L’inattualità del presente I
Moda e arte CON LA MOSTRA «NO LONGER/NOT YET», ALESSANDRO MICHELE, DIRETTORE CREATIVO DI GUCCI, INDAGA SUL SIGNIFICATO DI CONTEMPORANEO. E LO ESPONE A SHANGHAI, CITTÀ SIMBOLO DEL CAMBIAMENTO CONTINUO.
IN UNA CELEBRE BATTUTA di Shanghai Express, per giustificare il suo continuo viaggiare tra Pechino e Shanghai, Marlene Dietrich dice: «Vado a Shanghai a comprarmi un cappello». Nel film di Josef von Sternberg del 1932, il personaggio della Dietrich, la spia avventuriera Magdalen nascosta nei panni della prostituta Shanghai Lily, racconta bene quel centro del contemporaneo dei suoi tempi che, in un misto di politica, diplomazia e spionaggio è stata la città cinese dagli anni Venti fino alla seconda guerra mondiale.
Andando a Shanghai con lo scopo di mostrare la sua idea di contemporaneo, il direttore creativo di Gucci Alessandro Michele dice: «La moda è ossessionata dal futuro, io no. Il futuro è un bel sogno. Si può sognare il futuro, ma credo che la moda debba lavorare sul “qui e ora”».
Un «qui e ora» che racconta la mostra No Longer/not Yet, curata dallo stesso Alessandro Michele e da Katie Grand, fondatrice e direttrice della rivista di moda Love, che, fino al 16 dicembre, al Minsheng Art Museum di Shanghai espone un’idea sul contemporaneo nell’era del sistema globale in cui, per illuminarci il cammino, dobbiamo fare i conti con tecnologia, immaginazione, emozione e, se siamo fortunati, usare la filosofia come strumento per alimentare la nostra ragione, il nostro sentimento e la nostra creatività.
Forte della sua vocazione a raccontare i cambiamenti, Shanghai è oggi l’esperimento più estremo in materia di urba-
nizzazione e di inurbamento, la città che, con i suoi 6.500 km quadrati e circa 24 milioni di abitanti, è il simbolo del cambiamento continuo dell’oggi. Nulla di strano che, invitato dal museo Minsheng a esporre il «mondo Gucci», più che mettere in fila gli abiti, Michele abbia preferito allestire una mostra d’arte che raccoglie quello che per lui è il significato del contemporaneo così come lo sta esponendo da quando è stato chiamato a lavorare su una nuova identità di Gucci.
Quindi, per dare una visione del significato di contemporaneo - questo «Non più/non ancora» con cui soprattutto la moda deve fare i conti - Alessandro Michele ha selezionato le opere di sette artisti internazionali: le cinesi Cao Fei e Li Shurui, le americane Rachel Feinstein e Jenny Holzer, gli inglesi Glen Luchford, Nigel Shafran e Unskilled Worker (nome d’arte di Helen Downie). A ognuno di loro ha dedicato un allestimento e una colonna sonora originale, con musiche composte dai sound designer Steve Mackey e John Gosling.
Per selezionare le opere, come per disegnare la sua moda, Michele è partito da una lezione del filosofo Giorgio Agamben alla facoltà di Architettura dello Iuav di Venezia dal titolo Che cos’è il contemporaneo? (raccolta in un volume edito da Nottetempo, 2008). Dice Agamben che «è davvero contemporaneo chi non coincide perfettamente col suo tempo né si adegua alle sue pretese ed è perciò, in questo senso, inattuale; ma, proprio attraverso questo scarto e questo anacronismo, egli è capace più degli altri di percepire e afferrare il suo tempo. Questa noncoincidenza, questa discronia non significa, naturalmente, che contemporaneo sia colui che vive in un altro tempo…». Una definizione chiara che, mentre si adatta alla job description di un designer di moda, pone domande a chiunque si interroghi sulle espressioni creative dell’oggi.
Così, per Rachel Feinstein, che espone Mr Time, una scultura in carta, sono contemporanei «anche gli artisti che copiano dipinti antichi, perché è impossibile fare arte di un periodo diverso da quello proprio, anche perché tutto è cambiato, dalla vernice alla tecnica». Tanto è vero che la sua scultura è la proiezione di un’altra dallo stesso titolo che, nel 1502, un artista tedesco, che si firmava HL Maestro, ha intagliato nel legno. Se questa riflessione arriva da un’artista di New York cresciuta a Miami con studi alla Columbia University, per Li Shurui che vive a Beijing e ha studiato all’accademia di Sichuan, il contemporaneo «è sempre fugace perché non appena qualcosa è pensato come contemporaneo o di moda, che sia un insieme di valori o di idee o anche teorie scientifiche, si sta già per esaurire. In questo senso, il contemporaneo è un’illusione». E quindi la sua opera, Mindfile Storage Unit, è una «verità soggettiva senza un senso di passato o di futuro» in cui si mescolano idee di muri antichi e di visione odierne.
Un concetto molto legato alla contemporanea situazione cinese? Così sembra, visto che, sempre da Beijing, Cao Fei arriva con il suo significato di contemporaneo fatto di «contraddizione e conflitti. Perdite e nostalgia. Disordine e frammenti» e la sua opera Rumba 2, dove gli aspirapolvere robot girano ininterrottamente, è praticamente una denuncia dell’avanzamento urbano che distrugge la cultura rurale sollevando continuamente polvere, quella delle demolizioni e delle nuove costruzioni che, a loro volta, verranno demolite e ricostruite.
Quindi, quella cinese è un’arte di denuncia non molto diversa da quella della newyorkese Jenny Holzer che porta a Shanghai una proiezione di scritte luminose con concetti che denunciano molte arretratezze culturali che, in Occidente, dovrebbero essere ormai imbarazzanti: «Il denaro crea il gusto», «L’attuale abuso di potere non è una sorpresa», «L’amore romantico è stato inventato per manipolare le donne».
Ma a chiudere il dibattito sul contemporaneo in questa mostra è proprio l’opera di Alessandro Michele che, utilizzando la concretezza del fashion designer, compone la sua opera utilizzando The Boy in Red, il ritratto di un pre-adolescente di indefinita identità sessuale, che ha in mano un breviario che sembra uno smartphone, dipinto da un anonimo artista di epoca elisabettiana. Michele costruisce un’aureola di neon colorati attorno alla cornice e ne fa il santino del nostro contemporaneo: un presente costruito con un passato che sembra presente. La mostra, quindi, visualizza la sfasatura di cui parla Agamben, il meccanismo che ci convince a vivere nel nostro presente e che ci costringe a essere contemporanei dei nostri cambiamenti.