GRANDI SCOPERTE
La tavoletta del Diluvio
Nel 1872 George Smith decifrò il racconto del Diluvio Universale.
Nell’Inghilterra vittoriana della metà del XIX secolo le famiglie umili potevano fare ben poco affinché i figli ascendessero socialmente. Nel caso di George Smith, però, fu possibile.
Nato nel marzo del 1840 a Londra, fin da bambino George aveva lavorato nella casa editrice della città che collaborava con la zecca britannica, dove aveva imparato a fare incisioni sulle banconote che venivano emesse.
Tuttavia, Smith era diverso dagli altri ragazzini che pullulavano nelle strade umide e mal illuminate della capitale inglese. Fin da subito, infatti, era rimasto affascinato dalle scoperte archeo
logiche che lo storico dell’arte Henry Layard e altri britannici stavano facendo nell’attuale Iraq. Il giovane George passava quindi molte ore a contemplare le tavolette cuneiformi esposte nelle teche del British Museum, nelle nuove sale che erano state aperte proprio per mostrare al pubblico tali ritrovamenti.
Henry Rawlinson, responsabile della collezione orientale del museo, notò con stupore quel ragazzo che rimaneva a lungo col naso incollato alle vetrine che contenevano le tavolette ma che non mostrava, invece, troppo interesse per altri reperti più impressionanti, come le sculture e le rappresentazioni di re, dèi e animali fantastici assiri. Dopo aver verificato il talento naturale del giovane Smith, nel 1861 Rawlinson convinse i responsabili del museo ad assumerlo per restaurare e organizzare le tavolette, molte delle quali provenivano dagli scavi di Nimrud e Ninive.
George imparò velocemente la grafia e la lingua sumera e accadica dei testi, tanto da diventare, in solo pochi anni, un esperto.
La scoperta
Era da molto tempo ormai che Smith osservava le migliaia di tavolette che si accumulavano nelle casse polverose del museo quando, alla fine, un giorno una di queste attirò la sua atten- zione. Era rettangolare, di dimensioni medie e spezzata in diagonale.
Nonostante apparentemente fosse identica a tantissime altre tavolette che erano ammassate in scatole
di legno, questa conteneva delle linee di testo che facevano riferimento al racconto biblico del Diluvio Universale. George aveva già trovato un’altra tavoletta proveniente da Ninive che faceva cenno allo stesso racconto e stava appunto cercando dei testi simili.
Come lui stesso ricorderà più tardi:
«Lavorando con i frammenti trovai quasi subito la metà di una tavoletta interessante che aveva conte- nuto, originariamente, sei colonne di testo. A una lettura rapida della terza colonna, lo sguardo mi cadde sulla notizia che la nave s’era arenata sul monte Nisir, e sulla seguente informazione dell’invio di una colomba che non riusciva a trovare un posto dove posarsi e tornava indietro.
Riconobbi subito di avere scoperto, almeno in parte, il racconto caldeo del Diluvio. Trovai il frammento di un altro esemplare del raccon- to del Diluvio che conteneva anch’esso l’invio degli uccelli. Così raccolsi altri frammenti della stessa tavoletta fino a ricostruire la maggior parte della seconda colonna. Poi furono scoperti dei frammenti di un terzo esemplare: mettendoli insieme formavano una parte considerevole della prima e della sesta colonna.
Fu così che ottenni il racconto del Diluvio».
Si narra che quando ebbe questa prima intuizione l’e- mozione di Smith fu tale che iniziò a correre per la stanza e a togliersi i vestiti, sotto lo sguardo attonito dei colleghi.
L’esclusiva
George Smith aveva ritrovato il racconto del Diluvio Universale così com’è narrato nell’Epopea di Gilgamesh, una delle opere letterarie più antiche dell’umanità [si tratta di un ciclo epico sumero scritto intorno al 2500 a.C.]. Così l’archivista Smith riuscì a dimostrare, per
la prima volta nella storia, che i racconti della Genesi erano riportati da documenti che erano estranei e precedenti alla redazione del testo biblico.
