IL CANDIDATO ACCIDENTALE
DONALD TRUMP HA 70 ANNI, i capelli molto colorati (vi ricorda qualcuno?) e potrebbe diventare il prossimo presidente degli Stati Uniti. Nella sua vita ha fatto molti soldi, ha perso molti soldi, ha frequentato molte donne, ha messo insieme, al netto dei grugniti, un vocabolario di non molte parole. Sulla sua acconciatura si è aperto da tempo un appassionante dibattito. Senza entrare nel merito, e pur condividendone le intenzioni (è un riporto? un parrucchino? una cofana?), mi sento semplicemente di dire che lo trovo un po’ ridicolo. Trump (foto sopra) sembra un vecchio rocker senza talento all’ultimo giro di pista.
Parlare male di lui non è difficile, parlarne bene è impossibile. Le nomination repubblicana e democratica hanno però messo in luce, con la sua vittoria e la buona affermazione di Bernie Sanders, che moltissimi elettori a stelle e strisce, pur di opinioni assai diverse fra loro, non ne possono più della solita minestra: Wall Street, l’establishment, la successione per via dinastica, l’impoverimento del ceto medio, le consuete ricette economiche… Trump, il candidato accidentale, ha fatto a pezzi la nomenklatura del suo partito e ora trova, da avversaria, Hillary Clinton, che ha vinto (ma non convinto) la nomination democratica. La Clinton ha battuto Sanders, ma non scalda i cuori perché rappresenta il cuore del problema: lei è il potere. Dotata di naturale antipatia (non potrebbe farsi scrivere i testi da Woody Allen, peraltro suo elettore? non potrebbe smetterla di fare quei sorrisi smodati a beneficio di telecamera?), considerata una bugiarda dall’opinione pubblica, sfoggia un’aria da predestinata che non le giova. Lei e Donald farebbero la felicità di Paolo Limiti, brillante conduttore televisivo per un pubblico âgé.
Michele Serra ha scritto che una volta la strada maestra della politica era studiare, imparare, migliorare, e oggi invece arriva uno che rutta il primo giorno di scuola, proclama il «rutto libero» e lo portano pure in trionfo. Trump, il toro da monta, issato sulle spalle con un coro di rutti in sottofondo è un’immagine irresistibile. Mi è venuto in mente un compagno di liceo che sapeva dire, ruttando, tutte e cinque le vocali. Un fenomeno. Lo ascoltavamo ammirati ed entusiasti. Ma intorno a noi le istituzioni, non solo quelle scolastiche, sembravano reggere. Oggi non è più così: la politica suscita diffidenza, il potere economico e finanziario pure. La rispettabilità della forma nasconde spesso segreti indicibili, prevale l’opacità, la scarsa informazione, non bastano più un bel completo e una cravatta in tinta a sedare gli animi. Quelli che ruttano ci sono sempre stati, sono gli altri, quelli che «studiare, imparare, migliorare», quelli che avevano la nostra fiducia, sono loro che non ci sono più.
Dice la nota legge economica del noto attore e scrittore comico Ettore Petrolini (Roma, 1884-1936): «Bisogna prendere il denaro dove si trova: presso i poveri. Hanno poco, ma sono tanti». Ormai siamo convinti un po’ tutti che funzioni così. E farci cambiare idea non sarà facile.