ASSI DELL’ AVIAZIONE
LA GRANDE GUERRA VISTA DAI CIELI
Il 5 ottobre 1914 sembrava un giorno come gli altri per il sergente Joseph Frantz e per l’aviatore Louis Quenault, mentre volavano nei pressi di Reims in missione di ricognizione a bordo di un Voisin, un rudimentale aereo con motore posteriore. L’unica novità presente sul velivolo era una mitragliatrice Hotchkiss, precariamente installata accanto all’abitacolo, tra lo stupore e lo scetticismo dei compagni. Frantz e Quenault avvistarono un biposto tedesco Aviatik anch’esso in ricognizione. Come si usava allora, volava disarmato: all’epoca nessuno pensava seriamente di affrontare un combattimento aereo, visto che volare senza schiantarsi era già un miracolo. Un po’ alla volta i due riuscirono ad avvicinarsi al nemico e fecero fuoco. L’effetto del rinculo dell’arma sull’aereo non era particolarmente rassicurante, ma colpirono varie volte l’Aviatik, che cominciò a fumare e si abbassò disegnando una spirale fino a schiantarsi a 15 chilometri da Reims.
Si trattava del primo abbattimento della storia in uno scontro aereo.
Un passato recente
Erano solo 11 anni che i fratelli Wright avevano effettuato il primo volo, a Kitty Hawk (Carolina del Nord), con un aereo basato sugli studi di alcuni progettisti francesi. Ma, anche se i palloni aerostatici e i dirigibili venivano usati con successo da decenni, gli
alti comandi militari di tutti gli eserciti erano concordi nel ritenere che l’aviazione non fosse utile a scopi bellici.
Nonostante lo scetticismo delle alte sfere, l’embrionale forza aerea di vari Paesi si era sviluppata grazie all’entusiasmo di alcuni giovani pionieri. In Francia l’aviazione risvegliò da subito un enorme entusiasmo popolare. Già nel 1909 il ministero della guerra commissionò un Wright Flyer e sollecitò al tempo stesso lo sviluppo di progetti nazionali. Un anno dopo c’erano una trentina di aerei in servizio e 52 piloti militari. Ma all’inizio della Prima guerra mondiale quasi nessuno riteneva che il cielo potesse diventare un campo di battaglia altrettanto o più importante di quello terrestre o navale. Le prime missioni aeree si limitavano alla ricognizione e non furono molto fruttuose: anche se l’aviazione tedesca inviava importantissimi rapporti sulle forze francesi, i comandanti non sempre sapevano come interpretarli. Di fatto, gli stati maggiori diffidavano dell’aviazione e davano maggior credito ai rapporti della cavalleria.
I primi aviatori non avevano affatto quell’aura romantica che li avrebbe circondati alcuni anni dopo: di sicuro non erano considerati degli eroi. L’addetto alla ricognizione era di solito un ufficiale di cavalleria con esperienza nell’osservazione tradizionale, ma privo di conoscenze che gli permettessero di interpretare la prospettiva
aerea. Inoltre, dalla sua postazione aveva una visione spesso molto limitata. Era già tanto se gli aerei riuscivano a volare, rudimentali com’erano. Avevano una struttura di legno rinforzata con cavi metallici e rivestita di tela verniciata con un materiale tensore altamente infiammabile. Il sedile del pilota, di solito in vimini, era posizionato sopra il serbatoio del carburante.
Le superfici mobili per pilotare il velivolo erano controllate da cavi metallici e la strumentazione era quasi inesistente: non c’erano freni e il carrello di atterraggio era fisso, privo di ammortizzatori e non aerodinamico. Questi aerei raggiungevano a stento i 100 km/h e un’altitudine massima approssimativa di 3mila metri. La velocità di salita era piuttosto bassa e l’autonomia di volo non superava le quattro ore.
Il motore: anteriore o posteriore?
