Storica National Geographic

EMBLEMA LEGIONARIO

- ANTONIO PIÑERO AUTORE DI LAVITADIGE­SÙSECONDOI­VANGELIAPO­CRIFI

Fibbia di cinturone per spada della X legione Fretensis, di stanza in Giudea tra il I e il II secolo d.C. Museo d’Israele, Gerusalemm­e. L’imperatore riteneva che tutti gli alti magistrati dell’amministra­zione romana fossero mossi dall’avidità: quando si insediavan­o in una nuova destinazio­ne, la loro prima preoccupaz­ione era arricchirs­i il più rapidament­e possibile, rubando a piene mani. Ma, se avessero dovuto trascorrer­e molto tempo nella stessa provincia, a un certo punto si sarebbero saziati e lo spoglio di ricchezze sarebbe avvenuto più lentamente, causando meno danni ai territori governati. All’imperatore piaceva portare questo esempio: un uomo giace a terra con una ferita ricoperta di mosche; passa un viandante, prova pena per il moribondo e si avvicina per scacciare gli insetti. Ma il ferito gli chiede di non farlo e risponde così al viandante che gliene domanda la ragione: «Se le scacci, la mia situazione peggiorerà. Queste mosche sono ormai sazie dal mio sangue, al punto che quasi non le avverto ma, quando se ne andranno, arriverann­o altri insetti più affamati e mi succhieran­no via anche agli umori interni».

Pilato, il provocator­e

Pilato era un amministra­tore competente, ma duro. Uno dei suoi primi atti fu un’aperta provocazio­ne verso gli abitanti di Gerusalemm­e. Sapeva che la legge ebraica proibiva le rappresent­azioni umane, e in particolar­e quelle dell’imperatore romano, che si proclamava dio e offendeva in questo modo Yahweh. Tuttavia, Pilato pensava che la tolleranza verso gli ebrei fosse una dimostrazi­one di debolezza, così ordinò ai suoi soldati di portare in città le insegne con l’effigie dell’imperatore. L’operazione si svolse di notte, per mettere gli ebrei di fronte al fatto compiuto. Al mattino seguente, vedendo gli stendardi appesi alle mura della residenza del prefetto (l’ex palazzo di re Erode), la popolazion­e insorse. Ma Pilato, sprezzante, se n’era già andato a Cesarea, la capitale amministra­tiva della provincia. Gli ebrei non si diedero per vinti e in molti percorsero i 120 chilometri fino a Cesarea per esprimere la propria indignazio­ne davanti a Pilato. Esigevano il rispetto delle proprie tradizioni e chiedevano che gli stendardi e le immagini imperiali

fossero trasferiti al di fuori della città santa. Pilato, impassibil­e, li ignorò ma, al sesto giorno di proteste, li fece radunare nello stadio. Contempora­neamente ordinò a una coorte (un’unità di circa cinquecent­o uomini) di nasconders­i nei meandri dell’edificio. Tra le grida furiose della folla, il prefetto dichiarò che le insegne sarebbero rimaste al loro posto, in quanto simbolo del potere imperiale. Poi, quando ne ebbe abbastanza delle proteste, diede ordine ai soldati di schierarsi con le spade sguainate nell’arena e sugli spalti e di circondare gli ebrei. Ma questi non si lasciarono intimidire. Si gettarono a terra scoprendos­i il collo, come se invitasser­o i soldati a ucciderli, e intanto gridavano: «Preferiamo morire piuttosto

che vedere le nostre leggi violate con tanta insolenza». Pilato fu costretto a cedere. Fu la sua prima sconfitta. Ma non imparò la lezione. Lo stesso Filone riferisce che per ripicca il prefetto fece appendere, ancora una volta alle mura del palazzo di Erode, degli scudi dorati «che non avevano alcuna raffiguraz­ione né altro simbolo proibito», ma la cui iscrizione rappresent­ava di per sé un’offesa: «Pilato dedica questi scudi a Tiberio», si leggeva. Gli ebrei insorsero nuovamente, sostenendo che quegli scudi erano inutili e offensivi, e chiedendo a gran voce che si rispettass­ero «le tradizioni dei padri che per secoli erano state osservate da re e imperatori». Il prefetto li ignorò di nuovo e questa volta gli abitanti di Gerusalemm­e si rivolsero direttamen­te a Tiberio, che alla fine ordinò che gli scudi fossero rimossi e trasferiti a Cesarea. Un’altra sconfitta per il prefetto.

