrice o di qualcuna delle concubine imperiali. Ad accomunare tutti, però, era il grande apprezzamento per le arti e l’estrema raffinatezza della loro vita quotidiana. I membri di questo mondo chiuso, dominato dal cerimoniale di palazzo, erano giudicati in base alla loro capacità di apprezzare e praticare quei valori estetici e spirituali.
Maestri dell’eleganza
Nelle epoche precedenti, l’abbigliamento, ispirato ai modelli cinesi, era relativamente semplice. Nel periodo Heian, però, si trasformò, facendosi sempre più elaborato, e si svilupparono modi di vestire che, più di mille anni dopo, sopravvivono in quello che oggi conosciamo come abbigliamento giapponese tradizionale. Le dame diedero vita a nuove mode, basate sulla sovrapposizione di strati di vesti molto larghe, i cui bordi si intravedevano nello scollo e nelle maniche.
Queste vesti avevano una forma a T. Quella più interna, di colore bianco – il kosode o“manica [dall’apertura] piccola” –, si stringeva attorno alla vita con una fascia, mentre tutte le altre – gli osode o “manica [dall’apertura] grande” – si lasciavano aperte. Il nome scelto per queste vesti non è casuale. Le maniche sono un elemento fondamentale nella concezione giapponese dell’abbigliamento, al punto da diventare una metafora di chi le indossa. Per questo motivo, la poesia classica usa l’espressione tagasode – “Di chi sono queste maniche?” – per fare riferimento a una bella donna della quale si nota l’assenza.
Sotto gli strati di vesti, le dame indossavano pantaloni larghi chiamati hakama, sovente rossi, mentre sopra potevano portare vesti