Lo schiavismo nel Medioevo
Il Medioevo fu scenario di un intenso commercio di prigionieri di guerra diretto verso città del Mediterraneo come Barcellona
Il proficuo commercio dei prigionieri di guerra in epoca medievale.
La schiavitù fu una realtà quotidiana nell’Europa mediterranea sin dall’epoca romana e nel corso del Medioevo. Dopo la Peste Nera del 1348-1351 il suo peso aumentò, poiché le richieste di aumento del salario da parte di lavoratori giornalieri e apprendisti delle botteghe spinsero molti proprietari a cercare un’alternativa nella manodopera forzata. Inoltre, l’espansione commerciale di città come Venezia, Genova, Pisa, Barcellona o Valenza attraverso il Mediterraneo diede accesso a molte zone di reclutamento di schiavi, dai Balcani e dalle coste del Mar Nero fino al nord dell’Africa. Tra il XII e il XV secolo, gli schiavi africani di pelle nera, che gli europei compravano in Libia o a Tunisi da commercianti arabi, erano una minoranza, anche se il loro numero andò via via aumentando. Assieme a loro si potevano trovare schiavi bosniaci, bulgari, albanesi, tartari, russi e turchi.
In un primo momento, gli schiavi erano in maggioranza musulmani che erano stati catturati durante una guerra in un territorio islamico, per esempio nelle campagne della Reconquista spagnola. La cattura poteva anche essere il risultato di una razzia, come avvenne nel 1412, quando Rodrigo de Luna guidò un assalto al villaggio algerino di Sharshal nel quale catturò 700 prigionieri. A partire dal XIV secolo, tuttavia, anche se gli schiavi musulmani non scomparvero, divennero più numerosi quelli acquistati mediante il traffico commerciale, soprattutto orientali e balcanici.
Prezzo secondo sesso ed etnia
Si potevano ridurre in schiavitù anche i cristiani, vuoi perché scomunicati dal papa – come fece Clemente V con i veneziani nel 1305 –, vuoi perché erano considerati eretici, come accadde ai bizantini dopo lo scisma con la Chiesa romana nel 1054.
A Barcellona, gli schiavi dovevano essere dichiarati e ottenere il certificato di «buona guerra», che significava che erano stati catturati in maniera «legale». Non dobbiamo immaginare grandi carichi di prigionieri che venivano venduti in un mercato pubblico, anche se alcune fonti alludono alla Lonja de Mar come luogo di vendita. Gli schiavi arrivavano in piccoli gruppi e di solito venivano venduti tra privati o attraverso mediatori.
Il prezzo dello schiavo dipendeva dalla sua età – le cifre più elevate erano quelle della fascia compresa tra i 14 e i 40 anni –, così come dalle sue condi-
zioni fisiche e dall’uso che intendeva farne il nuovo proprietario. Il prezzo fluttuò molto nel corso del tempo. Per esempio, nel 1419 una schiava circassa di 15 anni veniva venduta per 60 lire, mentre nel 1460 una schiava tartara di 16 anni valeva solo la metà di quella cifra (i circassi provenivano dalla costa orientale del Mar Nero). Le schiave più costose erano quelle orientali o provenienti dai Balcani: nel 1416 una schiava bulgara di 30 anni fu acquistata per 85 lire, quasi lo stesso prezzo pagato nel 1423 per una russa di 20 anni. In quello stesso periodo, invece, si pagava poco più di 40 lire per schiave musulmane
Il venditore era obbligato a dichiarare qualsiasi malattia o difetto fisico dello schiavo
CROAT CONIATO BARCELLONA SOTTO ALFONSO IV IL MAGNANIMO. XV SECOLO. PRISMA / ALBUM
nere della stessa età. Talvolta le donne venivano vendute con i loro figli. Nel 1413, la moglie di un cavaliere acquistò da un carpentiere di Barcellona, per 70 lire, la russa Maria, di 30 anni, e suo figlio Luigi, di cinque mesi. Per gli uomini, invece, i prezzi erano più uniformi: tra il 1418 e il 1454 furono venduti per la stessa somma, 65 lire, un nero di 14 anni, un russo di 18 e un tartaro.
