Una mappa di Roma incisa nel marmo
Collocata in una delle sale del Tempio della Pace, riproduceva tutti i monumenti di Roma
Nell’antica Roma i templi avevano di solito una funzione al contempo religiosa, associativa e amministrativa. Questo era il caso del Tempio della Pace, eretto tra il 71 e il 75 d.C. dall’imperatore Vespasiano per commemorare la conquista di Gerusalemme. All’interno del recinto, oltre alla cappella per la statua della Pace, si trovavano anche la sede della Prefettura Urbana di Roma e la Biblioteca della Pace, in cui si conservavano i documenti dell’amministrazione della città. Il tempio disponeva inoltre di una sala più piccola, nella quale probabilmente lavoravano i funzionari che dipendevano dal prefetto urbano. E proprio su una parete di questo spazio era stata collocata, sotto Settimio Severo, una mappa di Roma di dimensioni impressionanti: 13 metri di altezza per 18 di larghezza. Formata da 150 lastre di marmo disposte su 11 file, è conosciuta come Forma Urbis Marmorea, ovvero la pianta marmorea di Roma.
Data la sua collocazione, si è sempre pensato che la mappa venisse utilizzata come registro catastale o fiscale. Lo stato romano possedeva un sofisticato sistema fiscale che registrava le proprietà immobiliari in funzione della superficie, dell’altezza e delle linee di facciata, o anche degli orari di concessione d’uso dell’acqua pubblica. A questo scopo i funzionari disponevano di mappe, generalmente rotoli di pergamena conservati in armadi di legno. Sicuramente ne esistevano anche in bronzo e in marmo, un materiale, quest’ultimo, in grado di offrire più garanzie di sopravvivenza ai frequenti incendi che devastavano la città.
Mappa dettagliata di Roma
La Forma Urbis del Tempio della Pace fu elaborata senza dubbio a partire dalle informazioni contenute nelle mappe di pergamena usate presso l’amministrazione romana, che si custodivano negli archivi della Prefettura. Per riportare tali dati sulla nuova mappa, venne utilizzato un
sistema specifico di segni: linee per contrassegnare un limite o un muro, punti per indicare una colonna o un albero, quadrati per simboleggiare pilastri o colonne... Tuttavia, la pianta marmorea del Tempio della Pace non era un catasto. Lo prova il fatto che nella mappa vengono indicati solo gli edifici pubblici; l’unica eccezio- ne è la casa di Lucio Fabio Cilone, il prefetto imperiale di origine ispanica che probabilmente fu incaricato di realizzare la mappa. A differenza di quanto accadeva per le mappe usate dai funzionari, non risultano le misure delle facciate degli edifici; del resto la scala grafica della pianta – 1:240 piedi – non consentiva di includere molti dettagli. Se dunque la Forma Urbis non aveva una funzione pratica, bisogna ipotizzare che ne avesse un’altra, di tipo simbolico. È significativo il fatto che la mappa non riproduca tutta la città di Roma, ma solo la parte più monumentale: il centro storico, il cuore della dignità civica del popolo roma- no. Per i romani la fondazione di una città e ogni opera pubblica avevano un carattere sacro, dal momento che qualsiasi modifica della natura necessitava del permesso degli dèi: la mappa del Tempio della Pace si potrebbe quindi interpretare come un modo per fissare in maniera duratura la posizione dei monumenti che determinavano il carattere sacro della città.
Migliaia di pezzi
Secondo lo studioso Filippo Coarelli, al tempo di Augusto doveva esistere una mappa simile in bronzo, di cui però non si conserva alcun resto. Probabilmente era stata elaborata per
rappresentare i quattordici distretti nei quali Augusto aveva diviso Roma, così come le numerose costruzioni e trasformazioni intraprese dal primo imperatore. Questa pianta venne rinnovata perlomeno una volta all’epoca degli imperatori Flavi, alla fine del I secolo d.C., quando fu collocata nel nuovo Tempio della Pace. Tuttavia, fu distrutta dall’incendio che devastò l’edificio nell’anno 192, per essere poi ricostruita da Settimio Severo intorno al 207 nello stesso posto e, in teoria, anche con le stesse dimensioni. In alcuni frammenti sono stati ritrovati resti di pittura rossa, che corrisponderebbero ai limiti dei distretti. Nel IV e V secolo la mappa cadde in disuso e la parete sulla quale erano fissati i marmi subì il primo saccheggio. Nel corso dei secoli si conservò comunque una parte importante dell’opera, ovvero il settore centrale della parete.
Durante gli scavi nel Foro Romano promossi nel 1562 dalla famiglia Farnese, insieme alla chiesa dei Santi Cosma e Damiano fu recuperata anche la maggior parte dei marmi tuttora conservati della grandiosa mappa. Questi furono successivamente trasportati a Palazzo Farnese, dove vennero copiati e ammirati dagli architetti e dai topografi romani. Da allora non hanno smesso di apparire nuovi frammenti; l’ultimo fu scoperto nel 2016 nel Palazzo Maffei Marescotti. In totale si è giunti a individuare 1.200 frammenti, che si stima costituiscano tra il dieci e il quindici per cento del totale dell’opera. La Forma Urbis – chiamata anche Forma Capitolina perché i suoi resti si conservano nei Musei Capitolini di Roma – testimonia ancora oggi la profezia dei suoi dèi fondatori: la città durerà fino a quando il suo perimetro e la sua magnificenza urbana resteranno immutati. E così continua a essere a 2.770 anni dalla fondazione della città.