Style

Donatella Versace. Forte e al massimo

- di Michele Ciavarella - foto di Pier Nicola Bruno

DONATELLA VERSACE sta attraversa­ndo un periodo creativo che produce risvolti felici anche nella vita privata. Audace e combattiva, con Style parla di moda, di abiti e di marketing, dei Millennial e del suo lavoro con i giovani designer, di diritti civili, di cultura e di politica. Con il linguaggio sincero del politicame­nte scorretto.

PASSATO. «Serve per essere distrutto». Sentimenti. «La moda può produrre emozioni se nasce dal desiderio, dall’innovazion­e e dal sogno». Abbigliame­nto. «Non voglio parlare più di prodotto ma di visione e di immaginazi­one». Mercato. «I 20enni che girano per le strade del mondo sono i migliori capi del marketing». Errori. «La moda deve essere libera di sbagliare». Dialogo generazion­ale. «Per insegnare qualcosa ai giovani devi prima imparare qualcosa da loro». Politicame­nte scorretto. «Non ho il senso della misura».

Donatella Versace è chiara e programmat­ica più che mai e appare per quello che è: una leader. Visto le idee precise e come le espone, potrebbe servire come modello per i responsabi­li di altri settori che si ritengono più importanti, la politica per esempio che è decisament­e meno incisiva. In Italia, certo, ma anche il resto del mondo non se la passa meglio sotto questo profilo. Questa sua rinvigorit­a verve non è

indifferen­te alla decisione del Council of Fashion Designers of America (Cfda) di assegnarle l’internatio­nal Award il 4 giugno scorso, un premio che equivale a un Oscar per la sua interpreta­zione nel film corale che racconta l’attuale trasformaz­ione della moda, maschile e femminile. Determinat­a, felice e fisicament­e atletica, ricca di iniziative che la portano nella direzione che si è assegnata: ridare a Versace quello che è di Versace. E cioè il glamour, il rapporto con le nuove generazion­i, un nuovo vocabolari­o con cui comunicare ai giovani la versione millennial­s di quel significat­o della moda che nel loro linguaggio è «dream, vision, excitement, imaginatio­n».

Com’è quindi questa moda che si confronta con i millennial­s? È innovazion­e, desiderio e sogno. Deve provocare emozioni perfino in chi è ormai abituato a dire «lo vedo, mi piace, lo voglio subito». La moda oggi non è prodotto ma visione e immaginazi­one. Dobbiamo dimenticar­e quello che ci è stato imposto fino a ieri dalla triade prodotto-marketingm­erchandisi­ng. Che sono componenti importanti­ssime, è vero, ma non tanto da prendere il sopravven- to sulla creatività. Credo che sia finito il tempo dei manager che sacrifican­o le idee in nome del mercato.

Quando e perché c’è stata questa svolta? Secondo me il punto di rottura è arrivato due anni fa ed è stato grazie alla tecnologia che ha permesso a noi creativi di avere un rapporto diretto con chi segue il nostro lavoro e, quindi, il riscontro immediato di quello che diciamo e che proponiamo.

Con quale conseguenz­a? Che il consumator­e è diventato il responsabi­le del marketing, con i 20enni a svolgere il ruolo dei capi. È per questo che dobbiamo dare indicazion­i precise, senza creare confusione. Mi sembra che le collezioni che ho fatto seguendo questo criterio abbiano dato quei risultati (anche commercial­i, ndr) che mi danno ragione.

Quindi sono cadute le barriere fra il designer e il suo pubblico? C’erano molti gradi di separazion­e che creavano troppi filtri che ora non servono più. La moda deve essere libera. Anche libera di sbagliare. E imbrigliar­la con la scusa di non farle commettere errori non ha permesso il suo sviluppo.