Dunque è facile intuire che nell’Europa del XIX secolo l’impatto di queste scoperte fu straordinario e non solo tra studiosi, universitari e accademici, ma anche nell’opinione pubblica.
Visto il subbuglio che stava provocando la questione, i responsabili di un importante quotidiano di Londra, il Daily Telegraph, fecero a Smith una proposta che gli dovette sembrare incredibile: gli avrebbero finanziato per intero le spese del viaggio e degli scavi se fosse andato in Iraq a cercare altri testi che contenessero quelle meravigliose leggende. In cambio il filologo si impegnava a concedere tutte le esclusive al rotocalco londinese.
Nel 1873 Smith partì quindi per il Medio Oriente circondato dalla fama che aveva riscosso grazie al Telegraph. Il viaggio in Mesopotamia però non fu per niente facile: il giovane archivista non era abituato a viaggiare e si ammalava di continuo a causa del cibo e del clima.
Un ago in un pagliaio A Mosul Smith si perse nel labirinto burocratico dell’Impero ottomano, di cui allora faceva parte l’attuale Iraq. Gli scavi partirono con vari mesi di ritardo. Nonostante ciò,
In Iraq Smith, poco abituato a viaggiare, contrasse varie malattie per colpa del clima e del cibo
dopo pochi giorni dall’inizio dei lavori Smith scoprì nuovi frammenti di un racconto che chiamò “l’inondazione primigenia”, appartenenti a un’opera sconosciuta, il Poema di Atrahasis.
Il Telegraph pubblicò l’esclusiva del ritrovamento ma, vedendo che le sue aspettative erano state soddisfatte, decise di interrompere gli aiuti al giovane filologo. Quindi Smith tornò a Londra con 384 frammenti di tavolette di argilla, tra cui quelle che completavano il racconto del Diluvio. Non fu però il suo ultimo viaggio in Iraq, dove l’archivista riuscì a tornare in altre due occasioni.
Durante la seguente visita, nel 1874, scoprì nuovi frammenti relativi al mito della creazione dell’uomo, alla Torre di Babele e ad altre leggende che avevano a che fare con la Bibbia.
La malattia Nell’agosto del 1876, di ritorno dal suo terzo viaggio nel nord dell’Iraq, Smith si ammalò di dissenteria in Siria. Il caldo estivo aggravò la malattia, tanto che nel giro di qualche giorno non era più in grado neanche di montare a cavallo. Il suo assistente lo sistemò nel modo più comodo possibile in un villaggio chiamato Ikisji, a circa 70 chilometri a nord-est di Aleppo. Immediatamente si diresse verso la città per cercare un medico che parlasse inglese. Purtroppo trovò solo il dentista John Parsons, che non poté fare molto per alleviare il dolore del malato.
In quelle circostanze l’unica soluzione era portarlo ad Aleppo, per cui prepararono un tatravan, un seggiolino coperto sul dorso di una mula, affinché Smith potesse viaggiare con una certa comodità e allo stesso tempo proteggersi dal sole, cocente in quel periodo dell’anno e a quelle latitudini.
Tuttavia era già troppo tardi: durante il tragitto il giovane assirologo britannico che aveva scoperto l’Epopea di Gilgamesh entrò in agonia e morì. Aveva solo trentasei anni; lasciava una moglie e sei figli.
Una tomba in Siria All’inizio il cadavere di George Smith fu sepolto ad Aleppo, vicino all’ospedale protestante che sorgeva in un antico terreno abbandonato alla periferia della città.
Qualche anno dopo, però, tutti i resti che erano stati sepolti in quel piccolo cimitero furono spostati in un nuovo camposanto. La tomba definitiva fu indicata con una modesta lapide che col-
locò un altro archeologo, nonché scrittore londinese, Max Mallowan, marito di Agatha Christie, su incarico del British Museum.
Il passare del tempo cancellò la memoria della tomba di Smith, che fu riscoperta dall’autore di queste righe qualche anno fa e che si trova nel cimitero di al-Shaykh al-Maqsudi.
Lì è possibile vedere la piccola lapide di marmo rossastro, a forma di libro aperto, con un’iscrizione che ricorda i meriti di Smith e il suo servizio a favore della diffusione della conoscenza.