ROMA IN DECLINO: UN PAESAGGIO DI ROVINE
CAMPO MARZIO, un ampio quartiere compreso tra il foro e il Tevere, del quale è qui esposta una sezione, illustra i cambiamenti urbani vissuti da Roma nel V secolo. Il teatro di Balbo 1, fatto costruire da un banchiere amico dell’imperatore Augusto, cadde in disuso. Lo spazio rettangolare porticato situato di fronte al teatro, la Crypta Balbi 2, perse la sua funzione commerciale e vi fu eretto, al centro, un tumulo funerario. Sulla destra si trovava un’altra ampia superficie, il Porticus Minucia, che aveva al centro un tempio 3 ormai crollato. Altri quattro piccoli templi 4 entrarono invece a far parte di un’area dedicata al culto cristiano. Le persone vivevano nei vecchi condomini (insule), all’epoca mezzo vuoti 5 , oppure in baracche e tuguri. Tuttavia, c’erano anche residenze o domus 6 .
all’abbandono, non si curavano delle erbacce o del fango che, sedimentatosi, aveva alzato il livello della strada, e si ingegnavano aprendo sentieri che si incuneavano nella boscaglia attecchita fra i templi. Sulle strade erano cresciuti degli alberelli che, con il tempo, sarebbero diventati querce secolari, ben visibili da Carlo Magno quando, nell’800, farà il suo ingresso da nord per la via Lata, l’odierna via del Corso. Percorreva quella stessa strada il nascente turismo religioso che dal nord Europa veniva a visitare i luoghi sacri dei martiri. E cominciavano a prosperare il mercato nero delle reliquie e le visite organizzate che, per qualche moneta, conducevano i pellegrini a inginocchiarsi davanti alla graticola dove era stato bruciato vivo san Lorenzo, oppure alla colonna in marmo rosso dove santa Bibiana aveva subìto il supplizio della flagellazione con corde piombate. Nascevano allora anche le prime guide turistiche, una sorta di Lonely Planet del tempo: l’Itinerario di Einsiedeln, dell’VIII secolo, ad esempio, era una pianta di Roma per orientare i pellegrini verso le attrazioni, religiose o turistiche, della città.
Il destino dei reduci
Ma dove era finito quel che restava della popolazione? Dove erano i discendenti di coloro che erano stati i signori di tutta l’Europa? Probabilmente erano concentrati fra la riva sinistra del Tevere e il quartiere di Trastevere, a bere nelle osterie ricavate dai vecchi templi pagani. Chissà se avevano memoria della grandezza dell’impero romano o se si domandavano chi avesse costruito quella città enorme.
Il livello di alfabetizzazione della plebe, altissimo nella Roma classica, era precipitato: leggere e scrivere era
«Roma è diventata calva come un’aquila che ha perduto le piume», disse della città Gregorio Magno
diventato appannaggio delle classi alte. I trasteverini abitavano in insule fatiscenti e lavoravano nei piccoli commerci di paese. Erano vasai, allevatori, contadini. Sopravvissuti di un mondo pagano ormai sorpassato, riusavano quello che trovavano sepolto sotto le macerie della Roma imperiale: le stoviglie, le stoffe, gli attrezzi.
Quando un’insula crollava, gli abitanti si trasferivano in un’altra: la disponibilità di case vuote era talmente alta che non c’era nessun bisogno di costruirne di nuove. Ciononostante, era una condizione precaria: le latrine non scaricavano, le fognature non avevano più manutenzione e la Chiesa e l’amministrazione civile si rimbalzavano la responsabilità della pulizia delle strade.
Anche la situazione idrica era drammatica. I sedici acquedotti – che in epoca imperiale portavano quotidia- namente tonnellate di acqua fresca dagli Appennini – erano stati tagliati dai goti nel primo assedio di Roma (537-538), e da allora la manutenzione era stata molto discontinua.
Cinquant’anni dopo, Gregorio Magno si lamentava in una delle sue epistole delle condizioni dei pochi acquedotti, a stento ancora funzionanti. La vegetazione aveva corroso le tubature di piombo vecchie di secoli e le radici avevano scalzato le fondamenta. Gli impianti termali per cui Roma era famosa erano sbarrati da decenni.
Sul Palatino spiccavano ancora i lussuosi palazzi dove un tempo risiedevano gli imperatori, ora riconvertiti a sede dell’amministrazione di Costantinopoli: uffici e residenze di prestigio per i notabili bizantini, i funzionari e la piccola guarnigione militare di stanza nella città. Erano i privilegi degli espatriati che lavorava- no in un Paese povero e non volevano mischiarsi con la popolazione locale.
Passeranno i secoli: la città arrancherà, le piazze si inabisseranno nella terra tramutandosi in boschi, gli edifici crolleranno e gli abitanti ricicleranno i materiali per farne nuove costruzioni. Invece di liberare le strade larghe e dritte dei romani che li avevano preceduti, la popolazione aprirà sentieri stretti e tortuosi per aggirare alberi e macerie. La salvezza della città sarà il fatto di essere la sede papale, privilegio che le permetterà di essere uno dei centri più importanti dell’Alto Medioevo italiano.
Eppure, per molto tempo, nulla potrà contro la sensazione di straniamento nell’ammirare una città così grande, così monumentale e così irrimediabilmente vuota.