IL GRANDE BOH!
ITALIA 2116: un uomo si aggira tra le macerie del Day After. Ciò che resta della nostra civiltà è coperto da una spessa coltre di cenere. In una buca, accanto al palazzo fiammeggiante che ospitava il museo di arte contemporanea, l’uomo scorge quello che a prima vista sembrerebbe un sacco di tela bucato e che poi si rivelerà, grazie al parere di un altro sopravvissuto, un capolavoro della seconda metà del Novecento. «Con ogni probabilità di Alberto Burri» dice il secondo uomo con un filo di voce.
Fuor di metafora, l’arte contemporanea è tutta una «cagata pazzesca», per dirla alla Fantozzi? La risposta è no, ovviamente, e se non credete a me (con qualche buona ragione), leggetevi un libro divertente: Lo potevo fare anch’io. Perché l’arte contemporanea è davvero arte (Mondadori) di Francesco Bonami, brillante critico d’arte. Le sue opinioni non sono condivise da tutti, Vittorio Sgarbi in primis. E pure noi, nel nostro piccolo, qualche dubbio ce l’abbiamo. Niente nomi e cognomi, basta visitare una mostra, un museo o una fondazione per avere alcune, ragionevoli, perplessità. Eccole: è l’habitat che fa l’opera d’arte? Ovvero: se quella scultura stesse in un bar e non in un museo, la nostra percezione sarebbe la stessa? No, mi verrebbe da dire. Due: è il mercato che fa l’opera d’arte? Sì, senza dubbio. Ricordate quell’artista inglese che faceva orrendi teschi di platino e diamanti che valevano cifre pazzesche? Bene: i prezzi sono crollati del 70 per cento, manco fossero bond subordinati. Tre: Beatles o Karlheinz Stockhausen, pallosissimo compositore tedesco? Tra cent’anni chi volesse raccontare la musica del XX secolo citerà lui o i quattro di Liverpool? Se rispondete Stockhausen sono affari vostri, naturalmente, ma al posto vostro sarei preoccupato. Conosco terapeuti molto bravi, sia detto per inciso.
Il concetto di arte si è evoluto, è arrivata la fotografia, è arrivata la seconda guerra mondiale, il boom, lo sboom, internet… L’arte è uscita dal gruppo, dalle istituzioni, si è riversata nelle strade, negli stadi. Un goal di Lionel Messi è un’opera d’arte? Sì, più di molti quadri. Disse Carmelo Bene di Diego Maradona: «Un suo assist è più interessante di qualunque attimo di un teatrante internazionale! L’arte è ovunque, basta saperla cercare e trovare. C’è più arte, ad esempio, nell’elenco degli oggetti da non portare in aereo con il bagaglio a mano che in parecchie commedie: «…pistole, rivoltelle, fucili, archi, balestre, fionde, catapulte…». Sì, catapulte, avete letto bene. Non è meraviglioso? Non è patafisica pura, la scienza delle soluzioni immaginarie? Una catapulta in cabina! Questo elenco rivela meglio di qualunque altra cosa l’ossessione contemporanea per la sicurezza (reale), e la nostra deriva burocratica (altrettanto reale). Un capolavoro.
Insomma: meglio il Milan di Sacchi (Arrigo) o i sacchi di Burri (Alberto)? La comprensibilità di un’opera d’arte si riflette sul suo valore? Un’opera d’arte è tale solo se la capiamo? Boh! E prendetela come una risposta molto, molto, artistica. Surreale. Come la realtà attuale (foto: For the love of God di Damien Hirst).