Inizialmente i progettisti di aerei si divisero in due grandi scuole: da una parte, c’era chi preferiva il motore posteriore, che non ostruiva la visuale; dall’altra, vi erano i fautori del motore anteriore, una posizione che riduceva la visibilità ma offriva delle prestazioni di volo molto superiori. In quanto alle
ali, i monoplani erano più veloci, ma i biplani erano più maneggevoli e robusti.
Imparare a volare era un’odissea, perché non c’erano aerei progettati per l’addestramento. L’allievo si sedeva dietro all’istruttore come meglio poteva e si limitava ad azionare la barra di comando. Nel giro di pochi giorni effettuava il suo primo volo (che poteva anche essere l’ultimo) in solitaria. Di fatto il maggior pericolo fino alla fine della guerra fu rappresentato dagli incidenti: nei quattro anni di conflitto la Germania perse circa 1.800 aviatori in incidenti avvenuti durante voli di addestramento.
I piloti si proteggevano dagli elementi alla bell’e meglio. L’equipaggiamento di volo all’inizio era molto semplice, simile a quello degli alpinisti. I primi berretti, in pelle, avrebbero presto lasciato il posto ai caschi rigidi, che garantivano una maggiore protezione. In poco tempo si diffusero anche gli occhialini chiusi, che riparavano dal vento ma riducevano la visione periferica (alla fine della guerra vennero fabbricati in vetro infrangibile).
Le tute da volo, le mantelle in pelle e i giacconi erano generalmente accompagnati da spesse pellicce, tranne che in estate. Nel
IMPARARE A VOLARE ERA UN’ODISSEA. MOLTI PILOTI MORIRONO DURANTE VOLI DI ADDESTRAMENTO EFFETTUATI CON AEREI RUDIMENTALI E MAL EQUIPAGGIATI
complesso, l’uniforme di volo dell’epoca era tutto meno che ergonomica. Volare era già di per sé pericoloso, ci mancava soltanto lo scontro aereo con un nemico!
Prime scaramucce
Alla fine del 1914 lo stallo sul fronte occidentale favorì la comparsa di aerei che cercavano di impedire i voli di ricognizione dei velivoli nemici. Si arrivò quindi inevitabilmente ai primi scontri, che ebbero luogo con mezzi ancora molto rudimentali, come quelli utilizzati da Frantz e Quenault.
Nell’estate del 1915 i tedeschi fecero un salto qualitativo con l’introduzione del Fokker Eindecker (un monoplano), il primo aereo nato come un caccia e dotato di una mitragliatrice sincronizzata sul cofano del motore anteriore. Tra i primi a volare con questi apparecchi furono Oswald Boelcke e Max Immelmann, che sarebbero ben presto entrati nella leggenda.
Da quel momento si cominciò a parlare di “flagello dei Fokker”. Questi velivoli avrebbero assicurato la superiorità tecnica dei tedeschi fino alla comparsa del DH2 britannico, un apparato dotato di una mitragliatrice frontale in ottima posizione. Le tattiche di combattimento aereo erano ancora elementari; i capi squadriglia davano l’esempio ai propri uomini ed erano in grado di eseguire manovre tattiche a seconda delle necessità e dell’esperienza acquisita. Era ancora tutto da inventare: non c’erano manuali, e le regole di combattimento dipendevano dall’iniziativa individuale.
La stampa, bisognosa di eroi di fronte alla carneficina dei campi di battaglia, iniziò a trovare negli aviatori una fonte inesauribile di campioni. Quando Roland Garros abbatté il suo terzo aereo, i giornali lo soprannominarono l’«asso»: questo termine passò ben presto a designare in campo alleato chi aveva abbattuto almeno cinque velivoli nemici. I
tedeschi utilizzavano invece l’espressione kanone per definire i piloti che avevano ottenuto dieci vittorie.
