Quando Roma era una città spopolata
La città eterna ha rischiato di non esserlo affatto: uno sguardo al collasso di Roma dopo la caduta dell’impero romano
Roma ha due celebri facce, quella classica imperiale e quella sgargiante dei papi. Ma fra lo splendore dei due periodi si nasconde quasi un millennio in cui era moribonda. All’apogeo dell’impero, verso il II secolo d.C., la città ospitava più di un milione di abitanti. Tuttavia, verso la fine del VI secolo erano rimasti solo 20mila sopravvissuti a una moltitudine di guerre, carestie e pestilenze. Se n’erano andati i mercanti, i marinai, le prostitute, i lavoratori e la plebe, mentre la nobiltà era salpata per Costantinopoli. Roma non era più caput mundi. Anzi, era governata come una provincia dell’impero bizantino.
La Roma di Gregorio Magno
È così che la trovò Gregorio Magno nel 590 d.C., l’anno della sua elezione al trono di Pietro: una città in bilico fra un glorioso e
intimidatorio passato e un presente di abbandono. Tanto che lo stesso Gregorio ne parlava usando i simboli dell’impero caduto: «Roma è diventata calva come un’aquila che ha perduto le piume».
Vista dall’alto delle colline, la città aveva ancora l’affascinante skyline del suo glorioso passato: svettavano le statue mastodontiche, le piazze ricoperte di marmo, le colonne decorate, i tetti di bronzo sgargianti, le ville patrizie e le insule, i condomini della plebe. Eppure, era una città fantasma: le vie erano ricoperte di muschio e i palazzi avvolti dall’edera, abitati da volpi e gufi. Il Tevere era straripato molte volte e l’assenza di manutenzione aveva fatto sì che uno strato di fango indurito rivestisse le strade.
Uno degli edifici più imponenti, l’anfiteatro Flavio, ovvero il Colosseo, aveva chiuso i battenti da anni. Gli ultimi spettacoli risalivano a circa sessant’anni prima, ossia al tempo di Teodorico, che aveva fatto tumulare i sotterranei per non doverne pagare la manutenzione. Di fronte al Colosseo si stagliava ancora la statua di Nerone, che era alta 34 metri, aveva dieci piani ed era tutta in bronzo. Era lei il colosso da cui l’anfiteatro prende il nome. Un tempo doveva essere stata abbagliante, ma dopo tanta incuria era annerita dal tempo e le mancavano le braccia: si dice che fu proprio il pontefice Gregorio Magno ad aver dato ordine di mutilarla per recuperare il metallo e fonderlo. Negli anni successivi Gregorio Magno completerà il lavoro prendendosi il resto. Era un papa devoto e pragmatico che, alla rimozione di un falso dio,
univa il profitto del metallo prezioso per aiutare i poveri della città.
Il bosco invade la città
La via Sacra parte ai piedi del Colosseo e arriva fino all’altro cuore monumentale di Roma, il Campo Marzio: si stagliavano all’epoca le imponenti basiliche – dove un tempo si riunivano i commercianti –, gli enormi teatri di Pompeo e di Marcello e le lussuose terme di Agrippa.
La lista della magnificenza è lunga, ma la sparuta popolazione non sapeva più che farsene di tanto clamore architettonico. I pochi abitanti, abituatisi