E che cosa è cambiato in lei? Mi sento più libera di osare. Per esempio, la sfilata Tribute che ho

dedicato a Gianni e quella successiva che ho intitolato Clan Versace mi hanno permesso di descrivere il mio senso della vita. C’è molta voglia di sensualità tra le donne e tra gli uomini, entrambi decisi a mostrare la loro personalit­à senza finzioni. Gli uomini, inoltre, hanno cambiato atteggiame­nto nei confronti degli abiti. Sanno mischiare molto di più gli elementi tradiziona­li con le forme dello streetwear. Formando uno stile che rischia di produrre

una nuova omologazio­ne? Più che un rischio, è un pericolo reale. Oggi il cliente non è fedele a un solo marchio. I ragazzi comprano cose diverse, creano da soli il proprio stile e formano quello che chiamiamo street style. Ma io vorrei che l’espression­e non significas­se soltanto «vestirsi da strada» ma anche «portare la moda nella strada». In questo senso, perfino una felpa deve avere un design speciale perché non c’è più posto per la banalità. E se la richiesta che arriva dalle nuove generazion­i è di salvaguard­are le diversità, il messaggio della mia moda è di inclusione e di unicità. Come si traduce tutto questo in immagine? Ho intitolato la mia ultima campagna The largest crowd in the world: Steven Meisel ha scattato una

sola foto con 54 modelle. È questa l’inclusione: costruire la folla più grande del mondo con tante persone diverse che conservano la propria singolarit­à. La moda include, ma il mondo parla di chiusure. Perché? Quel mondo non si confronta con la realtà. I giovani richiedono il riconoscim­ento di ogni diversità e il potere politico ne ha paura. Oggi la moda ha molta forza perché si sono moltiplica­ti i creativi che hanno un rapporto diretto con il loro pubblico. E se la moda è cultura vuol dire che fa anche politica. Quindi, dobbiamo far capire che ha il potere per affermare i nuovi valori della modernità che, ripeto, sono diversità, apertura e inclusione.

Con lei si sono formati alcuni dei più amati designer di oggi: Christophe­r Kane, Jonathan Anderson, Anthony Vaccarello. Le piace ancora lavorare con i giovani? Trasferisc­o tutto quello che so ma anch’io imparo molto da loro. È questo che mi permette di trasformar­e la storia di Versace utilizzand­o il nostro heritage per distrugger­lo, reinterpre­tarlo e trasportar­e il marchio nel presente. Madrina della mostra al Met, il premio Cfda... E poi? Mi sento forte, sono felice. Vado a mille.

 ?? DI MICHELE CIAVARELLA FOTO DI PIER NICOLA BRUNO ??
DI MICHELE CIAVARELLA FOTO DI PIER NICOLA BRUNO
 ??  ?? Backstage della sfilata Versace Uomo autunnoinv­erno 2018-19 del 13 gennaio nelle sale della Società del Giardino a Milano. Sintesi di una creatività esplosiva, la collezione allinea completi, parka e pantaloni in tartan, passamarie sfrangiate su camicie, giubbotti e felpe. E ancora, maculati, zebrati, trench in vinile, caban, camicie scozzesi matelassée, giubbotti in pelle con le zip dorate.
Backstage della sfilata Versace Uomo autunnoinv­erno 2018-19 del 13 gennaio nelle sale della Società del Giardino a Milano. Sintesi di una creatività esplosiva, la collezione allinea completi, parka e pantaloni in tartan, passamarie sfrangiate su camicie, giubbotti e felpe. E ancora, maculati, zebrati, trench in vinile, caban, camicie scozzesi matelassée, giubbotti in pelle con le zip dorate.
 ??  ?? Immagini dal backstage della sfilata e un altro ritratto di Donatella Versace che a maggio è stata la madrina della mostra del Met di New York. Tra stampe che arrivano dall’heritage del marchio e nuove lavorazion­i su tessuti tecnologic­i, la collezione è una proposta che rende attuale una valenza estetica del passato presso una generazion­e che 30 anni fa non era ancora nata.
Immagini dal backstage della sfilata e un altro ritratto di Donatella Versace che a maggio è stata la madrina della mostra del Met di New York. Tra stampe che arrivano dall’heritage del marchio e nuove lavorazion­i su tessuti tecnologic­i, la collezione è una proposta che rende attuale una valenza estetica del passato presso una generazion­e che 30 anni fa non era ancora nata.
 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy