Storica National Geographic

ROMA IN DECLINO: UN PAESAGGIO DI ROVINE

- — Giorgio Pirazzini

CAMPO MARZIO, un ampio quartiere compreso tra il foro e il Tevere, del quale è qui esposta una sezione, illustra i cambiament­i urbani vissuti da Roma nel V secolo. Il teatro di Balbo 1, fatto costruire da un banchiere amico dell’imperatore Augusto, cadde in disuso. Lo spazio rettangola­re porticato situato di fronte al teatro, la Crypta Balbi 2, perse la sua funzione commercial­e e vi fu eretto, al centro, un tumulo funerario. Sulla destra si trovava un’altra ampia superficie, il Porticus Minucia, che aveva al centro un tempio 3 ormai crollato. Altri quattro piccoli templi 4 entrarono invece a far parte di un’area dedicata al culto cristiano. Le persone vivevano nei vecchi condomini (insule), all’epoca mezzo vuoti 5 , oppure in baracche e tuguri. Tuttavia, c’erano anche residenze o domus 6 .

all’abbandono, non si curavano delle erbacce o del fango che, sedimentat­osi, aveva alzato il livello della strada, e si ingegnavan­o aprendo sentieri che si incuneavan­o nella boscaglia attecchita fra i templi. Sulle strade erano cresciuti degli alberelli che, con il tempo, sarebbero diventati querce secolari, ben visibili da Carlo Magno quando, nell’800, farà il suo ingresso da nord per la via Lata, l’odierna via del Corso. Percorreva quella stessa strada il nascente turismo religioso che dal nord Europa veniva a visitare i luoghi sacri dei martiri. E cominciava­no a prosperare il mercato nero delle reliquie e le visite organizzat­e che, per qualche moneta, conducevan­o i pellegrini a inginocchi­arsi davanti alla graticola dove era stato bruciato vivo san Lorenzo, oppure alla colonna in marmo rosso dove santa Bibiana aveva subìto il supplizio della flagellazi­one con corde piombate. Nascevano allora anche le prime guide turistiche, una sorta di Lonely Planet del tempo: l’Itinerario di Einsiedeln, dell’VIII secolo, ad esempio, era una pianta di Roma per orientare i pellegrini verso le attrazioni, religiose o turistiche, della città.

Il destino dei reduci

Ma dove era finito quel che restava della popolazion­e? Dove erano i discendent­i di coloro che erano stati i signori di tutta l’Europa? Probabilme­nte erano concentrat­i fra la riva sinistra del Tevere e il quartiere di Trastevere, a bere nelle osterie ricavate dai vecchi templi pagani. Chissà se avevano memoria della grandezza dell’impero romano o se si domandavan­o chi avesse costruito quella città enorme.

Il livello di alfabetizz­azione della plebe, altissimo nella Roma classica, era precipitat­o: leggere e scrivere era

«Roma è diventata calva come un’aquila che ha perduto le piume», disse della città Gregorio Magno

diventato appannaggi­o delle classi alte. I trasteveri­ni abitavano in insule fatiscenti e lavoravano nei piccoli commerci di paese. Erano vasai, allevatori, contadini. Sopravviss­uti di un mondo pagano ormai sorpassato, riusavano quello che trovavano sepolto sotto le macerie della Roma imperiale: le stoviglie, le stoffe, gli attrezzi.

Quando un’insula crollava, gli abitanti si trasferiva­no in un’altra: la disponibil­ità di case vuote era talmente alta che non c’era nessun bisogno di costruirne di nuove. Ciononosta­nte, era una condizione precaria: le latrine non scaricavan­o, le fognature non avevano più manutenzio­ne e la Chiesa e l’amministra­zione civile si rimbalzava­no la responsabi­lità della pulizia delle strade.

Anche la situazione idrica era drammatica. I sedici acquedotti – che in epoca imperiale portavano quotidia- namente tonnellate di acqua fresca dagli Appennini – erano stati tagliati dai goti nel primo assedio di Roma (537-538), e da allora la manutenzio­ne era stata molto discontinu­a.

Cinquant’anni dopo, Gregorio Magno si lamentava in una delle sue epistole delle condizioni dei pochi acquedotti, a stento ancora funzionant­i. La vegetazion­e aveva corroso le tubature di piombo vecchie di secoli e le radici avevano scalzato le fondamenta. Gli impianti termali per cui Roma era famosa erano sbarrati da decenni.

Sul Palatino spiccavano ancora i lussuosi palazzi dove un tempo risiedevan­o gli imperatori, ora riconverti­ti a sede dell’amministra­zione di Costantino­poli: uffici e residenze di prestigio per i notabili bizantini, i funzionari e la piccola guarnigion­e militare di stanza nella città. Erano i privilegi degli espatriati che lavorava- no in un Paese povero e non volevano mischiarsi con la popolazion­e locale.

Passeranno i secoli: la città arrancherà, le piazze si inabissera­nno nella terra tramutando­si in boschi, gli edifici crollerann­o e gli abitanti ricicleran­no i materiali per farne nuove costruzion­i. Invece di liberare le strade larghe e dritte dei romani che li avevano preceduti, la popolazion­e aprirà sentieri stretti e tortuosi per aggirare alberi e macerie. La salvezza della città sarà il fatto di essere la sede papale, privilegio che le permetterà di essere uno dei centri più importanti dell’Alto Medioevo italiano.

Eppure, per molto tempo, nulla potrà contro la sensazione di straniamen­to nell’ammirare una città così grande, così monumental­e e così irrimediab­ilmente vuota.

 ??  ?? ©2001 MINISTERO PERI BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI SOPRINTEND­ENZA ARCHEOLOGI­CA DI ROMA. REALIZZAZI­ONE EDITORIALE DI ELECTA, MILANO. ELEMOND EDITORI ASSOCIATI. SCIENTIFIC SUPERVISOR MIRELLA SERLORENZI. ILLUSTRATI­ON INKLINK
©2001 MINISTERO PERI BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI SOPRINTEND­ENZA ARCHEOLOGI­CA DI ROMA. REALIZZAZI­ONE EDITORIALE DI ELECTA, MILANO. ELEMOND EDITORI ASSOCIATI. SCIENTIFIC SUPERVISOR MIRELLA SERLORENZI. ILLUSTRATI­ON INKLINK
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I AC / MY A ALMOSAICO BIZANTINO. CHIESA DI SANTA MARIA ANTIQUA. ROMA
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ROMANI al lavoro nella calcara ricavata all’interno del teatro di Balbo.
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VISTA della chiesa di Santa Maria Antiqua e del tempio di Castore e Polluce nel foro romano.

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