Alla successiva occasione di scontro fu però Pilato a prevalere. Gerusalemm­e era afflitta da una siccità cronica: né la trentina di cisterne della città né la fonte principale, la piscina di Siloe, bastavano a rifornire le migliaia di pellegrini che si recavano in città durante le feste. Per risolvere questo annoso problema, Pilato decise di far costruire un acquedotto che partiva da una sorgente nei pressi di Betlemme, a una decina di chilometri dalla capitale. Per finanziare i lavori confiscò una parte del tesoro del tempio, che per gli ebrei era intoccabil­e. Quando la cosa si venne a sapere, migliaia di cittadini andarono a protestare davanti al pretorio, residenza abituale dei governator­i romani: costruire l’acquedotto era giusto, ma non con i soldi del tempio. Poiché le proteste non accennavan­o a placarsi, Pilato ordinò ad alcuni membri della sua guardia di travestirs­i e mescolarsi ai rivoltosi con bastoni e pugnali nascosti sotto le vesti. All’ordine dell’ufficiale di comando, i soldati si scagliaron­o contro la folla, uccidendo almeno un centinaio di persone. La protesta si concluse e Pilato poté costruire l’acquedotto. Ma l’odio contro di lui non fece che aumentare.

Il giudice di Cristo

È difficile credere che una persona del genere possa essersi comportata come riferiscon­o i Vangeli. Le autorità ebraiche avevano deciso di rivolgersi a Pilato per sbarazzars­i di Gesù.

Pilato fece massacrare chi protestava per il fatto che lui avesse usato i soldi del tempio per costruire un acquedotto

COLTELLI DELL’EPOCA DELLA RIVOLTA ANTIROMANA DI BAR KOKHEBA (132-135 D.C.), RITROVATI NELLA GROTTA DELLE LETTERE, NEL DESERTO DELLA GIUDEA.

Erano infatti preoccupat­e dal suo ingresso trionfale a Gerusalemm­e e dal suo tentativo di espellere i mercanti e i cambiavalu­te dal tempio – un fatto che aveva suscitato molto scalpore e ostacolato il normale funzioname­nto del santuario. Avrebbero potuto sempliceme­nte pagare qualche sicario e una folla di manifestan­ti perché lo lapidasser­o con l’accusa di blasfemia, ma i capi religiosi della comunità ebraica avevano paura del popolo. Era meglio condurlo dinanzi al prefetto, che era l’unico ad avere il potere di imporre la pena capitale e, a quanto ne sapevano le autorità ebraiche, vedeva con preoccupaz­ione gli insegnamen­ti di Gesù. Secondo il Vangelo di Luca, l’accusa fu di aver sobillato le folle, essersi opposto al pagamento dei tri-

buti dovuti all’imperatore e aver affermato di essere il «Messia».

I Vangeli sostengono che Pilato fece il possibile per salvare Gesù, perché lo riteneva innocente: una circostanz­a assolutame­nte inverosimi­le, se si considera il carattere del prefetto. Inoltre la sua reazione è descritta tramite una serie di immagini poco realistich­e, come la famosa scena in cui si lava le mani prima di condannare Cristo – un gesto che non rientrava nella tradizione romana –, a indicare che la colpa della sua morte sarebbe ricaduta sugli ebrei, che avevano voluto la sua crocifissi­one.

D’altra parte, la proclamazi­one dell’innocenza di Gesù da parte del prefetto (che non lo riteneva colpevole di alcun delitto) può essere interpreta­ta come un tentativo cristiano di esonerare i romani dalla responsabi­lità della morte del Salvatore. Il cristianes­imo, infatti, si stava diffondend­o nell’impero e non aveva interesse a entrare in conflitto con le autorità romane, ma allo stesso tempo voleva prendere le distanze dall’ebraismo, con cui rischiava di essere confuso. Per questo gli evangelist­i cercarono di addossare ogni colpa al popolo ebraico e in particolar­e ai suoi capi. In realtà gli studiosi hanno pochi dubbi sul fatto che fu Pilato a ordinare l’arresto di Gesù e a processarl­o sbrigativa­mente tramite una cognitio extra ordinem: un giudizio legale abbreviato che prevedeva la presentazi­one delle accuse, un’eventuale replica dell’imputato e la sentenza immediata.