Il venditore aveva l’obbligo legale di dichiarare qualsiasi malattia o difetto fisico dello schiavo. Se non lo faceva e il compratore scopriva
qualche problema dopo la transazione, poteva annullare la vendita, oppure tenersi lo schiavo ma recuperare una parte del prezzo pagato. In caso di disputa, una commissione di due medici, designati dal giudice locale (balivo) di Barcellona o un giudice proposto dalle parti, doveva emettere un verdetto.
Frodi nella “mercanzia”
Un certo Andreu Garcia, per esempio, oste di Lérida, denunciò l’argentiere di Barcellona Bernat Blascho per la vendita della schiava Nicolaua, circassa di 28 anni, che soffriva di epilessia. Nel 1395, la vedova di un mercante barcellonese costrinse la moglie di un cavaliere che le aveva venduto una schiava circassa, anch’essa epilettica, a riprenderla e restituirle le 27 lire che aveva pagato. Negli archivi si trovano numerosi reclami per schiavi acquistati da poco ai quali venivano scoperti problemi fisici di ogni tipo. Tuttavia, esisteva la possibilità di includere nel documento di compravendita una rinuncia espressa a tali reclami successivi all’acquisto, che comportava il ribasso del prezzo dello schiavo.
Una volta concluso l’acquisto, la maggior preoccupazione dei proprietari di schiavi era tenerli sotto controllo. All’inizio del XV secolo fu presentata al Consiglio di Barcellona la proposta che i padroni di schiavi potessero chiedere al balivo della città di castigarli in caso di cattivo comportamento o disobbedienza. Nel 1455 a Valenza fu creata un’associazione di proprietari per punire gli schiavi che commette-
vano crimini contro di loro. Particolarmente pressante era il problema della fuga degli schiavi, soprattutto in Catalogna, poiché potevano fuggire nella vicina Francia, dove la schiavitù non era riconosciuta. I musulmani erano tentati di fuggire nel regno di Granada, per terra o per mare. Nel 1434 un barcaiolo di Barcellona chiese che gli fossero pagate le spese per l’inseguimento a bordo di un leuto (un’imbarcazione leggera) di alcuni schiavi fuggiti dalla città.
Leggi draconiane
Per evitare le fughe, nel 1343 le autorità di Barcellona proibirono agli schiavi di circolare di notte in città, transitare nelle zone della spiaggia o uscire dal territorio del municipio, a meno che non avessero un permesso del proprietario; in caso di inadempimento venivano castigati con una multa o a subire dalle 10 alle 20 frustate in pub- blico. Nel 1350, il consiglio cittadino stabilì che se a fuggire era un gruppo, colui che lo guidava doveva essere condannato a morte e gli altri al taglio delle orecchie. Nel 1449, le autorità di Barcellona si rivolsero a quelle di Manresa a proposito di uno schiavo nero di 35 anni, proprietà di un conciatore barcellonese, che dopo essere fuggito era stato arrestato per furto e rischiava l’amputazione delle orecchie. I consiglieri barcellonesi chiedevano che fosse riconosciuto un indennizzo al proprietario e che lo schiavo fosse frustato, ma che non gli tagliassero le orecchie per un primo furto, poiché avrebbe perso valore sul mercato.
Talvolta i proprietari incaricavano dei“procuratori”di cercare gli schiavi fuggiti e riportarli con la forza. Altri, invece, preferivano promettere la libertà ai fuggiaschi se fossero tornati e avessero continuato a lavorare per loro per un certo periodo mediante i cosiddetti“contratti di affrancamento”. Per esempio, nel 1443 un fabbricante di bacinetti (un tipo di elmo) di Barcellona offrì a un suo schiavo rifugiatosi a Tolosa di liberarlo a condizione che lo servisse per altri sette anni.
Esistevano, dunque, schiavi emancipati, alcuni dei quali non esitarono a diventare a loro volta sfruttatori. È il caso del liberto Joan Coll, alias Splugues, saraceno nero ed ex schiavo del mercante Bernat Coll, che nel corso dell’anno 1442 comprò quattro prigionieri: Alí, di 35 anni; Fatima, di 30 anni; un secondo schiavo musulmano proveniente da Bugia, sulla costa algerina, e Marta, una schiava circassa di quasi 40 anni.