LA DUCHESSA D’ALBA
ro impresse nella serie di incisioni intitolata I disastri della guerra. Iniziata in pieno conflitto e terminata verso il 1815, la serie non venne pubblicata fino al 1863. Ben oltre il suo valore documentale, I disastri della guerra è una riflessione in chiave universale sulla violenza e sulla crudeltà umana.
Alla fine del conflitto realizzò i due famosi dipinti Il 2 maggio 1808 a Madrid: la lotta contro i mamelucchi, e Il 3 maggio 1808 a Madrid: le fucilazioni nella montagna del principe Pío. Erano due opere di propaganda patriottica con le quali l’artista voleva «tramandare, attraverso il pennello, le più importanti ed eroiche azioni o scene della nostra gloriosa insurrezione contro il tiranno d’Europa». Al contempo, presentandole come se fossero scene viste da un testimone e suscitando in questo modo una maggiore empatia nel pubblico, Goya demistificava la magniloquenza della pittura di tematica storica.
La guerra pose Goya davanti a un dilemma: l’atteggiamento che avrebbe dovuto assumere nei confronti dell’occupazione francese. Alcuni intellettua- Nel 1795 Goya dipinse questo ritratto della sua amica, musa e benefattrice, la duchessa d’Alba, con la quale forse ebbe una storia sentimentale. Palacio de Liria, Madrid. li “francofili” puntarono sul nuovo regime di Giuseppe Bonaparte, nel quale vedevano un superamento dell’assolutismo e dell’intolleranza religiosa della precedente monarchia borbonica. Goya condivideva quest’atteggiamento critico, ma non per questo si spinse fino ad appoggiare il nuovo governo. Come tanti altri cittadini, l’aragonese tentò di adattarsi il meglio possibile alla situazione, evitando di entrare in conflitto con le autorità competenti. In pubblico si mostrò sempre prudente e lavorò indistintamente per una parte e per l’altra; il suo obiettivo era poter garantire una vita tranquilla a sé stesso e alla propria famiglia.
Questo atteggiamento fece sì che, una volta terminata la guerra, con il rientro di Ferdinando VII dall’esilio e la restaurazione dell’assolutismo, Goya venisse a trovarsi in una situazione delicata. Nel 1815 il pittore fu sottoposto a un processo per accertare il suo livello di coinvolgimento con il governo napoleonico. Gli venne rimproverato, tra le varie accuse, di aver giurato fedeltà a Giuseppe Bonaparte, di aver partecipato all’insediamento del marchese di Almenara – un noto sostenitore dei francesi – come protettore della Reale Accademia di Belle Arti di San Fernando e di aver partecipato, insieme ad altri illustri pittori, alla selezione dei quadri della scuola spagnola destinati al museo di Napoleone a Parigi. Se poté uscirne indenne fu solo grazie alla sua vecchia amicizia con il duca di San Carlo, incaricato dell’epurazione del personale della casa reale. Ciononostante,