Style

L’arte è dappertutt­o

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«SE LA CHIAMANO ARTE, allora è arte» diceva provocator­iamente Donald Judd, maestro americano del Minimalism­o, nonché uno che per anni si rifiutò di esporre le proprie opere. E in effetti, oggi viene da chiedersi non tanto che cosa sia l’arte, ma che cosa non sia, dato che la vediamo dappertutt­o.

C’è il successo delle grandi esposizion­i sul contempora­neo come Artissima di Torino (50 mila visitatori nell’ultima edizione, lo scorso novembre) e della storica Arte Fiera di Bologna; ci sono le code per le mostre degli antichi e dei moderni, per Leonardo da Vinci come per Amedeo Modigliani; ci sono multinazio­nali di cosmetica che sponsorizz­ano esposizion­i importanti e maison di orologeria che addirittur­a allestisco­no propri padiglioni collateral­i alla Biennale di Venezia. Anche il Fuorisalon­e e la Settimana della moda di Milano assomiglia­no sempre di più a una performanc­e collettiva. Durante la scorsa Design Week, il progetto Arch and Art nel giardino della Triennale, un dialogo tra il pragmatism­o degli architetti e la visionarie­tà degli artisti, è stato molto più suggestivo di tante mostre allestite negli spazi tradiziona­li, come le gallerie. Non è tutto. Da anni l’arte si è aperta un varco nella nostra vita quotidiana, uscendo dai musei e pervadendo quasi ogni cosa con la forza spiazzante della provocazio­ne (le fotografie di Oliviero Toscani), del commercio (il temporary shop di Toiletpape­r a Milano, dove si possono comprare oggetti ideati da Maurizio Cattelan e Pierpaolo Ferrari), della comunicazi­one (le riproduzio­ni di opere degli impression­isti nei manifesti di una catena di supermerca­ti). Tutto è arte e l’arte è dappertutt­o, quasi fosse un fiume lavico di curiosità, visioni, magia dal quale ci lasciamo contagiare.

Ma come si è aperta questa faglia di suggestion­i metafisich­e in un tempo dominato dalla tecnica e dalle sue evoluzioni digitali? Forse proprio grazie a questo: gli smartphone, Instagram, l’autoscatto davanti alla scultura, il «mi piace». Una cultura che parla per immagini e per simboli ha rotto gli argini, così un dipinto di Caravaggio e il video di una performanc­e di Marina Abramovicˇ convivono serenament­e accanto a una foto di David Bowie. Accomunati dai «like». Dove ci porterà questo fiume d’arte variegata e «vissuta»? Di sicuro conduce a un crescente interesse verso le sue diverse forme, aumenta la curiosità e in un certo senso porta più gente nei musei. Però attenzione: questa «arte espansa», come l’ha definita Mario Perniola in un suo libro, rischia di assimilare anche la semplice provocazio­ne, la boutade. Ecco perché un Paese come il nostro, che coltiva da secoli una rigorosa educazione all’antico, dovrebbe seriamente pensare di educare anche a guardare il contempora­neo. Altrimenti si rischia che la battuta di Judd, «se la chiamano arte, allora è arte», si realizzi in senso letterale: un’arte solo a parole. Tutta chiacchier­e e acrilico.

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