Temerari ma con glamour
La vita di un pilota era molto diversa da quella di trincea. Di solito gli aviatori godevano di comodità impensabili per il resto dei combattenti: spesso alloggiavano in castelli o residenze espropriate, dove non mancavano il buon vino, i liquori e i soldati d’ordinanza al proprio servizio. Ma questa vita, in apparenza piena di agi, poteva finire in qualsiasi momento, ovvero quando i piloti ricevevano l’ordine di decollo immediato. Allora salivano a bordo dei propri velivoli già messi a punto dai meccanici, a volte senza neppure il tempo di indossare la basilare uniforme di volo.
In quel momento le parti si invertivano. Durante la Grande guerra le possibilità di sopravvivenza di un pilota erano di molto inferiori a quelle di un soldato sul fronte. Oltre al nemico, era l’aereo stesso a rappresentare un pericolo costante per l’aviatore. Gli aerodromi erano di solito costituiti da prati più o meno pianeggianti,
senza piste vere e proprie e con strutture molto basilari. Naturalmente gli aeromobili di allora non avevano bisogno di grandi mezzi di manutenzione.
Quest’alternanza di momenti di grande tensione e pericolo e di periodi di ozio e relax spingeva i piloti ad approfittare al massimo di questi ultimi. Presto alcuni di loro sarebbero diventati dei personaggi mediatici, icone di un glamour di cui l’atroce guerra di trincea era assolutamente priva. Il francese Georges Guynemer fu uno di questi affascinanti personaggi: progettò la sua automobile, la Torpedo Sigma, che costruì grazie a un’autorizzazione speciale del ministero della guerra, dato che i materiali utilizzati per le auto dovevano in teoria essere riservati allo sforzo bellico. Era un veicolo lussuoso e appariscente, riflesso del volto più affascinante degli assi dell’aria.
Le regole del combattimento
Nel gennaio del 1916 le squadriglie iniziarono ad adottare vere e proprie formazioni di combattimento. I francesi optarono per uno schieramento a“V”per le missioni di bombardamento, con i caccia che si posizionavano a un’altitudine maggiore per scortare gli altri velivoli. Le scelte tattiche dei britannici erano abbastanza simili, mentre i tedeschi utilizzavano gruppi di quattro aerei suddivisi in due coppie ( kette). Per affrontarli, i francesi crearono delle squadriglie di caccia, gli scout, il primo dei quali sarebbe stato il Nieuport Bébé.
Durante la battaglia di Verdun gli scontri per il controllo dei cieli divennero più frequenti e per la prima volta si stabilirono alcune norme generali: i capi conducevano l’attacco, mentre il resto della squadriglia li proteggeva. L’abilità degli assi faceva aumentare la quantità di aerei nemici abbattuti: il numero di vittime tra il resto dei piloti raggiunse proporzioni allarmanti. Fino a quel momento gli scontri aerei erano per lo più incentrati su azioni individuali,
ma stavano per arrivare grandi cambiamenti tattici, frutto dell’esperienza e delle idee dei primi assi. In Germania cominciarono a diffondersi i cosiddetti Dicta Boelcke, una lista di regole di base formulate dal tedesco Oswald Boelcke. Queste norme presto vennero adottate anche dagli altri contendenti e sono rimaste in vigore fino al giorno d’oggi.
Unità d’élite
Dopo aver trascorso un periodo a terra (per ordine dell’alto comandante, che non voleva perdere un altro eroe dopo la morte di Max Immelmann nel giugno del 1916), Boelcke si mise alla guida di una delle prime Jadgstaffel (abbreviate in Jasta). Si trattava di squadriglie specializzate di caccia che mi- ravano a distruggere i nemici per assumere il controllo dei cieli. La Jasta 1 fu creata il 23 agosto del 1916 e, una settimana più tardi, nacque la Jasta 2, agli ordini dello stesso Boelcke, che cominciò ad addestrare altri piloti con cui formò un’unità compatta e aggressiva. In puro stile da cavaliere medievale, il tedesco decollava da solo, all’alba, per abbattere qualche aereo alleato e poi dedicava il resto del mattino alla formazione dei suoi pupilli. Quando la Jasta 2 – dotata dei nuovi caccia biplano Albatros e addestrata a combattere in