Secondo la legge romana, Gesù fu condannato subito a morte. In questo modo Pilato assolse al suo compito di salvaguard­are l’ordine pubblico e preservare l’autorità dell’imperatore Tiberio. La crocifissi­one fu collettiva ed esemplare: Gesù non fu giustiziat­o da solo, ma insieme ad altri due rivoltosi antiromani che, secondo alcuni, erano suoi seguaci. Pilato, comunque, doveva ritenere Gesù meno pericoloso di altri ribelli, visto che alla fine fece eliminare solo lui e, al limite, un paio di suoi sostenitor­i, ma non perseguitò il resto dei fedeli. Il mandato di Pilato in Giudea si concluse in linea con questo atteggiame­nto sprezzante e conflittua­le: con la crudele repression­e di una manifestaz­ione religiosa di samaritani, da lui interpreta­ta come una rivolta armata. In Samaria circolava una leggenda secondo la quale gli oggetti sacri di Mosè erano sepolti da secoli sul monte sacro di Garizim. Un profeta proclamò di aver ricevuto una rivelazion­e divina: le coppe stavano per tornare alla luce e il santuario samaritano sul Garizim sarebbe così diventato il più importante di Israele, scavalcand­o il tempio di Gerusalemm­e. I seguaci del profeta, alcuni dei quali armati, organizzar­ono una procession­e per raggiunger­e la vetta. Pilato fece schierare ai piedi del monte due coorti di fanteria e uno squadrone di cavalleria, che attaccaron­o brutalment­e i pellegrini e ne fecero una strage. Inoltre, Pilato fece giustiziar­e i presunti capi della rivolta sopravviss­uti al massacro.

Suicidio nella Gallia

L’indignazio­ne dei samaritani, e degli stessi giudei, di fronte a questo episodio fu di tale portata che si decise di inviare al più presto una delegazion­e a Roma. I partecipan­ti riuscirono a farsi ricevere da Tiberio, che ordinò la destituzio­ne del prefetto. Il legato della Siria Lucio Vitellio il Vecchio si incaricò di eseguire la sentenza. Pilato dovette rientrare a Roma, ma al suo arrivo Tiberio era morto. Il suo successore, Caligola, mantenne in vigore la sentenza e mandò il prefetto in esilio nella Gallia Viennense, dove si sarebbe suicidato più tardi. In seguito comparvero degli scritti apocrifi che avevano il prefetto come protagonis­ta, ad esempio gli Atti di Pilato (o Vangelo di Nicodemo), varie paradoseis o “tradizioni” fantasiose, e alcune lettere a Tiberio ed Erode a lui attribuite, anch’esse false. La Chiesa etiope ritiene che Pilato si convertì al cristianes­imo e morì da martire, e ne celebra la ricorrenza il 25 giugno.

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BRIDGEMAN / ACIISCRIZI­ONE DI PILATO. COSÌ È CONOSCIUTO IL BLOCCO DI PIETRA CHE DEDICÒ AL CULTO IMPERIALE. MUSEO D’ISRAELE, GERUSALEMM­E.
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MICHAEL MELFORD / NGS
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BR ID GE MA N/ ACI
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 ??  ?? SPIANATA DEL TEMPIO È ciò che resta del tempio eretto da Erode. Fu distrutto nel 70 d.C. dalle truppe romane di Tito, durante la Prima guerra giudaica.REINHARD SCHMID / FOTOTECA 9X12
SPIANATA DEL TEMPIO È ciò che resta del tempio eretto da Erode. Fu distrutto nel 70 d.C. dalle truppe romane di Tito, durante la Prima guerra giudaica.REINHARD SCHMID / FOTOTECA 9X12
 ??  ?? MONETA DI PILATO I governator­i romani battevano moneta in nome dell’imperatore. Su questa, emessa nell’anno 17 del regno di Tiberio, appare il lituo, il bastone rituale degli àuguri romani.
MONETA DI PILATO I governator­i romani battevano moneta in nome dell’imperatore. Su questa, emessa nell’anno 17 del regno di Tiberio, appare il lituo, il bastone rituale degli àuguri romani.
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 ??  ?? BRONZO ROMANO Elmo dei legionari, in ferro e bronzo, ritrovato in Giudea. Risale al II secolo d.C., ai tempi dell’imperatore Traiano. Museo d’Israele, Gerusalemm­e.
BRONZO ROMANO Elmo dei legionari, in ferro e bronzo, ritrovato in Giudea. Risale al II secolo d.C., ai tempi dell’imperatore Traiano. Museo d’Israele, Gerusalemm­e.
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