Ricordo d’infanzia
La panzanella è tutta questione di materie prime, dal pane ai pomodori.
Ho sempre amato i piatti ricchi e complessi. Oddio, non che non mi piaccia, per dire, un (meraviglioso) filetto di manzo Angus del Nebraska cotto alla griglia o una (altrettanto meravigliosa) aragosta della Sardegna lessata. Però preferisco cucinare piatti ricchi d’ingredienti e scoprire come uno chef lavora: cosa che nelle pietanze semplici, basate sull’eccellenza della materia prima e basta, non si vede.
Poi, come in tutte le regole, ci sono le eccezioni. Esistono infatti dei piatti «perfetti» dove la bontà è basata su ingredienti semplici straordinari, ben più difficili da reperire di un filetto o un’aragosta super. Non che siano tantissimi, ma esistono.
Uno di questi è la panzanella. Semplice e perfetta, forse è la più grande delle preparazioni a base di pane avanzato. Quindi un ingrediente dominante che più magico non si può, perché trovarlo buono è una cosa di grande difficoltà.
L’origine è toscana, senza alcun dubbio, sicuramente antica, ultra popolare e semplicissima e stava nell’uso di bagnare il pane vecchio e rinsecchito per renderlo molle e mescolarlo alle verdure. Già Giovanni Boccaccio nel Decameron parlava di un «pan lavato» e un’altra testimonianza della panzanella è nelle rime cinquecentesche del Bronzino: «Chi vuol trapassar sopra le stelle, en’tinga il pane e mangia a tirapelle, un’insalata di cipolle trite, colla porcellana e i citriuoli».
Da piccolo ne ho mangiati quintali e quintali. I miei avevano una casa a ridosso della spiaggia di Marina di Campo, sull’isola d’elba, dove passavo le vacanze estive in un’epoca eroica, quando era ancora difficile da raggiungere e c’erano pochi turisti, praticamente un sogno.
Della cucina si occupava la signora Elis, factotum estiva, nata, cresciuta e sempre rimasta a Marina di Campo. A pranzo il piatto standard era una panzanella, fatta a volte col pane altre con le classiche gallette da marinaio. Le verdure venivano dal suo orto. D’accordo, forse non sono del tutto obiettivo, ma quel ricordo è una delle più forti reminiscenze gustative della mia vita.
Poi, post Elba, quando le vacanze sono diventate viaggi in giro per il mondo, passai anni senza più mangiarla, un po’ per conservare intatto quel ricordo, un po’ per caso, molto perché è spaventosamente difficile da preparare, data la difficoltà di trovare le materie prime adeguate. A Milano, a casa, non l’ho mai fatta. Ma quando (avviene solo in Toscana) la rincontro, festeggio. Anche se ovviamente quella della Elis resta la migliore panzanella.